giovedì, Aprile 18, 2024
CulturaDiritti

Tre giorni durati vent’anni. Genova 2021 come movimento sulla memoria

di Pietro Casari e Davide Rocchetti

 

Scrivere la storia di Genova non significa soltanto chiedere verità e giustizia, significa continuare a scrivere la storia di Genova. E io penso che questo noi lo dobbiamo fare oggi.

A parlare è Eleonora Forenza, politica e attivista. Quando nell’estate 2001 manifestava per le strade di Genova aveva 24 anni. Vent’anni dopo, il 19 luglio 2021,  si ritrova in città  per parlare davanti all’assemblea convocata dalla rete nazionale “Genova 2021: Voi la Malattia, Noi la Cura”. Oltre al suo, in due giorni si alternano circa novanta interventi di diversi attori: rappresentanti di associazioni, collettivi, partiti e sindacati. Sebbene siano tutti accomunati da una provenienza politica simile, c’è una forte e importante differenza anagrafica: mentre alcuni attori nel 2001 erano già attivi e protagonisti nel movimento altermondialista (come Attac e Arci), altri non erano ancora nati (come Non una di meno, il comitato No Grandi Navi o Fridays for future Italia).

In una sorta di riappropriazione simbolica, l’assemblea si svolge sotto a un tendone in piazza Matteotti, di fronte a una delle facciate principali di Palazzo Ducale, l’allora epicentro della cosiddetta zona rossa. L’evento viene trasmesso anche in diretta streaming tramite i canali degli organizzatori, permettendo così maggiore partecipazione e l’intervento a distanza di rappresentanti di realtà internazionali.

L’obiettivo dichiarato dagli organizzatori è quello di “rafforzare la convergenza fra gli attori sociali antisistemici in un momento drammatico e importante”, con lo sguardo “verso un autunno di mobilitazione nazionale”. Dalla giustizia climatica e sociale alle istanze locali su beni comuni e conflitti in atto nei territori, durante il succedersi degli interventi si sono alternate molteplici questioni. E se da un lato i temi emersi sono spesso stati messi in relazione con l’attuale situazione pandemica – a partire dallo slogan scelto per promuovere l’assemblea, “Genova 2021: Voi la Malattia, Noi la Cura”. Dagli interventi è emerso anche un altro aspetto, cruciale anche se perlopiù implicito: il rapporto degli attori partecipanti, come singoli individui e come formazione collettiva, con la memoria di Genova 2001.

Il ventesimo anniversario è stata un’occasione per aprire uno spazio di riflessione sui processi socio-culturali di costruzione e negoziazione della memoria di un evento “spartiacque”, come sono state spesso definite le giornate dell’estate del 2001 da chi allora era presente nel corso degli interventi. Fin da subito, le manifestazioni contro il G8 hanno attirato l’attenzione di vari studiosi nell’ambito dei movimenti di protesta (Della Porta, Reiter, e Evans 2001; Andretta, della Porta, Mosca, e Reiter 2002; della Porta e Mosca 2005). Tuttavia, sono pochi i lavori che hanno analizzato il ruolo della memoria legata a questo evento (si veda Zamponi, 2020).

Studiare il caso di Genova dopo vent’anni permette di posizionarsi ad una distanza sufficiente per osservare i processi mnemonici in una fase non più preliminare, senza pregiudicare, al contempo, la possibilità di analizzarli in termini dinamici, in quanto in atto ancora oggi. In questo senso, l’assemblea della rete Genova 2021 ha rappresentato un momento chiave per questi processi, rivelandosi l’occasione per gli attori sociali che hanno partecipato di incontrarsi, riconoscersi e confrontarsi pubblicamente sulla memoria di quell’evento. Il ventennale, infatti, ha reso possibile il processo di rafforzamento di un’identità collettiva (Melucci, 1984; 1995), eredità diretta della convergenza del 2001, anche grazie al ruolo esercitato dalle memorie, considerate elementi chiave di questo processo (Polletta e Jasper, 2001).

