venerdì, Aprile 26, 2024
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Il movimento dei movimenti e i “nuovi stili dei vita”

di Vincenzo Mele

Che cosa resta delle analisi del capitalismo globalizzato del movimento di Genova contro il G8? Ci sono state delle parole d’ordine e delle pratiche che possiamo ancora oggi raccogliere e condividere?

In queste pagine vorrei riflettere su un concetto chiave, che può essere ritrovato in molte delle espressioni del movimento: lo “stile della vita”. Il “movimento dei movimenti” infatti – nelle varietà delle culture e delle pratiche politiche che lo hanno caratterizzato – ha posto tra l’altro la ricerca di “nuovi stili di vita” eticamente orientati, opposti al cinismo e alla mancanza di senso della cultura della globalizzazione neoliberista. Questo tema si è espresso, ad esempio, nella forma del consumo critico, il cui scopo è boicottare i prodotti che non rispettano norme etiche ed ambientali (Gesualdi 1999); nell’attività degli operatori dei media alternativi (italy/indimedia.org) e dei tecnici informatici che gratuitamente si sono dedicati alla contro-informazione o alla creazione di software open source, sfidando il potere monopolistico delle grandi multinazionali informatiche e dei media mainstream (Di Corinto/Tozzi 2002; Himanen 2001); nella variegata cultura di solidarietà del volontariato sociale (Revelli 1997); nella diffusa esigenza di “scalare una marcia”, ovvero rallentare volutamente l’esistenza in opposizione alla filosofia della carriera e del successo (Baker 2001) – esigenza che ha trovato espressione nel movimento della “decrescita felice” (Pallante 2010).

Si potrebbe naturalmente continuare facendo altri esempi, ma lo scopo di questo elenco è esclusivamente quello di evidenziare una nuova modalità di partecipazione politica non convenzionale, che si è espressa nel movimento protagonista delle giornate di Genova e che merita di essere analizzata nei suoi significati culturali e politici. Pur non essendo infatti il fulcro di un programma politico coerente, essa ha rappresentato, a ben guardare, uno dei fondamenti chiave della critica alla globalizzazione neoliberista compiuta dal movimento. Cercheremo dunque di comprendere il significato sociologico di “stile della vita” e di analizzare la sua valenza politica di critica alla globalizzazione neoliberista.

Che cos’è lo stile della vita da un punto di vista sociologico? Diversi autori e fonti possono aiutarci a comprendere questo concetto. In particolare Georg Simmel (1858-1918) con la sua teoria della moderna cultura monetaria – sviluppata principalmente nella sua opera maggiore La filosofia del denaro (1900) – ci può fornire diverse chiavi di lettura per la comprensione delle nuove forme di soggettività che i movimenti sociali cercano di portare alla luce. Nel capitolo finale di quest’opera – intitolata per l’appunto Lo stile della vita ­– lo stile viene definito come “una lingua dotata di suoni e inflessioni particolari e di una sintassi propria per esprimere la vita”, (Simmel 1998, p. 652). Nella sfera dell’arte lo stile è quella donazione di forma che ci aiuta a sostenere l’impressione dell’opera d’arte, negandone l’essenza e il valore del tutto individuali, ovvero il significato della sua unicità. Grazie allo stile, la particolarità della singola opera viene sottomessa a una legge di forma universale che vale anche per altre opere. Nella sfera sociale invece “il problema” dello stile della vita può essere letto come il tentativo dell’individuo di dare una forma universale e condivisa al suo essere individuale nel contesto culturale e storico dato.

Il concetto di stile rappresenta per Simmel un problema, in quanto contiene al suo interno la tensione paradossale delle due tendenze opposte: l’individualità/unicità e la generalità/universalità. Questa tensione può essere compresa ed esemplificata con la difficoltà che può sperimentare ognuno di noi nel costruire la propria vita secondo uno “stile” vero e proprio: il pericolo che si potrebbe correre in questo caso potrebbe essere quello della chiusura in sé stessi (eccesso di individualità) da un lato e del conformismo dall’altro (eccesso di generalità). Lo “stile” propriamente inteso rappresenterebbe il risultato di una individualità ben riuscita, quella che è in grado di dare una forma originale e riconosciuta al proprio percorso di vita. In questa concezione Simmel segue – analogamente a quanto farà Michel Foucault nella fase finale della sua ricerca – il celebre motto di Nietzsche: “diventa ciò che sei”, ovvero l’invito alla “cura di Sé” (Foucault 1985) come grande e difficile virtù etica ed estetica, che si manifesta, appunto, nella capacità di dare uno stile al proprio percorso individuale, fabbricando una identità coerente con i suoi propri principi liberamente accettati e lungamente meditati. L’importante, in questa visione, è essere capaci di trovare un senso e un valore nel proprio divenire, assegnandovi una prospettiva unitaria, costruendo continuamente la propria vita come un’opera d’arte – per buona o cattiva che sia – e rivelandola frutto di uno stesso nucleo originario. Se anche la vita può essere conformata come un’opera d’arte, ciò può produrre degli importanti effetti nel campo dell’etica, come Simmel stesso mostrerà nella sua riflessione sulla legge individuale (Simmel 2001): la vita riuscita, al pari dell’opera d’arte, produce imitazione, funziona da esempio.

