domenica, Aprile 28, 2024
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L’attacco da Gaza ci ha terrorizzato, ma dobbiamo interrogarci sul suo contesto

Il 7 ottobre 2023 resterà, con ogni probabilità, nella storia: Hamas ha dato il via, dalla Striscia di Gaza, a un attacco a sorpresa senza precedenti sul territorio di Israele, con il lancio di migliaia di razzi e vari blitz di terra su insediamenti civili e strutture militari israeliane in prossimità della Striscia. Nel corso di queste azioni sono stati uccisi almeno 1200 israeliani e 130 sono stati presi in ostaggio, mentre sarebbero circa 1.500 i miliziani di Hamas uccisi. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato una durissima rappresaglia, presentandola alla cittadinanza come “guerra” e mobilitando migliaia di riservisti, mentre il Ministro della Difesa, Yoav Gallant, ha annunciato un “assedio totale” su Gaza, definendo i militanti palestinesi come “animali umani” con cui è impossibile trattare. Attualmente la Striscia di Gaza, in cui vivono più di due milioni di persone, è senza forniture di elettricità, acqua e medicinali, ed è sotto il fuoco israeliano: finora sono almeno 950 i palestinesi uccisi e 5000 i feriti. Tra i numerosi articoli letti in questi giorni, abbiamo scelto di ripubblicare e tradurre quello che segue: è stato scritto da Haggai Matar, israeliano, obiettore di coscienza, giornalista pluripremiato e direttore esecutivo di 972 – Advancement of Citizen Journalism, un’associazione senza scopo di lucro impegnata per i diritti umani, la democrazia, la giustizia sociale e la fine dell’occupazione israeliana. Contrariamente all’opinione di molti connazionali, ma anche di molti media e politici occidentali, l’autore ricorda che l’attacco guidato da Hamas è radicato in una lunga storia di oppressione subita dai palestinesi sotto il regime israeliano di occupazione militare. Se, da una parte, partecipa al dolore e all’angoscia della sua comunità sotto attacco, dall’altra parte, Matar invita a riflettere sul contesto e sul fatto che gli israeliani stiano vivendo in questi giorni quello che i palestinesi vivono da decenni, privati non solo della prospettiva di libertà e indipendenza politica, ma anche della mera possibilità di vivere in modo degno. In controtendenza rispetto alle voci di odio e vendetta, che invocano la distruzione totale di Gaza e chiudono a qualsiasi negoziato con Hamas e col fronte palestinese, l’autore invoca la necessità di perseguire una pace giusta e duratura. Non esiste una soluzione militare al conflitto israelo-palestinese e l’uso della violenza contro i civili è, in ogni circostanza, una violazione del diritto internazionale umanitario. L’unica soluzione, afferma l’autore in conclusione, è quella di “porre fine all’apartheid, all’occupazione e all’assedio e lavorare per un futuro basato sulla giustizia e sull’uguaglianza per tutte e tutti noi”.

di Haggai Matar

Il 7 ottobre è stata una giornata terribile. Dopo esserci svegliati con le sirene aeree, sotto una raffica di centinaia di razzi lanciati sulle città israeliane, abbiamo saputo dell’attacco senza precedenti dei militanti palestinesi provenienti da Gaza alle città israeliane confinanti con la Striscia.

Le prime notizie – in continuo aggiornamento – parlano di almeno 700 israeliani uccisi e di centinaia di feriti, oltre ai molti rapiti portati a Gaza. Nel frattempo, l’esercito israeliano ha già avviato la propria offensiva sulla Striscia sotto assedio, con la mobilitazione delle truppe lungo la recinzione e attacchi aerei che, finora, hanno ucciso e ferito centinaia di palestinesi. Il terrore delle persone che vedono militanti armati nelle loro strade e nelle loro case, o la vista di aerei da combattimento e carri armati in avvicinamento, è inimmaginabile. Gli attacchi contro i civili sono crimini di guerra e il mio cuore va alle vittime e alle loro famiglie.

Però, contrariamente a quanto dicono molti israeliani, e nonostante l’esercito israeliano sia stato chiaramente colto del tutto alla sprovvista da questa invasione, non si tratta di un attacco “unilaterale” o “non provocato”. La paura che gli israeliani provano in questo momento, me compreso, è solo una parte di ciò che i palestinesi provano quotidianamente sotto il regime militare decennale in Cisgiordania e sotto l’assedio e i ripetuti attacchi a Gaza da parte di Israele. Le reazioni che sentiamo oggi da molti israeliani – che chiedono di “radere al suolo Gaza”, perché “questi sono selvaggi, non persone con cui si può negoziare”, “stanno assassinando intere famiglie”, “non ci sono margini di discussione con queste persone” – sono esattamente quelle che ho ascoltato innumerevoli volte dai palestinesi sotto occupazione riguardo agli israeliani.

