lunedì, Novembre 4, 2024
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La guerra perduta di Israele e i paradossi dell’Occidente

Crescono, anche tra gli alleati più stretti, le preoccupazioni sulle modalità con cui il governo e l’esercito israeliani stanno intervenendo militarmente a Gaza, in risposta agli attacchi di Hamas del 7 ottobre scorso. Si sottolinea il notevole costo umano della guerra, con vittime e danni alle infrastrutture civili senza precedenti, e si inizia a mettere in dubbio che tale condotta sia in linea con gli obblighi del diritto internazionale umanitario. Eppure Netanyahu e i suoi ministri, specialmente gli esponenti dei partiti di estrema destra, continuano a sostenere che la guerra proseguirà finché Hamas non sarà “totalmente sradicata da Gaza” e finché tutti gli ostaggi israeliani non saranno liberati. In questo articolo il responsabile di Tuttavia, il sito della Pastorale della Cultura nell’Arcidiocesi di Palermo, ricostruisce le ragioni delle crescenti perplessità occidentali verso l’operato israeliano: se le autorità di Tel Aviv affermano di fare il possibile per ridurre gli “effetti collaterali” della guerra, ovvero i danni e le vittime civili, autorevoli indagini indipendenti smentiscono tali affermazioni, rivelando l’uso di bombe altamente distruttive in aree densamente popolate, indicate dallo stesso esercito israeliano come “sicure” per le centinaia di migliaia di sfollati interni della Striscia. L’autore critica anche il comportamento dell’Occidente: rifornisce Israele di armi mentre esprime preoccupazioni per la situazione; ha duramente condannato l’invasione russa dell’Ucraina, ma non interviene per prevenire il rischio di un genocidio; denuncia le violenze dei coloni israeliani contro i palestinesi in Cisgiordania, critica l’annunciata costruzione di ulteriori insediamenti illegali nei Territori palestinesi occupati, ma per decenni non è intervenuto a far rispettare il diritto internazionale e le risoluzioni delle Nazioni Unite. In ultima analisi: la guerra a Gaza rischia di trasformarsi in una sconfitta per Israele (ma anche per l’Occidente, se continuerà a sostenerlo), nella misura in cui essa non costruirà affatto le condizioni per la sicurezza (men che meno per la pace), ma alimenterà instabilità e conflitti nella regione.

di Giuseppe Savagnone 

Le crescenti perplessità sull’azione di Israele a Gaza 

Diventano sempre più frequenti e pressanti le richieste degli alleati di Israele perché cambi le modalità del suo intervento armato nella Striscia di Gaza. In particolare, sembra impressionare i governi occidentali il costo umano che l’offensiva israeliana sta comportando per la popolazione civile palestinese: a oggi più di 21.000 morti, di cui una larghissima percentuale donne, e 8.000 bambini [al 5 gennaio 2024, i morti sono almeno 22.600, 57.910 feriti e almeno 7.000 i dispersi che, si presume, siano morti sotto le macerie, ndr]. Conseguenza inevitabile dei furiosi bombardamenti che hanno devastato città e campi profughi, radendo al suolo abitazioni civili, scuole, ospedali, moschee, chiese. 

Per cercare di sfuggire alle bombe, la gente non ha avuto altra scelta che piegarsi ai perentori ultimatum delle autorità israeliane e abbandonare in tempi brevissimi la propria casa, il proprio lavoro e la propria vita ordinaria. 

Non meno drammatico, dal punto di vista umano, il blocco, deciso da Israele, dei rifornimenti di viveri e di carburante, che da più di due mesi priva due milioni e mezzo di persone del cibo, dell’acqua, della luce elettrica, delle cure ospedaliere, come attestano le reiterate, drammatiche denunzie di tutte le agenzie internazionali, da quelle dell’ONU ad Amnesty International a Medici senza frontiere.

Da qui una sollevazione dell’opinione pubblica in numerose città europee e nelle università statunitensi, che non si registrava dal tempo della guerra del Vietnam, e che ha cominciato a preoccupare i governi occidentali, prima attestati sulla formula secondo cui “Israele ha il diritto di difendersi”. 

Il Presidente francese Macron ha recentemente dichiarato: «Non possiamo permettere che si radichi l’idea che una lotta efficace contro il terrorismo implichi appiattire Gaza o attaccare indiscriminatamente le popolazioni civili».  Lo stesso Presidente degli Stati Uniti  – il più fedele e tradizionale alleato dello Stato ebraico – ha espresso la sua preoccupazione per questa strage di civili e ha avvertito il governo israeliano che questi metodi non fanno altro che accrescere il livello dei dissensi nei confronti della sua politica.

Le parole e i fatti 

Secondo il governo di Tel Aviv, non si tratta solo degli interessi di Israele, ma di quelli della stessa popolazione palestinese. A questo proposito il Ministro degli esteri israeliano Ely Cohen ha parlato di liberare Gaza da Hamas, «per creare un futuro migliore per tutti gli abitanti della regione». 

