venerdì, Dicembre 6, 2024
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In Palestina è in corso un genocidio? L’opinione dello storico Omer Bartov

In un editoriale pubblicato sul New York Times, Omer Bartov, professore di studi sull’Olocausto e sui genocidi alla Brown University di Providence, offre un’analisi critica delle operazioni militari israeliane in corso a Gaza, discutendo la possibilità di inquadrare quanto sta avvenendo come un genocidio. Riconoscendo le difficoltà di identificare, in termini giuridicamente certi, l’esistenza di un genocidio in corso, Bartov afferma che le azioni avviate dall’esercito israeliano in risposta all’attacco di Hamas del 7 ottobre rappresentano delle violazioni evidenti del diritto internazionale umanitario e che possono constituire, per i responsabili, dei crimini di guerra e contro l’umanità. Invitando alla prudenza nell’usare la pesante categoria di genocidio, Bartov sottolinea l’assoluta necessità di intervenire prontamente per fermare le uccisioni indiscriminate di civili a Gaza. In conclusione, Omer Bartov invita le istituzioni internazionali, specialmente quelle deputate alla memoria dello sterminio, a prendere una posizione pubblica su quanto sta accadendo a Gaza e in Cisgiordania: è giunto il momento di prendere posizione innanzitutto contro la retorica vendicativa e disumanizzante che, legittimando le violazioni del diritto internazionale umanitario, potrebbe portare a conseguenze irreparabili. La storia può e deve, a suo avviso, essere utilizzata in modo critico per riconoscere e fermare le intenzioni genocidiarie prima che si concretizzino.

di Omer Bartov

Le operazioni militari israeliane hanno prodotto una crisi umanitaria insostenibile, destinata a peggiorare nel tempo. Ma le azioni di Israele – come sostengono gli oppositori del governo – stanno rasentando la “pulizia etnica” o, in modo più grave ed esplosivo, il “genocidio”?

Come storico dei genocidi, ritengo che non ci siano prove sufficienti che un genocidio sia attualmente in corso a Gaza, anche se è molto probabile che si stiano verificando crimini di guerra e persino crimini contro l’umanità. Ciò comporta, però, due conseguenze che ritengo importanti: in primo luogo, dobbiamo definire cosa stiamo vedendo e, in secondo luogo, abbiamo la possibilità di fermare la situazione prima che peggiori. Sappiamo dalla storia che è fondamentale avvertire del potenziale genocidio prima che si verifichi, piuttosto che condannarlo tardivamente, dopo che è avvenuto. Credo che abbiamo ancora questo tempo.

È chiaro che la violenza quotidiana scatenata su Gaza è insopportabile e insostenibile. Dal massacro del 7 ottobre da parte di Hamas – esso stesso un crimine di guerra e un crimine contro l’umanità – l’assalto militare aereo e terrestre di Israele su Gaza ha ucciso più di 10.500 palestinesi, secondo il Ministero della Salute di Gaza, un numero che include migliaia di bambini [al 20 novembre, le stime parlano di 13.300 persone uccise a Gaza, di cui 5.500 minori, ndr]. Si tratta di un numero di persone ben cinque volte superiore a quello delle oltre 1.400 persone uccise da Hamas in Israele [le autorità di Tel Aviv hanno recentemente quantificato in circa 1.200 le vittime israeliane, ndr]. Nel giustificare l’attacco su Gaza, i leader e i generali israeliani hanno fatto dichiarazioni terrificanti, che indicano un intento genocida.

Tuttavia, l’orrore collettivo per ciò che stiamo osservando non significa che un genocidio, secondo la definizione legale internazionale del termine, sia già in corso. Poiché il genocidio, talvolta definito “il crimine di tutti i crimini“, è percepito da molti come il più estremo di tutti i crimini, c’è spesso l’impulso a descrivere qualsiasi caso di omicidio e massacro di massa come genocidio. Ma questo impulso a etichettare tutti gli eventi atroci come genocidi tende a offuscare la realtà piuttosto che a spiegarla.