Chi configura uno stile di vita esemplare, governa la propria vita in modo da renderla disponibile all’attenzione degli altri, suscitando consenso e condivisione. Infatti, come è stato efficacemente scritto, “uno dei possibili modi di pensare la validità normativa in un contesto segnato dalla cosiddetta assenza di fondamenti, e dunque dall’impossibilità di intendere la validità come rispondenza a principi primi, o anche più semplicemente a principi della razionalità, è quella di pensarla in termini di autocongruenza esemplare di un’identità con sé stessa” (Ferrara 1999, p. 65). Il fatto che Simmel abbia formulato il problema dell’espressione della personalità e, in generale, il rapporto tra soggetto e oggetto in termini estetico-espressivi, ricorrendo all’ambito dello stile, non è un limite – come gli è stato spesso criticato – ma un motivo di attualità: egli infatti ha pronosticato più di cento anni fa la modernità come un’epoca di radicale individualismo, non vedendo questo necessariamente come una patologia. In un’epoca in cui l’etica perde autorità ed efficacia di fronte alla logica onnipresente e livellante del denaro, non resta al singolo che seguire la propria legge individuale. In mancanza di norme socialmente condivisibili, ciascuno di noi può essere chiamato a scolpire la propria esistenza al pari di una statua, diventando legislatore della propria vita. L’“estetica dell’esistenza” può presentarsi come un’etica degna di questo nome, frutto del “lavoro” condotto da ciascuno su di sé.

Il “paradosso dello stile” (Mele 2008), evidenziato da Simmel più di un secolo fa, descrive efficacemente la situazione di forte ambivalenza che caratterizza la cultura globale contemporanea. Da un lato, si assiste ad una “stilizzazione” – nel senso di omologazione – dei gusti e dei comportamenti, condizionata prevalentemente dal mondo della pubblicità e del marketing, funzionale a un consumo di merci sempre più elaborate da un punto di vista simbolico e comunicativo. Dall’altro, è la stessa critica di questo stato di cose ad esprimersi – con più o meno efficacia politica – prevalentemente attraverso “stili di vita” reattivi ed alternativi, in quanto eticamente ispirati. Entrambi sono aspetti di una più generale tendenza verso l’“estetizzazione della vita quotidiana” (Featherstone 1994) propria di questa fase economica e culturale, che attraversa gli ambiti del consumo così come quelli dell’identità e della partecipazione politica.

Questa forma di impegno mette in primo piano l’aspetto “espressivo” e identitario degli individui, che fanno politica cercando di portare nella loro attività i propri bisogni e di modificare in primo luogo il proprio percorso di vita, evitando generalmente l’adesione ideologica ad un partito o ad un gruppo politico. Ne consegue che l’interesse verso l’impegno politico nei movimenti sociali che contestano la logica neoliberista della globalizzazione può derivare più dalla trasformazione della propria soggettività in senso alternativo alla cultura dominante che dall’agire politico tradizionale, finalizzato alla “conquista del potere” nella sfera statuale o transnazionale. La premessa per una reale trasformazione sociale viene dunque vista nella trasformazione del sé e della propria vita quotidiana (Andretta, Della Porta, Mosca 2002).

La scelta di uno stile di vita, nel contesto sociale odierno, può riuscire a svolgere una funzione etico-politica oppure è esclusivamente destinata a rimanere nell’ambito privato oppure a farsi colonizzare dalla logica del consumismo estetico? Può essere considerato questo come un lascito culturale e politico duraturo del movimento di Genova?

Senza pretesa di esaurire una questione così complessa in poche righe, è possibile sostenere che la scelta di uno stile di vita reattivo e critico nei confronti degli aspetti cinici, omologanti e strumentali della cultura monetaria globale, può assumere significato ed efficacia nell’ambito di quella che Beck (2000) ha chiamato subpolitica. Per subpolitica l’autore intende la dislocazione di fatto di gran parte dei processi decisionali politicamente rilevanti dalle loro tradizionali sedi deputate (parlamenti e governi) a istanze ritenute comunemente non politiche (in senso tradizionale) come la scienza, la tecnica, l’economia e l’apparato amministrativo, senza contare il potere delle corporations multinazionali. Tali soggetti subpolitici, pur essendo privi di qualsiasi legittimazione democratica, mettono sistematicamente la società di fronte a “fatti compiuti” difficilmente revocabili. Se vi sono soggetti capaci di contrastare il potere subpolitico, per Beck essi vanno cercati non fuori, ma dentro il quadro della subpolitica. I movimenti sociali di critica alla globalizzazione neoliberista si pongono, al momento, come una delle forme più rilevanti di contropotere subpolitico, la cui forza non viene da gruppi di interesse costituiti, da chiare identità di classe o da forme di appartenenze tradizionali, ma dall’iniziativa di individui, che scelgono singolarmente di dedicarsi a una causa subpolitica (come quella, ad esempio, del consumo critico o degli stili di vita sostenibili da un punto di vista ambientale).

