venerdì, Dicembre 6, 2024
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La popolazione di Gaza ridotta alla fame: il rapporto di Oxfam

a cura di Guglielmo Accardo

In base alla Quarta Convenzione di Ginevra, Israele ha il dovere di garantire che i civili presenti nei propri territori occupati, come la Striscia di Gaza, possano accedere alle forniture alimentari e mediche essenziali. Tuttavia, secondo il rapporto “Inflicting Unprecedented Suffering and Destruction” (Infliggere sofferenze e distruzioni senza precedenti) recentemente pubblicato da Oxfam International, l’accesso di beni di prima necessità nella Striscia è ulteriormente peggiorato da quando, a fine gennaio, la Corte Internazionale di Giustizia ha intimato a Israele di “adottare misure immediate ed efficaci per consentire la fornitura di servizi di base urgentemente necessari e di assistenza umanitaria per affrontare le condizioni di vita avverse dei palestinesi nella Striscia di Gaza”. L’impedimento all’ingresso di cibo e altri beni essenziali nella Striscia viola vari obblighi internazionali, ricordati tra l’altro nella Risoluzione 46/182 dell’Assemblea delle Nazioni Unite, in cui si ribadisce come l’assistenza umanitaria debba essere fornita alle popolazioni civili in conformità con i principi di umanità, neutralità, imparzialità e indipendenza.

Secondo il rapporto di Oxfam, l’”assedio totale” imposto da Israele nella Striscia di Gaza dal 10 ottobre scorso ha peggiorato una situazione già critica, ostacolando attivamente l’ingresso di cibo, acqua, medicinali, elettricità, carburante e qualsiasi altra forma di aiuto umanitario, tramite la totale o parziale chiusura dei valichi operativi ai confini. Dal 21 ottobre al 15 dicembre, il valico con l’Egitto, non destinato ad accogliere un gran numero di camion, è stato l’unico punto di ingresso per il flusso di aiuti.

Nonostante l’Egitto gestisca formalmente tale valico, le autorità israeliane ne hanno la gestione de facto. Dalla fine di gennaio hanno implementato un meccanismo obbligatorio di controllo su tutte le merci che entrano a Gaza, che rallenta notevolmente il ritmo di ingresso dei camion: a febbraio si è registrata una riduzione del 44% degli aiuti consegnati rispetto al mese precedente. Il risultato è che 1,7 milioni di palestinesi (il 75% della popolazione di Gaza) sono a rischio carestia. Tale condizione viene ulteriormente aggravata dal fatto che la stragrande maggioranza della popolazione non ha accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici, a causa dell’interruzione delle forniture di elettricità che ha messo fuori uso gli impianti di purificazione e distribuzione dell’acqua nella Striscia.

Il blocco del carburante imposto da Israele ha provocato, infatti, l’arresto dell’unica centrale elettrica dell’area: secondo un’analisi delle immagini satellitari condotta da Care, l’illuminazione notturna dell’intera Striscia si è ridotta del 84%, con un impatto particolarmente significativo su Gaza City, dove si è registrato un calo del 91%. La mancanza di carburante ed elettricità ha gravi ripercussioni sull’assistenza sanitaria, mentre i continui bombardamenti israeliani hanno reso non funzionanti almeno due terzi degli ospedali e oltre l’80% delle strutture sanitarie di Gaza. Allo stesso tempo, articoli come torce elettriche, batterie, tubi per l’acqua, accessori e forniture mediche, respinti ai confini a causa della politica israeliana sui materiali a doppio uso, ovvero beni civili con potenziale uso militare, costringono le strutture mediche parzialmente funzionanti a curare i 70.000 feriti che necessitano di cure mediche con forniture assai limitate e con un personale ridotto.

Dall’inizio dell’offensiva su Gaza fino al 27 febbraio 2024, sono stati riportati diversi bombardamenti israeliani su strutture umanitarie e convogli di aiuti, inclusi gli uffici delle ONG. A causa di questi e altri attacchi, diversi operatori umanitari appartenenti ad organizzazioni internazionali sono stati uccisi [da ultimo, 7 operatori della ONG statunitense World Central Kitchen, ndr] costringendo le principali agenzie umanitarie a sospendere le loro operazioni. Ad esempio, il Programma Alimentare Mondiale (PAM), principale fornitore di cibo per le persone colpite dalla carestia nel nord di Gaza, ha dovuto sospendere le operazioni per tre settimane a seguito di un attacco israeliano a un camion. Inoltre, dalla fine di gennaio, molti paesi a partire da Israele e Stati Uniti, hanno sospeso i propri finanziamenti all’Agenzia delle Nazioni Unite per il Rifugiati Palestinesi (UNRWA), soggetto chiave nella fornitura di aiuti umanitari alla popolazione di Gaza, sulla base delle accuse mosse da Israele ad alcuni dipendenti palestinesi dell’Agenzia di aver preso parte agli attacchi del 7 ottobre.

Nella speranza di sottrarsi ai continui bombardamenti, che hanno distrutto oltre il 70% degli edifici della Striscia, almeno 1,7 milioni di persone si sono spostate nell’area meridionale di Rafah. Gli sfollamenti sono avvenuti su esplicito ordine delle forze israeliane, che hanno via via fatto spostare la popolazione verso aree definite “zone sicure”, su cui tuttavia non sono mancati attacchi. Inoltre, in tali zone, non vengono rispettate le condizioni di vita minime stabilite dal diritto internazionale umanitario, tra cui un alloggio adeguato, servizi igiemici, assistenza sanitaria, sicurezza, cibo e il mantenimento dell’unità familiare. Qualora l’esercito israeliano dovesse intraprendere un’azione militare diretta su Rafah, come annunciato da alcune settimane e recentemente confermato dal Primo ministro Netanyahu, le conseguenze potrebbero essere pesantissime in termini di vite umane.

Guglielmo Accardo è laureato in “Sociologia e ricerca sociale” all’Università di Pisa e collabora con Scienza&Pace Magazine.