Il diritto internazionale umanitario identifica diversi crimini gravi nei conflitti armati. I crimini di guerra sono definiti nelle Convenzioni di Ginevra del 1949 e nei successivi protocolli come gravi violazioni delle leggi e delle consuetudini di guerra nei conflitti armati internazionali, sia contro i combattenti che contro i civili. Lo Statuto di Roma, che ha istituito la Corte penale internazionale, definisce i crimini contro l’umanità come lo sterminio o altri crimini di massa contro qualsiasi popolazione civile. Il crimine di genocidio è stato definito nel 1948 dalle Nazioni Unite come “l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, in quanto tale”.

Quindi, per dimostrare che è in atto un genocidio, dobbiamo dimostrare sia l’intenzione di distruggere, sia che l’azione distruttiva si sta svolgendo contro un particolare gruppo. Il genocidio come concetto giuridico si differenzia dalla pulizia etnica in quanto quest’ultima, che non è stata riconosciuta come crimine a sé stante dal diritto internazionale, mira a rimuovere una popolazione da un territorio, spesso in modo violento, mentre il genocidio mira a distruggere quella popolazione ovunque essa si trovi. In realtà, ognuna di queste situazioni – e in particolare la pulizia etnica – può degenerare in genocidio, come è accaduto nell’Olocausto, che è iniziato con l’intenzione di rimuovere gli ebrei dai territori controllati dalla Germania e si è trasformato nell’intenzione di sterminarli fisicamente.

La mia più grande preoccupazione nell’assistere allo svolgimento del conflitto armato tra Israele e Hamas è che ci sia un intento genocida, che può facilmente trasformarsi in un’azione genocida. Il 7 ottobre, il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato che gli abitanti di Gaza avrebbero pagato un “prezzo enorme” per le azioni di Hamas e che le Forze di Difesa Israeliane (IDF) avrebbero trasformato intere parti dei centri urbani densamente popolati di Gaza “in macerie“. Il 28 ottobre, citando il Deuteronomio, ha aggiunto: “Dovete ricordare ciò che Amalek vi ha fatto”. Come molti israeliani sanno, per vendicare l’attacco di Amalek, la Bibbia invita a “uccidere uomini e donne, neonati e lattanti”.

Il linguaggio profondamente allarmante non finisce qui. Il 9 ottobre, il Ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, ha dichiarato: “Stiamo combattendo contro animali umani e ci comportiamo di conseguenza”. Un’affermazione che indica disumanizzazione e che ha echi di genocidio. Il giorno dopo, il Coordinatore delle attività governative nei territori occupati, Ghassan Alian, si è rivolto alla popolazione di Gaza in arabo: “Gli animali umani devono essere trattati come tali”, aggiungendo: “Non ci saranno né elettricità né acqua. Ci sarà solo distruzione. Volevate l’inferno, avrete l’inferno”.

Lo stesso giorno, il General Maggiore in pensione Giora Eiland ha scritto sul quotidiano Yedioth Ahronoth: “Lo Stato di Israele non ha altra scelta che trasformare Gaza in un luogo in cui sia temporaneamente o permanentemente impossibile vivere”. Ha aggiunto: “Creare una grave crisi umanitaria a Gaza è un mezzo necessario per raggiungere l’obiettivo”. In un altro articolo ha scritto che “Gaza diventerà un luogo dove nessun essere umano potrà più esistere”. A quanto pare, nessun rappresentante dell’esercito o politico ha denunciato questa dichiarazione.

Potrei citare molte altre dichiarazioni del genere. Nel loro insieme, queste affermazioni potrebbero essere facilmente interpretate come indicative di un intento genocida. Ma il genocidio è effettivamente in atto? I comandanti militari israeliani insistono sul fatto che stanno cercando di “limitare le vittime civili” e attribuiscono il gran numero di morti e feriti palestinesi alle tattiche di Hamas di usare i civili come “scudi umani” e di collocare i loro centri di comando sotto strutture umanitarie come gli ospedali [la BBC e altre testate occidentali hanno messo in evidenza la mancanza di prove conclusive a sostegno delle affermazioni dell’esercito israeliano circa la presenza di un centro di comando di Hamas sotto l’ospedale Al-Shifa, ndr].

