venerdì, Maggio 3, 2024
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Diritti umani in Palestina: il rapporto della Relatrice Speciale

a cura di Chiara Magneschi

Il 15 marzo si è svolto nell’Aula Magna della Sapienza il seminario “Diritti Umani in Palestina: la trappola della RealPolitik”, dedicato alla discussione dell’ultimo rapporto della Relatrice speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani nei Territori Occupati.

L’incontro si è aperto con i saluti del Rettore dell’Università di Pisa, Riccardo Zucchi, che ha ricordato come il tema dei diritti umani sia cruciale per le università, a maggior ragione in quanto il momento storico attuale è particolarmente critico, i conflitti armati sembrano ormai “normalizzati” anche se per essi non sussiste nessuna giustificazione possibile, neanche in termini di “Realpolitik”. In questo contesto, il lavoro del Centro Interdisciplinare Scienze per la Pace e della Rete delle Università della Pace risulta particolarmente prezioso.

Ha preso poi la parola la professoressa Enza Pellecchia, Prorettrice per la coesione della comunità universitaria e il diritto allo studio, nonché co-cordinatrice di Runipace, segnalando come le università italiane stiano iniziando a far sentire la loro voce e si stiano impegnando per costruire una “pace positiva”: non una semplice assenza di violenza esplicita, ma una società che rispetti e promuova la pari dignità di tutte e tutti. In questo cammino, è essenziale il contributo di tutte le discipline, ha sottolineato la professoressa Sonia Paone, Presidente del Corso di Laurea in “Scienze per la pace”: i peace studies sono parte fondamentale di ogni formazione didattica e della vita in generale.

Arturo Marzano, professore associato di Storia e Istituzioni dell’Asia all’Università di Pisa, ha poi introdotto Francesca Albanese, Relatrice speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani nei Territori occupati da Israele, autrice del rapporto “Situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967”, trasmesso all’Assemblea generale a settembre 2022.

Fin dal 1967 – ha osservato la Relatrice – con la risoluzione n. 242 il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha ordinato il ritiro militare di Israele dai territori palestinesi, rilevando che l’occupazione violava alcuni principi fondamentali del diritto internazionale, primo tra tutti il divieto di acquisizione territoriale mediante l’uso della forza. Eppure, Israele ha continuato a occupare tali territori dopo la Guerra dei Sei Giorni, arrivando addirittura a instaurarvi la legge marziale, in base alla quale la competenza giurisdizionale è assegnata alle Corti militari anziché a quelle civili. Viceversa, gli insediamenti dei coloni israeliani non sono soggetti all’ordinamento giuridico dei territori occupati ma alle norme interne israeliane, costituendo così delle aree di vera e propria “extraterritorialità”.

Israele non ha mai cessato di costruire nuove colonie in Cisgiordania, a ritmi sempre crescenti, in spregio alla IV Convenzione di Ginevra e all’articolo 8 dello Statuto della Corte Penale Internazionale. Attualmente se ne contano 270, con una popolazione totale di 750.000 persone, mentre circa 3 milioni di Palestinesi vivono sotto assedio.

La narrazione della “questione palestinese” da parte dei media – ha osservato Albanese – è circoscritta ai momenti in cui le tensioni sfociano in scontri violenti tra israeliani e palestinesi, senza che vi sia una attenta contestualizzazione storica di tali episodi. Analogamente, nel dibattito internazionale degli ultimi trent’anni sono state adottate letture superficiali del conflitto: come disputa tra due litiganti da risolvere “facendo la pace”, o come emergenza umanitaria che necessita interventi (unicamente) volti a ridurre i danni. In tutti questi casi, si sceglie di ignorare le radici profonde del conflitto, di non badare alla disparità di potere e di responsabilità tra le due parti, per cui l’una è occupata, l’altra è occupante. Il risultato è che molte e molti hanno cessato di chiedersi per quale motivo il popolo palestinese sia soggiogato da decenni, senza possibilità di vedersi riconosciuti i propri diritti fondamentali.