Nel contesto dell’assemblea, così come più in generale durante le giornate in cui questa si è svolta, abbiamo potuto assistere a un funzionale dispiegamento di simboli legati alla memoria di quell’evento o ad esso collegati. Simboli indossati, a esempio, come le magliette del Genoa Social Forum (Gsf) raffiguranti lo slogan “Voi G8, Noi 6.000.000”, a volte logorate dal tempo e dal loro uso, altre volte significativamente conservate pari al nuovo. Questi simboli si vanno a sommare alle già citate scelte di luogo e data dell’assemblea, le cui sottese motivazioni vengono espresse in uno degli interventi introduttivi:

Oggi ci tocca un po’ ragionare su perché torniamo a Genova, perché siamo a Genova […]. Noi siamo qui ovviamente per un dovere di memoria storica. Memoria storica, però, che va in due direzioni. Una su quello che è successo, ovviamente, in quei giorni e in quegli anni […]. Ma l’altra direzione, che io, non vorrei essere frainteso, ritengo addirittura quasi più fondamentale, è sulla riscoperta delle ragioni di quel movimento, della qualità di quelle ragioni.

In questo contesto, gli attori coinvolti nell’assemblea hanno avuto la possibilità di intrecciare le diverse memorie personali dell’evento, contribuendo così alla costruzione e al rafforzamento di una memoria condivisa su di esso. Inoltre, gli attori si sono trovati di fronte all’opportunità di mettere in relazione questa sintesi con altre interpretazioni e rappresentazioni  – più o meno conformi – dello stesso evento. L’assemblea può dunque essere intesa come una situazione sociale di costruzione di memoria collettiva, ovvero come un momento per combinare “trame sociali e culturali di memoria pubblica e personale” (Olick, 1999: 333) riguardanti questo specifico evento.
Questa memoria può essere intesa come il risultato di un costante “lavoro mnemonico” (Zelizer, 1995), portato avanti da “agenti mnemonici” (Peri, 1999) guidati da obiettivi strategici.

Seguendo il pensiero di Maurice Halbwachs (2007 [1925]), la memoria del passato è plurale, contesa e contestata, essendo prodotta socialmente da una varietà di attori collettivi, spesso in opposizione tra loro (Daphi e Zamponi, 2019). In questo senso, la memoria collettiva di Genova 2001 sarebbe dunque da intendersi come un oggetto di contesa, sottintendendo un conflitto mnemonico che intercorre tra i diversi attori nei confronti di una rappresentazione dominante del passato. Questo conflitto si vede nello scontro tra le diverse rappresentazioni dello stesso evento che sono emerse nel corso dei vent’anni anni tra il 2001 e l’assemblea.

La sociologa Stefania Vicari (2015) ha approfondito il conflitto tra le narrazioni (ri)costruite dopo Genova dalle autorità pubbliche – politici e forze di polizia – e le varie organizzazioni che animavano il Gsf. Un conflitto che si è aperto subito dopo la conclusione del summit, quando l’allora premier Silvio Berlusconi aveva dichiarato che «non c’era distinzione tra i violenti ed esponenti del Gsf, che avrebbero favorito e coperto questa loro presenza». Pochi giorni dopo in Parlamento viene avviata un’indagine conoscitiva, il cui documento finale non evidenzia criticità sullo svolgimento del servizio d’ordine durante il G8. In generale, le autorità pubbliche hanno sempre difeso e legittimato l’approccio usato in quei giorni. A volte anche con tentativi intimidatori – e maldestri – di ricostruzione degli eventi.

In risposta alla repressione fisica e giudiziaria, le varie organizzazioni del Gsf hanno reagito con la produzione di materiale culturale specifico, con una condivisione di informazioni avvenuta soprattutto tramite il web. L’obiettivo era, ed è ancora oggi, quello di riuscire ad integrare il dibattito pubblico con un punto di vista diverso da quello promosso dalle autorità pubbliche. È nato così un percorso di ricostruzione a cui hanno partecipato una molteplicità di attori indipendenti, che hanno agito dal basso e senza un sostegno istituzionale, considerate le difficoltà della sinistra parlamentare a coniugare una posizione precisa sulla vicenda.