Eppure il 13 ottobre, secondo le notizie riportate da varie testate, il Ministero dell’Intelligence israeliano ha presentato una proposta per trasferire l’intera popolazione della Striscia di Gaza nella penisola del Sinai, controllata dall’Egitto. L’ufficio di Netanyahu ha detto che si trattava di un “concept paper”). Gli elementi di estrema destra del governo – presenti anche nell’IDF – celebrano la guerra come un’opportunità per liberarsi completamente dei palestinesi. Questo mese è emerso sui social media un video in cui il capitano Amichai Friedman, un rabbino della Brigata Nahal, diceva a un gruppo di soldati che era ormai chiaro che “questa terra è nostra, tutta la terra, compresa Gaza, compreso il Libano”. Le truppe hanno applaudito con entusiasmo. L’esercito ha dichiarato che il suo comportamento “non è in linea” con i propri valori e le proprie direttive.

Quindi, anche se non possiamo dire che l’esercito stia prendendo deliberatamente di mira i civili palestinesi, sia dal punto di vista funzionale che dal punto di vista retorico potremmo dire di assistere a un’operazione di pulizia etnica, che potrebbe rapidamente degenerare in genocidio, come è accaduto più di una volta in passato.

Niente di tutto questo è accaduto nel vuoto. Negli ultimi mesi ho sofferto molto per l’evolversi degli eventi in Israele. Il 4 agosto io e diversi colleghi abbiamo diffuso una petizione in cui si avvertiva che il tentativo di colpo di Stato da parte del governo Netanyahu [l’autore si riferisce alla contestata riforma del sistema giudiziario israeliano, che ha suscitato grandi manifestazioni di protesta in tutto il paese, ndr] aveva lo scopo di perpetuare l’occupazione israeliana della terra palestinese. La petizione è stata firmata da circa 2.500 studiosi, membri del clero e personalità pubbliche, disgustati dalla retorica razzista dei membri del governo, dai suoi tentativi antidemocratici e dalla crescente violenza dei coloni, apparentemente sostenuti dall’IDF, contro i palestinesi in Cisgiordania.

Ciò che avevamo avvertito – che sarebbe stato impossibile ignorare l’occupazione e l’oppressione di milioni di persone per 56 anni e l’assedio di Gaza per 16 anni, senza conseguenze – ci è esploso in faccia il 7 ottobre. Dopo il massacro di civili ebrei innocenti da parte di Hamas, il nostro stesso gruppo ha pubblicato una seconda petizione che denunciava i crimini commessi da Hamas e chiedeva al governo israeliano di desistere dal perpetrare violenze e uccisioni di massa su civili palestinesi innocenti a Gaza in risposta alla crisi. Abbiamo scritto che l’unico modo per porre fine a questi cicli di violenza è quello di cercare un compromesso politico con i palestinesi e porre fine all’occupazione.

È tempo che i responsabili e gli studiosi attivi nelle istituzioni dedicate alla ricerca e alla commemorazione dell’Olocausto mettano pubblicamente in guardia dalla retorica piena di rabbia e vendetta che disumanizza la popolazione di Gaza e ne chiede l’estinzione. È tempo di parlare contro l’escalation di violenza in Cisgiordania, perpetrata dai coloni israeliani e dalle truppe dell’esercito israeliano, che ora sembra scivolare verso la pulizia etnica approfittando della guerra su Gaza. Secondo quanto riferito dalla stampa, diversi villaggi palestinesi si sono “auto-evacuati” sotto le minacce dei coloni.

Esorto istituzioni venerabili come lo United States Holocaust Memorial Museum di Washington e lo Yad Vashem di Gerusalemme [il Centro globale per la memoria dell’Olocausto, ndr] a intervenire ora e a essere in prima fila nel mettere in guardia contro i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità, la pulizia etnica e il crimine di tutti i crimini: il genocidio.

Se crediamo davvero che l’Olocausto ci abbia insegnato una lezione sulla necessità – o, in realtà, sul dovere – di preservare la nostra umanità e la nostra dignità proteggendo quelle degli altri, questo è il momento di alzarsi in piedi e di alzare la voce, prima che la leadership di Israele faccia sprofondare il paese e i suoi vicini nell’abisso.

C’è ancora tempo per impedire che Israele permetta che le sue azioni diventino un genocidio. Non possiamo aspettare un momento di più.

Fonte: New York Times, 10 novembre 2023.