L’attentato di questa mattina ha anche contesti più recenti. Uno di questi è l’orizzonte incombente di un accordo di normalizzazione dei rapporti tra Arabia Saudita e Israele. Per anni, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha sostenuto che la pace può essere raggiunta senza parlare con i palestinesi e senza fare loro alcuna concessione. Gli Accordi di Abramo hanno privato i palestinesi di una delle loro ultime carte di scambio e basi di sostegno: la solidarietà dei governi arabi, nonostante tale solidarietà sia stata a lungo discutibile. L’elevata probabilità di perdere forse il più importante degli stati arabi potrebbe aver contribuito a spingere Hamas al limite.

Nel frattempo, i commentatori avvertono da settimane che le recenti escalation nella Cisgiordania occupata stanno conducendo a sviluppi pericolosi. Nell’ultimo anno sono stati uccisi più palestinesi e israeliani che in qualsiasi altro anno dalla Seconda Intifada dei primi anni 2000. L’esercito israeliano effettua regolarmente raid nelle città palestinesi e nei campi profughi. Il governo di estrema destra sta dando mano libera ai coloni per creare nuovi insediamenti illegali e lanciare operazioni di vera e propria pulizia etnica in città e villaggi palestinesi, con i soldati che scortano i coloni mentre uccidono o mutilano i palestinesi che cercano di difendere le loro case. Nel mezzo delle festività, gli ebrei estremisti stanno sfidando l’accordo in vigore sull’accesso al Monte del Tempio/Moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme, sostenuti da politici che condividono la loro ideologia.

A Gaza, nel frattempo, l’assedio in corso continua a distruggere la vita di oltre due milioni di palestinesi, molti dei quali vivono in condizioni di estrema povertà e deprivazione, con scarso accesso all’acqua pulita e circa quattro ore di elettricità al giorno. Questo assedio non ha una fine programmata; anche un rapporto del Controllore di Stato israeliano ha rilevato che il governo non ha mai discusso di soluzioni a lungo termine per porre fine al blocco della Striscia, né ha preso seriamente in considerazione alcuna alternativa ai ricorrenti cicli di guerra e morte. L’assedio è, letteralmente, l’unica opzione che questo governo ha sul tavolo, in continuità con i suoi predecessori.

Le uniche risposte che i successivi governi israeliani hanno offerto al problema degli attacchi palestinesi da Gaza sono stati dei palliativi: se verranno via terra, costruiremo un muro; se passano attraverso i tunnel, costruiremo una barriera sotterranea; se lanciano razzi, installeremo un sistema anti-missile; se stanno uccidendo o hanno ucciso alcuni dei nostri, ne uccideremo molti di più. E così avanti, all’infinito.

Niente di tutto questo può essere invocato per giustificare l’uccisione di civili, una pratica intrinsecamente sbagliata. Ma serve a ricordarci che c’è una ragione per tutto ciò che sta accadendo oggi e che – come in tutti i casi precedenti – non esiste una soluzione militare al problema di Israele con Gaza, né alla resistenza che emerge naturalmente come risposta alla violenza dell’apartheid.

Negli ultimi mesi, centinaia di migliaia di israeliani hanno marciato per “la democrazia e l’uguaglianza” in tutto il paese, e molti hanno addirittura affermato che avrebbero rifiutato il servizio militare a causa delle tendenze autoritarie di questo governo. Ciò che questi manifestanti e soldati di riserva devono capire – soprattutto oggi, mentre molti di loro hanno già annunciato che interromperanno le loro proteste e si uniranno alla guerra contro Gaza – è che i palestinesi lottano per quelle stesse richieste e lo fanno da decenni, affrontando un Israele che nei loro confronti è già, ed è sempre stato, del tutto autoritario.

Mentre scrivo queste parole, sono seduto a casa mia a Tel Aviv, cercando di capire come proteggere la mia famiglia in una casa senza riparo e senza nessuna “stanza sicura”, seguendo con crescente panico le notizie e le voci di eventi orribili che hanno avuto luogo nel territorio israeliano. Le città vicino a Gaza che sono sotto attacco. Vedo persone, alcune delle quali miei amici, che chiedono sui social media di attaccare Gaza più ferocemente che mai. Alcuni israeliani dicono che ora è il momento di spianare completamente Gaza, invocando nei fatti un vero e proprio genocidio. Nonostante tutte le esplosioni, il terrore e lo spargimento di sangue, parlare di soluzioni pacifiche sembra loro una follia.

Eppure ricordo che tutto ciò che sento adesso, che ogni israeliano deve condividere, è stata l’esperienza di vita di milioni di palestinesi per troppo tempo. L’unica soluzione è quella di sempre: porre fine all’apartheid, all’occupazione e all’assedio e lavorare per un futuro basato sulla giustizia e sull’uguaglianza per tutte e tutti noi. Non è nonostante l’orrore che dobbiamo cambiare rotta: è proprio per questo.

Fonte: +972Magazine, 7 ottobre 2023.