In particolare, il punto critico su cui si è concentrato il conflitto tra le diverse narrazioni e a cui gli attori del contro-summit hanno dedicato più spazio è la violenza usata dalle forze di polizia. Secondo Vicari (2015), però, questo sforzo di reinterpretazione mnemonica ha avuto un effetto ambivalente: infatti esso ha reso indelebili le immagini delle violenze di quei giorni ma, allo stesso tempo, ha affievolito le istanze di giustizia globale che guidavano il movimento.

Negli anni, la violenza ha dunque assunto una rilevanza primaria, che possiamo articolare su due piani differenti. Su un primo piano, la violenza è stata posta al centro delle rielaborazioni interne al gruppo, così come – se non soprattutto – di quelle dei singoli individui, spesso alle prese con traumi personali, sia di natura psicologica che fisica. Su un piano mediatico, invece, la descrizione delle violenze ha monopolizzato il dibattito pubblico, generando una narrazione preminente di quanto successo in quei giorni che ha portato ad una “opacizzazione pressoché totale dei contenuti politici” (Paris, 2021) del movimento.

È una dinamica che è emersa anche durante l’assemblea, dove la narrazione pubblica e il suo ruolo egemonico sono state messe in discussione. In particolare, il ruolo dei media è stato criticato fin dai primi interventi dell’assemblea: 

Fate attenzione, che in questi giorni moltissimi mass media parlano di Genova e lo fanno con uno scopo molto preciso: dire cos’è successo e rimuovere le ragioni di quel movimento.

Le istanze del movimento sono ritenute “negate” mediaticamente, appiattite a una semplice ricostruzione dell’evento, dove prevale un forte accento sulle violenze, a discapito dunque dei contenuti del messaggio promosso in quella piazza. Un esempio di questa percepita distorsione mediatica è il ricorrente riferimento all’editoriale del direttore dell’Espresso Marco Damilano –  accusato di ridurre l’azione del movimento di Genova a «un Sessantotto accelerato, durato 48 ore», che aveva già attirato diverse critiche. Al contrario, i promotori dell’assemblea e i partecipanti propongono una visione alternativa che ha come suo punto di partenza proprio la “riscoperta delle ragioni di quel movimento”.

Tramite un processo culturale di “risignificazione” (Reed, 2015), nell’ambito della (ri)costruzione narrativa della memoria di quei giorni e del movimento, gli attori stabiliscono una connessione diretta tra la loro esperienza personale di quel periodo e quella collettiva del movimento altermondialista internazionale. In questo senso, i fatti di Genova rappresentano soltanto una delle tappe del percorso di lotta anti-capitalista avviata sul finire dello scorso millennio, perché – come sostenuto durante l’assemblea: “Genova è nata molto prima di Genova ed è proseguita molto dopo Genova”.

Un percorso il cui inizio è fatto coincidere con l’insurrezione zapatista del Chiapas nel 1994, proseguito poi con il biennio di lotte – 1999-2001 – che unisce le mobilitazioni di Seattle a quelle di Genova, passando per Montreal, Göteborg e Napoli (riguardo quest’ultima si veda in particolare l’interessante lavoro a cura di Maffione, 2021) per citarne solo alcune, e l’esperienza dei primi Forum Sociali mondiali ed europei – organizzati, rispettivamente, a Porto Alegre nel 2001 e a Firenze l’anno successivo.

Un percorso che si è esteso ben oltre Genova, non solo fino alle manifestazioni contro la guerra in Iraq del 2003, ma che, seguendo la (ri)costruzione degli attori partecipanti all’assemblea, connette i cambiamenti politici in Sud America – nel primo decennio del XXI secolo – a quelli successivi nel Nord Africa – le cosiddette ‘Primavere Arabe’.

Al contempo, gli attori coinvolti in questo lavoro di memoria inquadrano la chiamata alla convergenza dello scorso luglio come una nuova tappa di questo percorso per la componente italiana del movimento altermondialista, ponendosi in diretta continuità con il Gsf. Così, la rielaborazione ha come oggetto il progressivo dissolvimento del ‘movimento dei movimenti’, le cui cause vengono individuate, a partire dal fallimento della mobilitazione contro l’intervento in Iraq del 2003, nel tentativo di istituzionalizzazione del movimento, così come nell’imposizione di gerarchie in termini di importanza tra le lotte.

