La spesa militare nei paesi NATO dell’UE: il rapporto di Greenpeace
a cura di Aurora Bernardini
Greenpeace ha pubblicato a novembre 2023 il rapporto “Arming Europe. Military expenditures and their economic impact in Germany, Italy, and Spain” in cui registra il costante e significativo aumento delle spese militari nei paesi NATO dell’Unione Europea, cresciute quattordici volte più del loro PIL complessivo negli ultimi dieci anni. Il rapporto è stato commissionato dai tre uffici nazionali di Greenpeace in Germania, Italia e Spagna e analizza l’aumento complessivo delle spese militari nell’UE, rivolgendo particolare attenzione a questi tre paesi. Ne è stata realizzata anche una sintesi in italiano.
Negli negli ultimi dieci anni, le spese militari dei Paesi UE della NATO sono aumentate di quasi il 50%, passando da 145 miliardi di euro nel 2014 a una previsione di bilancio quasi del 50%, passando da 145 miliardi di euro nel 2014 a una previsione di bilancio di 215 miliardi di euro nel 2023. Con la guerra in Ucraina, le spese in armamenti per il 2023 si chiuderanno con un aumento di quasi il 10% in termini reali rispetto all’anno precedente. I Paesi UE della NATO nel loro complesso spendono oggi 1,8% del PIL per le loro forze armate, vicino all’obiettivo del 2% richiesto dagli Stati Uniti e adottato dalla NATO.
In un decennio, la Germania ha aumentato la sua spesa militare reale del 42%, l’Italia del 30%, la Spagna del 50%. In tutti e tre i paesi questa espansione è stata interamente dovuta a maggiori acquisti di armi ed equipaggiamenti militari. L’importazione di armi dell’UE (in base ai dati del SIPRI, l’Istituto Internazionale di Ricerca sulla Pace di Stoccolma) sono triplicate tra il 2018 e il 2022. La metà di tutte le importazioni proviene dagli Stati Uniti.
Si tratta di una dinamica sostenuta dalle stesse istituzioni dell’Unione. Dopo una lunga assenza negli affari militari, nel 2017 l’UE ha lanciato il Fondo Europeo per la Difesa con con 7,9 miliardi di euro per la ricerca e la produzione di nuovi armamenti di armi nel periodo 2021-2027; nel 2021 ha preso il via lo Strumento europeo per la pace (nome quanto mai equivoco), con una previsione di spesa nello stesso periodo di 12 miliardi di euro per aiuti e forniture militari al di fuori dell’UE (a partire dall’Ucraina).
L’aumento della spesa militare contrasta nettamente con la stagnazione delle economie dell’UE. Infatti nei paesi UE della NATO, tra il 2013 e il 2023, il PIL reale è aumentato del 12% (poco più dell’1% all’anno in media), l’occupazione totale del 9% mentre le spese militari sono aumentate del 46% e le entrate di armi sono aumentate del 168%. In Germania, Italia e Spagna, le disparità nei tassi di crescita del settore militare e dell’economia in generale sono sostanzialmente simili. Gli armamenti assorbono molte delle risorse che i paesi dedicano a nuove capacità produttive, nuove tecnologie e alle nuove infrastrutture. In un periodo di preoccupazioni per le finanze pubbliche, tale aumento della spesa militare va a scapito di altri tipi di spesa a finalità sociali e ambientali.
Nell’aggregato dei Paesi UE della NATO, la spesa pubblica totale è aumentata in un decennio del 20% in termini reali (circa il 2% all’anno in media). Tuttavia, la spesa militare è cresciuta due volte più velocemente a fronte di aumenti più contenuti nell’istruzione (+12%), protezione ambientale (+10%), sanità (+34%). Nei Paesi UE della NATO la spesa pubblica è aumentata complessivamente del 35% in un decennio, ma l’acquisto di armi è aumentato del 168%. Germania e Spagna sono sostanzialmente in linea con i modelli dell’UE, mentre l’Italia mostra una crescita meno dinamica della spesa statale a causa dei vincoli di finanza pubblica.
Infine lo studio ha stimato l’effetto economico delle spese militari sulla crescita e sull’occupazione. In Germania, una spesa di 1.000 milioni di euro per l’acquisto di armamenti mette in moto un aumento della produzione nazionale di 1.230 milioni di euro. In Italia l’aumento risultante è di soli 741 milioni di euro poiché una parte maggiore della spesa è destinata alle importazioni. In Spagna, l’aumento della produzione interna ammonta a 1.284 milioni di euro. L’effetto sull’occupazione è pari a 6.000 posti di lavoro (a tempo pieno) in più in Germania, a 3.000 posti di lavoro in più in Italia e 6.500 in Spagna. Tuttavia, l’impatto economico e occupazionale sarebbero maggiori se i 1.000 milioni di euro venissero spesi per l’istruzione, la salute e l’ambiente. L’impatto maggiore dell’aumento delle spese militari si riscontra nell’area della salvaguardia ambientale, con un aumento della produzione di 1.752 milioni di euro in Germania, 1.900 milioni di euro in Italia e 1.827 milioni di euro in Spagna. 1.827 milioni di euro in Spagna.
Questi dati sottolineano la natura problematica dell’attuale aumento delle spese militari europee. In termini meramente economici, la militarizzazione non è un buon affare: l’aumento delle spese militari stanno conducendo l’Europa verso una minore crescita economica, una minore creazione di posti di lavoro e una minore qualità dello sviluppo. Le alternative – più spese per l’ambiente, per l’istruzione e per la sanità – porterebbero grandi vantaggi alla qualità della vita e dell’ambiente in Europa.
Ma la militarizzazione non si giustifica neanche sulla base delle esigenze di sicurezza, che sarebbe meglio garantita da accordi politici e diplomatici, iniziative di prevenzione e risoluzione dei conflitti, controllo degli armamenti e processi multilaterali di disarmo. Al contrario, questa strategia può portare a una nuova corsa agli armamenti, con l’effetto di destabilizzare ulteriormente a breve e medio termine l’ordine internazionale. La sicurezza, del resto, non può essere intesa solo in termini militari, come evidenziato anche dall’adozione da parte delle Nazioni Unite del concetto di “Human security”, secondo cui per mantenere la pace si devono tutelare i diritti civili, politici, economici, sociali e culturali, insieme alle condizioni ambientali e climatiche.
Per queste ragioni Greenpeace chiede con una petizione rivolta al governo italiano di ridurre le spese militari, rinunciando all’obiettivo NATO del 2% del PIL, di tassare gli extra profitti delle aziende della Difesa e di usare quei fondi per la lotta alla povertà, alle diseguaglianze e alla crisi climatica.