Quanto ai costi umani, sia il presidente Netanyahu sia i comandi dell’esercito di Tel Aviv hanno ripetutamente assicurato che le operazioni militari a Gaza si svolgono nel pieno rispetto delle leggi internazionali e che Israele segue il diritto internazionale e prende tutte le precauzioni possibili per mitigare i danni civili. 

Intanto però affiorano sempre nuovi elementi che smentiscono queste affermazioni. Due recentissime indagini realizzate, indipendentemente l’una dall’altra, dal New York Times e dalla CNN, hanno dimostrato che l’aviazione dello Stato ebraico, nei mesi di ottobre e novembre, ha bombardato aree che le autorità miliari avevano indicato come “sicure”, spingendo gli abitanti di Gaza a rifugiarsi in esse, dopo l’inizio dell’operazione di terra. E non solo: lo ha fatto usando bombe MK-84 da 900 chili di peso, le più distruttive degli arsenali militari occidentali, che, secondo gli esperti militari americani consultati dal New York Times, non vengono sganciate dalle forze statunitensi in aree densamente popolate proprio per i rischi che rappresentano per la popolazione civile. 

E non si è trattato di un ricorso eccezionale: secondo le indagini, accuratissime, del quotidiano e della emittente Usa, sono stati almeno 208 i casi che provano l’uso, da parte degli israeliani, delle MK-84. L’ultimo, alla Vigilia di Natale, il bombardamento del campo profughi di Al Maghazi, che ha causato più di cento morti innocenti. 

Intanto altri episodi fanno sempre più dubitare anche delle “regole d’ingaggio” delle truppe di terra di Tel Aviv. Ha destato molta impressione la notizia che tre ostaggi israeliani, sfuggiti al controllo dei loro carcerieri, sono stati uccisi dal “fuoco amico”, pur essendosi presentati a torso nudo (per assicurare che non nascondevano esplosivi) e sventolando una bandiera bianca. Qualcuno si è chiesto cosa è successo, allora, a tanti civili che non usavano queste estreme precauzioni. 

Una risposta inquietante viene dal comunicato del Patriarcato latino di Gerusalemme, secondo cui un cecchino israeliano ha sparato sua una madre e una figlia che si stavano rifugiando in una chiesa, uccidendole.  

Ma la violazione dei diritti umani non si manifesta solo nei massacri. Fanno sempre più impressione le fotografie di gruppi di civili, compresi donne e bambini – presentati come sospetti di essere terroristi – seminudi, seduti, inginocchiati, o in marcia, sotto il controllo di soldati israeliani. È stato osservato da alcuni che cose simili le facevano i nazisti.

Il paradosso dell’Occidente 

Il paradosso, in tutto questo, è che lo Stato ebraico può permettersi di alimentare continuativamente da più di due mesi questa tempesta di fuoco solo grazie alle forniture di armi da parte degli stessi paesi occidentali – compresa l’Italia, tramite la Leonardo – che a parole lo invitano a fermarla o, almeno, a limitarla. Secondo i dati del Pentagono, da ottobre gli Stati Uniti hanno inviato a Israele oltre 5.000 bombe MK-84 – quelle del cui effetto devastante sui civili gli stessi esperti statunitensi sono ben consapevoli.

Un paradosso analogo riguarda ciò che accade in Cisgiordania dove, in questi ultimi decenni, si sono moltiplicati gli insediamenti illegali di coloni israeliani, ripetutamente condannati dalle Nazioni Unite in quanto quel territorio (così come Gerusalemme Est e la stessa Gaza) non è parte dello Stato di Israele: esso era destinato dalla Risoluzione 181 del 1947, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, a far parte di uno Stato arabo-palestinese e, a seguito della Guerra dei sei giorni del 1967, è stato occupato militarmente da Israele, che non può alterarne lo status giuridico né la composizione demografica.

Eppure proprio in questi giorni la Knesset, il Parlamento israeliano, sta finanziando nuovi insediamenti, come ha denunziato l’alto rappresentante per la politica estera dell’Unione europea, Josep Borrell: «L’Unione Europea è seriamente preoccupata per l’impegno di finanziamenti aggiuntivi per la costruzione degli insediamenti e le attività correlate approvati dalla Knesset nel bilancio modificato per il 2023». E ha aggiunto, riferendosi ai gravi episodi di violenza che anche il Presidente statunitense Biden ha recentemente menzionato e duramente condannato: «L’approvazione di questo bilancio aggiuntivo avviene in un contesto di crescente violenza contro i palestinesi da parte dei coloni estremisti nella Cisgiordania occupata, che ha raggiunto livelli senza precedenti. Dopo gli attacchi terroristici di Hamas contro Israele il 7 ottobre, la violenza dei coloni è aumentata drasticamente e circa 1.000 palestinesi sono stati costretti ad abbandonare le proprie case». 