E quel movimento piano piano si disperde, ma attenzione…si disperde ma non scompare. Perché le migliaia di attiviste e attivisti cresciute dentro la stagione ribelle di Genova, tornano nei territori e… provano a inverare le lotte territoriali della sapienza che avevano accumulato.

Secondo la ricostruzione portata avanti durante l’assemblea, infatti, nonostante la rete dei movimenti si sia formalmente sciolta, le sue ragioni sono sopravvissute negli anni successivi in varie forme di lotta, sia sul piano locale – come ad esempio il movimento No Tav – che nazionale – come il lavoro promosso dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua per i referendum del 2011. Inoltre, i partecipanti all’assemblea tracciano la diffusione di queste ragioni anche nel recente contesto pandemico, riferendosi alle varie iniziative locali di solidarietà, fondate su principi che erano già diffusi tra le istanze di Genova, come il mutualismo o il rifiuto di logiche meramente speculative e basate sul profitto.

Come abbiamo cercato di descrivere in questo articolo, il tentativo di ricostituire una convergenza guidata dalla rete Genova 2021 può essere interpretato come un momento di elaborazione collettiva della memoria su quanto accaduto vent’anni prima. Se da un lato la memoria di quei giorni può dunque esser stata usata funzionalmente come “una risorsa culturale da cui gli attivisti [hanno estratto] simboli e idee” (Kubal e Becerra, 2014, cit. in Daphi e Zamponi, 2019: 405), dall’altro la contestualizzazione di questa ri-convergenza all’interno delle celebrazioni per l’anniversario di Genova 2001 sottende una sfida sulle rappresentazioni di questo ‘evento trasformativo’ (Vicari, 2015; della Porta 2008). Nonostante, infatti, secondo gli organizzatori la (ri)costruzione mnemonica dell’evento fosse un obiettivo subordinato a quello della convergenza, durante l’assemblea sono affiorati processi interpretativi di sviluppo di una narrativa interna del gruppo. Questa narrativa è emersa in contrapposizione a quella che invece viene percepita come egemonica, che agisce per “cancellare” quelle ragioni e per circoscrivere l’evento entro i limiti di un’episodica escalation di violenza. La memoria collettiva di Genova 2001 può dunque essere interpretata come l’oggetto di un conflitto basato sul piano delle rappresentazioni di quell’evento.

Porre al centro le rappresentazioni, a nostro parere, permette di definire la rete Genova 2021 come un “movimento sulla memoria” (Daphi e Zamponi, 2019): una forma di mobilitazione collettiva che riguarda esplicitamente la memoria, dove gli attivisti si mobilitano per difendere, contestare o riformulare una visione egemonica riguardante uno specifico evento del passato. Un’azione collettiva, quindi, che ha come oggetto  i ricordi di mobilitazioni precedenti o correlate, o la commemorazione di eventi storici. In questo processo, i movimenti possono assumere un ruolo di agenti mnemonici collettivi, lavorando strategicamente per promuovere una propria memoria collettiva dell’evento, prodotta all’interno del movimento stesso.

Tuttavia questa definizione va problematizzata alla luce di un’ulteriore riflessione riguardo la natura della rete di attori coinvolti in questa assemblea pubblica, a partire dai suoi promotori, facenti parte di un’altra rete già esistente – la “Società della Cura”. Nata durante la prima fase della pandemia di Covid-19, la rete coinvolge una serie di attori con l’obiettivo di “[rendere] visibile un progetto di società alternativa” attraverso la comune convergenza delle istanze e delle lotte in corso nel nostro paese. D’altro canto, sarebbe prematuro intendere la chiamata alla convergenza dello scorso luglio come una mera autopromozione strategica da parte di un attore collettivo pre-esistente, attraverso l’uso funzionale della memoria. La questione sull’identità della rete Genova 2021 rimane quindi aperta e richiede uno studio più approfondito. Perché quei tre giorni sono durati vent’anni, e non sono ancora finiti.

