venerdì, Dicembre 6, 2024
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“Difendiamo in modo imparziale i diritti umani”. Intervista a Riccardo Noury

Nel conflitto armato in corso tra Israele e Hamas le organizzazioni non governative, che chiedono il rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario da parte di tutti gli attori, stanno svolgendo una funzione essenziale. Tuttavia, proprio per la loro imparzialità, esse corrono il rischio di essere bersaglio di critiche. In questa intervista Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, affronta la questione chiarendo le modalità con cui l’organizzazione sta operando nell’attuale escalation di violenza, compresa la scelta di non partecipare a Lucca Comics. Amnesty è impegnata a dar voce ai movimenti pacifisti e nonviolenti in Israele e Palestina, a contrastare la diffusione dei discorsi d’odio antisemiti e anti-musulmani ed a promuovere una narrazione adeguatamente complessa ed equilibrata del conflitto e delle sue cause: un ruolo reso ancora più importante in un momento in cui appaiono evidenti le difficoltà del sistema delle Nazioni Unite nel fermare la violenza e garantire il rispetto dei diritti umani per tutte e tutti.

Le organizzazioni di difesa dei diritti umani hanno denunciato le stragi compiute da Hamas il 7 ottobre, ma hanno anche richiamato il governo israeliano al rispetto del diritto internazionale umanitario. In alcuni casi, non hanno esitato a denunciare le violazioni commesse dall’esercito di Israele a Gaza. Qual è il punto di vista di Amnesty su ciò che sta avvenendo? E come spiega le critiche ricevute nel momento in cui, svolgendo la propria missione, denuncia le violazioni dei diritti umani e i possibili crimini di guerra commessi da tutte le parti in conflitto?

Amnesty International è abituata a esaminare e a giudicare le azioni che vengono commesse durante i conflitti armati, non gli attori che le commettono, sulla base del diritto internazionale umanitario. È chiaro che, in una prima fase, Hamas e altri gruppi armati palestinesi hanno commesso crimini di guerra uccidendo in massa civili israeliani e prendendone in ostaggio oltre 200, così come è chiaro che la reazione israeliana ha dato luogo a una serie di crimini di guerra, tra cui attacchi diretti contro obiettivi civili, attacchi sproporzionati, punizioni collettive come il blocco di forniture essenziali, trasferimenti forzati su ordine di evacuazione di parte della popolazione della Striscia di Gaza. Il problema è che, quando si simpatizza con uno degli attori di un conflitto armato, per cui “fa il tifo”, si rinuncia a un giudizio imparziale.

Tre settimane fa una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che chiedeva il cessate il fuoco non è passata per il veto degli Stati Uniti. Una risoluzione non vincolante dell’Assemblea Generale è, invece, stata adottata a larga maggioranza ma con vistose astensioni, tra cui quella del governo italiano. Un’ulteriore riunione del Consiglio di Sicurezza si è conclusa senza nessuna decisione. Siamo davanti al fallimento del sistema delle Nazioni Unite e della comunità internazionale nel garantire la pace e il rispetto dei diritti umani per tutte e tutti, senza discriminazioni?

La risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che è stata approvata [con 120 voti a favore, 14 contrari e 45 astensioni, ndr] aveva un obiettivo prettamente umanitario [il testo chiedeva una “tregua umanitaria immediata, durevole e sostenuta”, il rispetto del diritto umanitario internazionale, la fornitura “continua, sufficiente e non ostacolata” di forniture e servizi essenziali nella Striscia di Gaza, la “liberazione immediata e incondizionata” di tutti i civili tenuti in ostaggio, nonché garanzie per la loro sicurezza e il trattamento in conformità al diritto internazionale, ndr]. La risoluzione è stata oggetto di varie proposte di emendamento, su cui i paesi dell’Unione europea sono andati in ordine sparso [nella versione finale, la risoluzione è stata votata da Francia, Belgio, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Portogallo, Slovenia e Spagna, ndr].

Il fallimento della comunità internazionale e delle sue istituzioni sta nei doppi standard, nella mancata attuazione delle precedenti risoluzioni delle Nazioni Unite, nella mancata riforma del Consiglio di Sicurezza che Amnesty International chiede da anni, come quella di abolire il diritto di veto degli stati membri permanenti del Consiglio in caso di gravi violazioni di diritti umani e gravi crisi umanitarie, anche nel momento in cui sarebbe possibile prevenirle.

Iniziative simboliche, come quella di Amnesty International, di ritirare il proprio sostegno a eventi pubblici come il Lucca Comics per il patrocinio dato dall’ambasciata israeliana, hanno suscitato reazioni molto critiche. Che cosa vi ha motivato a prendere questa iniziativa? Come spiegare l’attenzione rivolta a queste scelte, critiche verso il governo israeliano, mentre si fa fatica a dare attenzione al contesto, alle cause del conflitto in corso e alle vittime di tutte le parti?