Ma proprio l’Occidente in questi decenni ha assistito indifferente al moltiplicarsi di questi insediamenti illegali. Gli Stati Unti hanno addirittura riconosciuto la proclamazione di Gerusalemme a capitale dello Stato ebraico, in aperta violazione della ricordata Risoluzione del 1947 delle Nazioni Unite, che riservava a questa città, in considerazione del suo valore simbolico per tre religioni, uno statuto internazionale. 

Un comportamento molto diverso da quello che è stato tenuto nei confronti delle violenze scatenate Putin, con mezzi altrettanto efferati, contro l’Ucraina. In quel caso i crimini di guerra russi sono stati colpiti duramente da sanzioni economiche e da un isolamento totale – almeno da parte dei paesi della NATO – e il Presidente russo è stato oggetto di un mandato d’arresto da parte dalla Corte Penale Internazionale. Nulla di lontanamente simile sta avvedendo verso Netanyahu. 

Si obietterà che in quel caso i russi erano gli aggressori, mentre in questo gli israeliani hanno subito per primi un attacco di una ferocia disumana. Ma l’unanime indignazione e le sanzioni non sono state dovute solo alle origini della guerra (Stati che ne attaccano altri se ne sono sempre visti), bensì al modo con cui i russi l’anno condotta, in totale dispregio dei diritti umani. 

Ora, i civili morti in Ucraina a causa di questa violenza indiscriminata sono dalla fine di febbraio 2022 a oggi circa 10.000 (su più di 40 milioni di abitanti), meno delle metà di quelli palestinesi (21.000 sui 2,3 milioni di abitanti di Gaza). Con l’aggravante che questi ultimi, per ammissione dello stesso governo di Tel Aviv, non sono i responsabili dell’aggressione del 7 ottobre ma, se mai, le “vittime” di Hamas. 

Un vicolo cieco 

Colpisce, peraltro, l’assoluta sordità del governo israeliano di fronte a ogni appello. «La guerra continuerà fino a che Hamas non verrà eliminato, fino alla vittoria. Chi pensa che ci fermeremo, non è collegato alla realtà», ha detto il premier Benyamin Netanyahu. Gli obiettivi da raggiungere prima di concluderla, secondo lui, sono due: la liberazione degli ostaggi e la distruzione di Hamas. Ma per entrambi la continuazione delle operazioni militari, così come si sono svolte finora, sembra assolutamente inadatta. 

Che ciò sia vero per il primo, sono le famiglie degli ostaggi a ripeterlo incessantemente, con le loro manifestazioni di protesta contro il governo. E in effetti, in più di due mesi e mezzo, neppure un ostaggio è stato liberato dall’esercito israeliano, mentre alcuni sono stati involontariamente uccisi da quelli che dovevano essere i loro salvatori.

Quanto al secondo obiettivo, può anche darsi che alla fine Hamas venga annientato, ma quel che è certo è che la sua inaspettata capacità di tenere in scacco per tutto questo tempo l’esercito più forte del Medio Oriente l’ha ormai trasformato in un mito agli occhi del mondo palestinese e, dopo la sua eventuale fine, rinascerà prima o poi in nuovi epigoni che si ispireranno al suo modello.   

Anche perché le prevaricazioni e le violenze dello Stato ebraico, oltre ad avere l’effetto di far dimenticare assurdamente all’opinione pubblica mondiale la ferocia inaudita di cui Hamas ha dato prova il 7 ottobre, non possono che accrescere sempre più l’odio dei palestinesi nei confronti di Israele, contribuendo a rendere questa campagna militare un fallimento. 

A questo proposito il segretario alla Difesa statunitense, Lloyd Austin, ha recentemente dichiarato, intervenendo al Forum alla Reagan National Defense: «Ho imparato una o due cose sulla guerriglia urbana dal tempo che ho trascorso in Iraq. L’unico modo di vincere una guerriglia urbana è proteggendo i civili. In questo tipo di battaglia, il centro della gravità è la popolazione civile. Se la si spinge fra le braccia del nemico, si sostituisce una vittoria tattica con una sconfitta strategica». 

La verità è che Israele, che aveva vinto trionfalmente tutte le guerre combattute finora contro gli eserciti degli Stati arabi, ha già perduto questa, perché l’ha trasformata, di fatto, nella spietata punizione di un popolo che non era neppure il suo nemico. 

Ma l’Occidente in questo disastro sta avendo un ruolo decisivo. Certo, Israele è uno Stato sovrano e nessuno può imporgli la pace. Ma dipende da noi continuare a dargli, oppure no, le bombe con cui fa la guerra. Decideremo di fermarlo, oppure continueremo ad accompagnarlo, di fatto al di là delle parole, in questo vicolo cieco di violenza? 

Fonte: Tuttavia, 30 dicembre 2023.