 

Riferimenti bibliografici

Andretta, M., D. della Porta, L. Mosca, e H. Reiter (2002). Global, noglobal, new global. La protesta contro il G8 a Genova. Roma: Laterza.

Daphi, P., e L. Zamponi (2019). “Exploring the Movement–Memory Nexus: Insights and Ways Forward”. Mobilization, 24(4): 399–417.

della Porta, D. (2008). “Eventful protest, global conflicts”. Distinktion: Scandinavian Journal of Social Theory, 9(2): 27–56.

della Porta, D., H. Reiter, e J. A.J. Evans (2001). “‘You’re the G8, We’re the Six Billion’: The Genoa Demonstrations”. Italian Politics 17: 105–124.

della Porta, D., e L. Mosca (2005). “Global–net for Global Movements? A Network of Networks for a Movement of Movements”. Journal of public policy 25(1): 165–190.

Halbwachs, M. (2007 [1925]). La Memoria Collettiva, a cura di Jedlowski, P. e T. Grande. Milano: Unicopli.

Kubal, T., e R. Becerra (2014). “Social Movements and Collective Memory.” Sociology Compass 8(6): 865–75.

Maffione, D. ed. (2021). Da Seattle a Genova: Cronistoria della Rete No Global. Roma: DeriveApprodi.

Melucci, A. ed. (1984). Altri codici. Bologna: il Mulino.

Melucci, A. (1995). ‘The process of collective identity’, in H. Johnston e B. Klandermans (eds.), Social Movements and Culture. Minneapolis: University of Minnesota Press.

Olick, J. K. (1999). “Collective memory: The two cultures”. Sociological theory, 17(3): 333–348.

Paris, C. (2021, 14 luglio). “Il movimento dei movimenti, 2001–2021: l’attualità di un’agenda politica”, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli

Peri, Y. (1999). “The Media and Collective Memory of Yitzhak Rabin’s Remembrance”. Journal of Communication, 49(3): 106–24.

Reed, I. A. (2015). “Deep culture in action: resignification, synecdoche, and metanarrative in the moral panic of the Salem Witch Trials”. Theory and Society, 44(1), 65–94.

Vicari, S. (2015). “The Interpretative Dimension of Transformative Events: Outrage Management and Collective Action Framing After the 2001 Anti–G8 Summit in Genoa”. Social Movement Studies, 14(5): 596–614.

Zamponi, L. (2020). “#ioricordo, Beyond the Genoa G8: Social Practices of Memory Work and the Digital Remembrance of Contentious Pasts in Italy.” Pp. 141–171 in Social Movements, Cultural Memory and Digital Media, edited by Samuel Merrill, Emily Keightley, and Priska Daphi. Cham: Palgrave Macmillan.

Zelizer, B. (1995). “Reading the Past against the Grain: The Shape of Memory Studies.” Critical Studies in Mass Communication, 12(2): 214–39.

 

 

Pietro Casari è laureando magistrale in “Sociology and Social Research” presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università degli Studi di Trento. I suoi principali interessi di ricerca riguardano l’azione collettiva, da una prospettiva sociologico-culturale, e la metodologia dell’analisi formale delle reti sociali ad essa collegate.

Davide Rocchetti è dottorando in Sociologia e Ricerca Sociale presso l’Università di Trento. I suoi interessi di ricerca riguardano l’azione collettiva e la radicalizzazione politica. Nella sua ricerca di dottorato si occupa di movimenti di protesta contro l’estrema destra a livello locale. 

Progetto Co.Me.Ge.2001 (Conflitto e Memoria Genova 2001) è un progetto di ricerca indipendente nato a Trento nella primavera del 2021. L’obiettivo del progetto è studiare i processi socio-culturali di costruzione e negoziazione della memoria collettiva dei fatti avvenuti a Genova nel luglio del 2001, attraverso l’analisi empirica di materiali raccolti sul campo e di archivio. Per info e segnalazioni: co.me.ge.2001@gmail.com