Se l’analisi di Beck coglie nel segno, nella società della “seconda modernità” entrano a far parte della politica tutta una serie di pratiche della nostra vita quotidiana – il consumo in primo luogo, ma anche il rapporto con l’ambiente o il “fare società” mediante la costruzione di legami sociali non mercantili – che non è possibile far rientrare nel concetto tradizionale di partecipazione politica liberale, che trova il suo culmine nel momento del voto, o in quello della tradizionale militanza partitica novecentesca: in altri termini, si creano ambiti di significato, nonché di intervento politico, che non ricadono più nell’ambito di azione né del classico concetto di cittadinanza né in quello del militante partitico. In un contesto di sempre maggiore accentuata differenziazione sociale appare sempre più improbabile che l’impegno politico novecentesco tradizionale possa costituire l’elemento fondante di un’identità sociale, come quella moderna, che si presenta come estremamente differenziata.

Le forme di partecipazione sub-politica mobilitano inevitabilmente scelte più intime, coinvolgendo la vita privata e le scelte personali che non rientrano nelle tradizionali forme di esercizio della cittadinanza. Si sviluppano pertanto nuove forme di partecipazione e di impegno politico che si esprimono anche comprando un prodotto piuttosto che un altro o decidendo di spostarsi in bicicletta piuttosto che in auto. Lo stile della vita si manifesta con gesti politici quotidiani, come consumando meno e meglio o rallentando il proprio ritmo di vita e non si sostituisce alle forme tradizionali di cittadinanza politica e sociale, ma ne costituisce il complemento in un contesto culturale in cui esse non sembrano più capaci né di fornire senso né di intervenire in maniera efficace.

Possiamo quindi concludere che la ricerca di uno stile della vita etico può rappresentare l’elemento portante di una nuova forma di cittadinanza attiva durevole – al di là delle contingenze dei movimenti sociali – che intenda essere all’altezza dei mutamenti imposti dalla globalizzazione, ovvero in un contesto dove le forme di partecipazione politica tradizionali sembrano aver perduto efficacia e significato da un punto di vista etico. Lo stile di vita eticamente ed esteticamente ispirato può rivitalizzare la cittadinanza e fornirle il senso che le forme tradizionali di partecipazione ed intervento politico non sembrano più in grado di offrire. Si può affacciare in queste nuove modalità di partecipazione il pericolo dell’irrazionalismo, del soggettivismo, del fondamentalismo identitario? Quest’ultimo rischio sembrerebbe allontanato dal fatto che lo stile di vita etico viene generalmente ritenuto alla base di una forma di cittadinanza sociale complessa e liberamente condivisa con altri e, quindi, non dovrebbe cadere in una prospettiva di ripiego individualistico. L’estetica, in altri termini, rappresenta una risorsa etico-politica nella fase della modernità al suo culmine e non una forma di “riduzione” della complessità sociale. Può pertanto esistere una estetizzazione “buona” della politica il cui scopo è di “rivitalizzare” l’illuminismo critico contro la sua fine apparente e radicalizzare la modernità contro i limiti che le sono stati imposti dalla società industriale.

 

Riferimenti bibliografici

Andretta M., Della Porta D., Mosca L. (2002), Global, noglobal, new global. La protesta contro il G8 a Genova, Laterza, Bari.

Baker C. (2001), Ozio, lentezza e nostalgia. Decalogo mediterraneo per una vita più conviviale, EMI, Bologna 2001.

Beck U. (2000), La società del rischio. Verso una seconda modernità, Carocci, Roma.

Di Corinto A., Tozzi T., “Hacktivism. La libertà nelle maglie della rete”, 2002, Manifestolibri,

Featherstone M. (1994), Cultura del consumo e postmodernismo, SEAM, Roma.

Ferrara A. (1999), Tracce di universalismo esemplare nella tradizione sociologica, in “La società degli individui”, n. 6, anno II, 1999/3, pp. 63-78.

Foucault M. (1985), La cura di sé, Feltrinelli, Milano.

Gesualdi F. (1999), Manuale per un consumo responsabile. Dal boicottaggio al commercio equo e solidale, Feltrinelli, Milano.

Himanen P. (2001), L’etica hacker e lo spirito dell’età dell’informazione, Feltrinelli.

Mele V. (2008), “Paradossi dello stile nella cultura globale Un’analisi simmeliana”, in La società degli individui, vol. 32, pp. 135-150.

Pallante M. (2010) La Decrescita felice, la qualità della vita non dipende dal Pil, Roma, Edizioni per la Decrescita Felice

Revelli M. (1997), La sinistra sociale. Oltre la civiltà del lavoro. Bollati Boringhieri, Torino.

Simmel G. (1998). La filosofia del denaro, UTET, Torino.

Simmel G. (2001), La legge individuale, Armando, Roma.

 

Vincenzo Mele è professore associato in Sociologia generale al Dipartimento di Scienze Politiche e membro del Centro Interdisciplinare “Scienze per la Pace” dell’Università di Pisa. Ha studiato, tra le altre cose, il rapporto tra estetica e sociologia e il nesso tra nuovi media e costruzione della soggettività. È editor della rivista “Simmel Studies”.