Le donne nei processi di pace dal Novecento a oggi
a cura di Chiara Magneschi
Si è tenuto venerdì 22 ottobre 2021 il seminario di approfondimento, introdotto e coordinato dalla professoresse Elisa Rossi e Roberta Mira, che l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia – Dipartimento di Studi linguistici e culturali, la Rete Università per la Pace e il Comune di Modena hanno voluto dedicare al ruolo delle donne nei processi di pace, con una prospettiva allargata, in molteplici sensi.
Allargare la prospettiva nel tempo
Elda Guerra ha compiuto un’analisi delle prime azioni del “Movimento internazionale delle donne” e delle sue evoluzioni, esaminando alcune delle principali problematiche che questi movimenti hanno affrontato, come l’affermazione del nazismo e del fascismo. Una prospettiva che arricchisce di orgoglio la lotta quotidiana delle donne e dà forza all’identità del movimento femminista, alle sue enormi sfide e conquiste. Incoraggiante riflettere, come Elda Guerra invita a fare, su quanta strada la tenacia femminile abbia fatto percorrere al movimento, giunto a essere un’organizzazione avente lo status di consulente presso le Nazioni Unite: il più alto status che una ong possa ottenere a livello internazionale, la quarta ad avere avuto tale riconoscimento. Bellissime le immagini a corredo della relazione, come quella del carro (letteralmente) carico delle petizioni per il disarmo che il Movimento trasportò fino all’Assemblea dell’ONU alla vigilia della seconda guerra mondiale.
Luisa Del Turco ha condotto un excursus storico partendo dall’individuazione delle primissime tappe che hanno riconosciuto la rilevanza della dimensione di genere nelle situazioni di conflitto e nei processi di pace. Dalla storica risoluzione n. 1325 del 2000, “Women and Peace and Security”, del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con cui si riconosceva il ruolo delle donne per la pace e la sicurezza internazionali, prevedendo una serie di misure di carattere operativo, si sono dovuti attendere quasi altri dieci anni perché iniziassero a fiorire in rapida successione molte altre risoluzioni sul tema. La relatrice ha mostrato come, all’inizio di questo cammino, la “lente” di genere sia stata legata esclusivamente al tema dei diritti umani e come, a poco a poco, sia riuscito a emergere il valore specifico delle donne nel “far funzionare meglio le missioni di pace”.
Allargare la prospettiva nello spazio
Laura Guercio ha offerto una panoramica storica della tutela processuale internazionale dei diritti delle donne. Dalla mancanza di protezione giurisdizionale per i casi di stupro nei conflitti, considerati un “effetto collaterale” delle guerre, si è passati a una prospettiva faticosamente raggiunta, di centralità dei diritti delle donne e tutela delle loro violazioni, dove però il valore trainante era il “pudore femminile” (si veda art. 27, II comma, IV Convenzione di Ginevra), fino a un’evoluzione ulteriore: con l’introduzione dello stupro tra i casi di violazione del diritto internazionale umanitario (si veda art. 5, Statuto del Tribunale Penale Internazionale per l’Ex Jugoslavia) il crimine è riconosciuto a prescindere dalla lesione del pudore. L’evoluzione del quadro giuridico è proseguita, fino ad arrivare alla conquista di meccanismi di riparazione e sostegno per le vittime.
Valentina Grassi ha poi invitato a dialogare, simbolicamente, con le donne attive in Medio Oriente e in Nord Africa, da lei intervistate per la realizzazione del recente volume “Donne, pace e sicurezza tra essere e dover essere”, di cui è coautrice insieme a Laura Guercio. Donne fondamentali – benché ancora poco coinvolte nei dialoghi di ricostruzione post-conflitto – nelle Primavere Arabe, alle quali hanno preso parte, in seguito contribuendo allo stabilirsi della pace nei vari territori. Dallo scambio emerge l’appello a dare più spazio alle competenze femminili e “locali” nei processi di pace delle società a maggioranza musulmana.
Diego Battistessa, autore del recente “America Latina. Donna forte e insorgente”, ha approfondito il contesto latinoamericano e caraibico, dove è in atto un “movimento tellurico” femminile per la pace positiva, intesa dunque non come mera assenza di guerra, ma come insieme delle condizioni per il “florecimiento humano”. Il relatore ha testimoniato con quanta tenacia figure femminili di grandissimo spessore stiano guidando vere e proprie rivoluzioni nonviolente su temi cruciali, come le discriminazioni razziali, specifiche e intersezionali (specie per gli/le afro-discendenti), il processi migratori verso gli Stati Uniti, l’impatto delle società multinazionali. Battistessa ha intervistato molte di queste leaders, come Moira Millàn (indigena mapuche del movimento del Buon Vivere), Las patronas di Veracruz (casalinghe e contadine messicane che preparano pasti da lanciare letteralmente ai treni con a bordo i migranti in viaggio per gli Stati Uniti), Sonia Bermúdez (che seppellisce i migranti venezuelani rimasti senza nome, altrimenti condannati alle fosse comuni).
Allargare la prospettiva a voci provenienti da contesti diversi
I contributi delle accademiche e degli accademici (nonché attivisti) si sono alternati a quelli delle attiviste e degli attivisti in senso stretto, impegnati a vari e diversi livelli. Caterina Liotti, del Centro documentazione donna di Modena, ha parlato del tema privilegiato dalla loro biblioteca, quello di genere, che conta più di cento testi sul rapporto tra donne e pace.
Lilya Hamadi ha presentato le attività della Rete Tam Tam di Pace di Modena, nata ufficialmente nel 2015, e la cui Assemblea è composta per tre quarti da donne. La rete riunisce molte e diverse associazioni di più remota costituzione, ognuna con una propria fisionomia, ma tutte accomunate dalla forte vocazione nonviolenta.
Giulia Zurlini Panza è intervenuta per Operazione Colomba, un corpo nonviolento di pace che opera in zone di guerra con operazioni di peacemaking, peacekeeping e peacebuilding, promuovendo la creazione di spazi di pace in aree di conflitto armato attraverso il principio della “condivisione diretta”: la vita dei soggetti “esterni” ai conflitti vale tanto quanto quella delle vittime dei conflitti armati, motivo per cui scelgono di esporsi anch’essi al conflitto armato.
In conclusione, si è trattato di un’occasione di arricchimento culturale e umano di alto livello, di cui siamo grate alle relatrici e al relatore. Un autentico allargamento di prospettive.
Chiara Magneschi è avvocata, ricercatrice aggregata al Centro Interdisciplinare “Scienze per la Pace” e docente a contratto in Teorie giuridiche e politiche e diritti umani presso il Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Università di Pisa. E-mail: chiaramagneschi@gmail.com