Si tratta incontrovertibilmente – ha ribadito la Relatrice speciale – di un’occupazione illegale. Tra i vari elementi che concorrono a determinarne l’illegalità, va innanzitutto ricordato che essa lede il diritto all’autodeterminazione dei popoli. Tale diritto viene leso dall’occupazione israeliana in tutte le sue varie sfaccettature: per ciò che attiene alla sovranità territoriale, alla sovranità sulle risorse naturali, al proprio patrimonio culturale (Israele impone tutta una serie di attività che sono manifestazione della propria cultura) e all’espressione di volontà politica autonoma (si pensi che da un anno e mezzo il governo israeliano condanna come “terroristiche” tutte le forme di aggregazione politica di iniziativa palestinese).

Inoltre, tale occupazione determina un regime fortemente discriminatorio classificabile come apartheid. Quest’ultima non rappresenta un fenomeno storico confinato nel passato e al caso sudafricano ma costituisce, oltre che un crimine contro l’umanità,  anche una chiave di lettura in grado di svelare discriminazioni strutturali, ad esempio là dove si applica un regime giuridico differenziato e si infliggono pene diverse in base all’origine etnica (si ammette, ad esempio, la misura dell’isolamento in carcere prima del processo anche per i minori). Occorre, insomma, pensare all’apartheid come un fenomeno più esteso, “de-sudafricanizzato”, di cui l’umanità non si è ancora liberato.

Per avere una misura dell’immunità di fatto di cui gode il regime di occupazione basta pensare alla recente decisione della Corte Suprema israeliana di ratificare la destinazione a poligono militare di un’area della Cisgiordania e lo sfratto di 1200 persone palestinesi ivi residenti.

Il diritto internazionale dovrebbe costituire una guida per la costruzione di società pacifiche fondate sul rispetto effettivo dei diritti fondamentali di tutte e tutti; attualmente però la comunità Internazionale accetta e favorisce, di fatto, l’impunità israeliana. Come si può, allora – si è chiesta la Relatrice – condannare l’occupazione russa in Donbass e non quella israeliana nei territori palestinesi?

Va dato atto che la Corte Penale Internazionale ha formalmente avviato, dal 3 marzo 2021, un’inchiesta per l’accertamento dei crimini commessi nei Territori palestinesi, in cui è stata richiesta anche la consulenza della Corte Internazionale di Giustizia. Eppure il clima generale rimane segnato da un tabu rispetto a questi argomenti, così come sul futuro del popolo palestinese e della Palestina. Esistono – ha evidenziato Albanese – pressioni di varia natura su eventi come questo seminario. Esiste una censura – e di conseguenza anche un’autocensura – verso chiunque cerchi di analizzare il tema complesso dell’occupazione israeliana e delle connesse violazioni della legalità internazionale: molti dei tentativi di approfondimento in questa direzione vengono strumentalmente criminalizzati come espressioni di antisemitismo.

Bisogna dunque ristabilire il primato del diritto internazionale, che però deve poggiare su premesse chiare e sulla constatazione di determinate verità storiche: in questo caso, il riconoscimento che dal 1967 sussiste un’occupazione illegale in Cisgiordania. Gli Stati, gli attori istituzionali pubblici e privati devono assumersi l’obbligo di disconoscere apertamente la prassi di reprimere dibattiti e azioni concrete sull’occupazione dei territori palestinesi, rinunciando ad avallare l’interesse mercantile sotteso alla Realpolitik.

A seguito della presentazione del Report sui diritti umani in Palestina, Francesca Albanese ha subito molti attacchi mediatici e istituzionali, tra cui la richiesta di rimozione dall’incarico di Relatrice speciale da parte dell’ex Ministro Giulio Terzi, diretta all’attuale Ministro degli Esteri Antonio Tajani.  Tuttavia, a questi episodi hanno fatto seguito altrettante manifestazioni di solidarietà e riconoscimenti del lavoro di analisi e denuncia svolto dalla Relatrice speciale in maniera imparziale.

Chiara Magneschi è avvocata, ricercatrice aggregata al Centro Interdisciplinare “Scienze per la Pace” e docente a contratto in “Teorie giuridiche e politiche e diritti umani” presso il Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Università di Pisa. E-mail: chiaramagneschi@gmail.com