La nostra decisione di non partecipare al Lucca Comics con le attività che avevamo in programma, di carattere prettamente educativo nei confronti dei più piccoli, è legata al ruolo dell’ambasciata israeliana come soggetto patrocinatore. L’ambasciata rappresenta un governo, dal quale riceve istruzioni. Quel governo sta di fatto ordinando alle proprie forze armate condotte di guerra che violano i principi del diritto internazionale umanitario [come il principio di distinzione, che impone di distinguere tra combattenti e non combattenti, obiettivi militari e civili, o il principio di proporzionalità, che richiede di valutare se vi sia un vantaggio militare concreto e diretto nell’azione, in relazione alle perdite umane e ai danni alla popolazione civile, ai beni culturali e ai beni civili, incidentalmente provocati, ndr]. Amnesty International non ha ritenuto coerente partecipare a questo evento mentre denunciava le azioni dell’esercito israeliano. È stata una scelta di una singola organizzazione, preceduta e seguita da scelte di singoli artisti di non partecipare. È stato detto: “è solo un festival di arte, non lo carichiamo di significato politico”. Poi alcuni esponenti politici lo hanno caricato esattamente di quel significato e ciò ha dato il via a una irresponsabile narrazione sulle ragioni della nostra scelta.

Qual è il ruolo delle organizzazioni non governative nella produzione e diffusione di una narrazione adeguatamente complessa e comunque accurata dei conflitti armati, funzionale alla loro risoluzione nonviolenta?

Il ruolo delle organizzazioni non governative è quello di mantenere indipendenza, imparzialità di giudizio, produrre informazioni verificate, condannare in maniera inequivocabile le azioni che violano i diritti umani, chiunque sia l’attore che le ha commesse, e insistere sulla necessità che per questo ennesimo conflitto, ancora più sanguinoso degli altri, vi sia un pronunciamento della giustizia internazionale perché questi conflitti si nutrono di tante cose, compresa l’impunità. Naturalmente, dopo aver espresso tutte le critiche ritenute opportune per difendere e far rispettare i diritti umani, è evidente che bisogna comprendere quali siano le cause di fondo, le radici, del conflitto facendo i conti con la sua complessità. Chi prova a fare questo ragionamento, a partire dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, viene accusato di essere un “complessista”, cioè uno che si permette di parlare delle cause e del contesto della violenza. Crediamo che avviare questo genere di riflessione sia fondamentale, perché il conflitto non è iniziato il 7 ottobre: non sono iniziati i crimini di guerra di Hamas il 7 ottobre, così come non sono iniziati quelli di Israele il 7 ottobre.

In Israele, come in Palestina, sono attivi numerosi movimenti pacifisti ma vengono molto spesso silenziati. Che ruolo può svolgere una organizzazione di dimensioni globali, con una lunga e autorevole storia alle spalle come Amnesty, per rimediare a questa invisibilizzazione?

Il ruolo di Amnesty International e di altre organizzazioni non governative è quello di essere un megafono di quei movimenti impegnati per la pace e il rispetto dei diritti umani che sono spesso soffocati, tanto in Israele quanto nei Territori occupati dove, voglio ricordarlo, anche Al Fatah svolge attività di governo con modalità a volte arbitrarie e discutibili. Dobbiamo denunciare, cosa che facciamo, la criminalizzazione delle Ong palestinesi e israeliane impegnate per la pace e i diritti e, soprattutto in questo periodo, impedire ogni tentativo da parte dei governi occidentali di tagliare i fondi a queste realtà. Si cadrebbe viceversa nella narrazione, sostenuta senza fondamento dall’attuale governo israeliano, secondo cui queste organizzazioni sarebbero, in qualche modo, di appoggio al terrorismo se terroristiche loro stesse.

Amnesty ha rilevato, dopo il 7 ottobre, un aumento dei discorsi d’odio sui social media contro le comunità sia palestinesi che ebraiche. Ma ha anche segnalato che le moderazioni messe in atto dalle società proprietarie dei social sono state in alcuni casi discriminatorie e hanno condotto alla censura delle voci che denunciavano le violazioni dei diritti dei palestinesi. Come spiegare questi comportamenti e come riequilibrare tali disparità?

È vero: con l’escalation della violenza sono aumentati anche i discorsi d’odio. Abbiamo assistito in particolare a un forte rigurgito di antisemitismo. La cosa che più amareggia è che tale rigurgito avviene nel momento in cui c’è stato il più grande numero vittime di religione ebraica dalla fine della Seconda guerra mondiale. Ciò è veramente deplorevole. Al tempo stesso, abbiamo registrato un aumento delle espressioni di odio contro i palestinesi o contro chi professa la religione musulmana, attraverso accostamenti ingiustificati al terrorismo.

La narrazione del conflitto, inizialmente acritica nei confronti di Israele, ha fatto sì che le voci contrarie [all’uso sproporzionato e indiscriminato della forza da parte dell’esercito israeliano, ndr] venissero ridotte al silenzio, diventando semi-invisibili. Le piattaforme social hanno opportunamente censurato ogni forma di glorificazione degli attacchi di Hamas, ma hanno anche adottato criteri di moderazione eccessivamente severi verso profili e contenuti pro Palestina, che chiedevano il rispetto del diritto internazionale e dei diritti dei palestinesi.

Sarebbe molto importante che queste piattaforme (e Amnesty International ha fatto appelli in questo senso) ripristinassero una piena parità. Proprio in questo momento estremamente critico chi manifesta solidarietà e impegno per i diritti dei palestinesi non può essere censurato.

Intervista a cura di Chiara Magneschi, realizzata il 9 novembre 2023 e chiusa in redazione il 13 novembre 2023.

Riccardo Noury è portavoce di Amnesty International Italia, di cui fa parte dal 1980. È autore o coautore di pubblicazioni dedicate alle violazioni dei diritti umani, in particolare sulla pena di morte e la tortura.