venerdì, Aprile 26, 2024
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L’odio online: i risultati del progetto “Mappa dell’Intolleranza” di Vox-Diritti

a cura di Cecilia Siccardi

 

La Mappa dell’Intolleranza: il progetto

La Mappa dell’Intolleranza è un progetto volto a monitorare la diffusione dell’odio sui social network, promosso nel 2015 da Vox-Diritti in collaborazione con quattro Università (Università degli Studi di Milano, l’Università Aldo Moro di Bari, l’Università Sapienza di Roma, Università Cattolica di Milano).

In un momento storico in cui il tema dell’odio on line non era ancora al centro del dibattito pubblico, i promotori del progetto hanno voluto replicare e potenziare in Italia la ricerca già svolta dall’Università statunitense Humboldt State University, dando così avvio alla prima mappatura italiana dell’odio social. 

In particolare, un software sviluppato dall’Università di Bari estrapola da Twitter le parole discriminatorie contro donne, persone con disabilità, omosessuali, stranieri, islamici, ebrei, consentendo di monitorare la diffusione dell’odio on line. Grazie alla geolocalizzazione dei tweet sono state create delle mappe termografiche della penisola che individuano le zone d’Italia dove l’odio è più diffuso.

I risultati

Il 22 novembre 2021 sono stati presentati i risultati della sesta edizione del progetto. Da gennaio a ottobre 2021 sono stati estratti circa 800.000 tweet, di cui il 69% è risultato discriminatorio.

Alcuni dati confermano le evidenze degli anni passati; altri, invece, rappresentano elementi di novità.

Alcune conferme. La distribuzione geografica dell’odio sembra analoga a quella delle edizioni precedenti: si odia di più al Nord e nelle città più grandi. L’odio è particolarmente forte a Roma, Milano, Torino, Firenze. Alcune zone si contraddistinguono per la diffusione di alcune forme di odio: la misogina al Nord, l’antisemitismo al Centro, la xenofobia al Sud.

In piena coerenza con gli anni passati, le prime vittime degli haters sono le donne: il 49% dei tweet estratti è misogino.

L’odio on line è sempre più intersezionale, ossia colpisce in ragione di più fattori di discriminazione contemporaneamente. Ad esempio, sono colpite le donne, non solo in quanto donne, ma in quanto donne-ebree, donne-islamiche, donne-con disabilità, donne-straniere.

Riemerge, inoltre, una correlazione tra parole d’odio e crimini d’odio. Come nelle passate edizioni, negli stessi mesi in cui si è registrato un incremento della misoginia sul web, sono stati compiuti diversi femminicidi.

Dal nuovo rapporto emergono anche varie novità. Dopo anni di calo, è in aumento l’odio omofobico. A partire dal 2016, anno dell’approvazione della legge sulle unioni civili, l’odio verso le persone omosessuali è sempre stato in calo, a dimostrazione che le leggi volte a promuovere i diritti rappresentano un forte argine contro odio e intolleranza. Nel 2021, invece, proprio in concomitanza con la discussione sul Ddl Zan, il disegno di legge contro l’omotransfobia, si è scatenato l’odio on line a stampo omofobico.

Nell’ultimo anno, si è registrato un aumento del linguaggio d’odio generalizzato e aspecifico. Ciò potrebbe essere dovuto alle dinamiche del dibattito pubblico sui vaccini e al lessico utilizzato dal movimento “No Vax”, a forte impronta oppositiva.

 

Focus: le forme della misoginia online 

Come anticipato, sin dalla prima edizione del progetto, le più colpite dall’odio on line sono sempre state le donne. Nella prima edizione oltre un milione di tweet estratti era misogino.

Un simile risultato sembra dovuto al fatto che la discriminazione di genere è quella maggiormente radicata nella nostra cultura, si riflette nel linguaggio quotidiano e rimbalza sulle pagine social.

Sul web, però, la discriminazione sta cambiando forma: le donne non sono più attaccate esclusivamente in ragione del loro aspetto fisico (body shaming), ma vengono prese di mira a causa delle competenze professionali e lavorative, come emerge dai risultati delle Mappe dell’Intolleranza 5 e 6.

Questa nuova tendenza potrebbe essere un effetto dello smart working. Durante la pandemia le donne hanno mostrato per la prima volta le loro capacità lavorative anche a casa, in un ambiente dove si erano prevalentemente dedicate alla cura della famiglia. Un simile cambio di ruolo potrebbe aver scatenato l’intolleranza degli uomini, che hanno riversato la loro ira sui social, ira che, nei casi più gravi, si è trasformata in violenza, come dimostrano i dati ISTAT sulla violenza di genere durante il lockdown.

In collaborazione con l’associazione Giulia Giornaliste, nell’ambito del progetto Mappa dell’Intolleranza, sono stati monitorati 122 profili twitter di donne. Dall’indagine è emerso come le donne più colpite dall’odio siano quelle “più in vista”, con spiccate capacità professionali e che svolgono un ruolo pubblico. Nel 2021 le categorie più colpite sono state le politiche, le giornaliste e le virologhe.

I dati sembrano mostrare come vi sia una parte dell’opinione pubblica ancora “ostile”, o comunque non abituata, a vedere le donne in posizioni tradizionalmente riservate agli uomini, confermando come la strada verso l’uguaglianza di genere sia ancora lunga. 

I dettagli riguardo ai risultati del progetto si possono reperire nella cartella stampa e sul sito www.voxdiritti.it

 

Come fermare l’odio on line?

La Mappa dell’Intolleranza non ha scopi meramente statistici, ma ambisce a diventare uno strumento a disposizione delle scuole, delle pubbliche amministrazioni e della politica al fine di individuare misure idonee a fermare l’odio.

Per fermare l’odio on line sono necessarie tre azioni da portare avanti simultaneamente (D’Amico, Siccardi, 2021):

Mappare

È necessario valorizzare tutte le iniziative volte a monitorare la diffusione dell’odio on line. Solo conoscendo le caratteristiche e le varie forme dell’intolleranza è possibile individuare gli strumenti idonei a contrastarla. Vi sono in Italia sono diversi progetti che hanno questo obiettivo, come ad esempio il Barometro dell’Odio di Amnesty, così come esistono diverse realtà associative, professionali e accademiche che si impegnano nella lotta contro l’odio, come dimostrano i molteplici soggetti che fanno parte della Rete nazionale contro i fenomeni d’odio. Sarebbe opportuno compiere un passo avanti, individuando tecnologie idonee a mappare non solo parole, ma anche video e immagini, al fine di monitorare le piattaforme maggiormente in uso tra i giovani, come Instagram o TikTok.

Educare

Bisogna far conoscere questi temi, sensibilizzando soprattutto le fasce più giovani. Sempre più progetti, ad esempio l’alternanza scuola-lavoro e l’insegnamento di “Cittadinanza e costituzione”, sono dedicati al contrasto dell’odio e del cyberbullismo. Per essere efficaci, questi programmi dovrebbero avere carattere interdisciplinare, focalizzandosi sulle tematiche legate ai diritti e alle discriminazioni, sugli effetti psicologici della diffusione dell’odio, sull’uso consapevole delle tecnologie, sulle tecniche di contro-narrazione.

Normare

È opportuno colmare il vuoto normativo. In Italia, non esiste alcuna norma vincolante volta a contrastare l’odio, né online né offline. 

Per quanto riguarda l’odio online, sono state depositate in Parlamento alcune proposte di legge volte ad assicurare la rimozione dei contenuti d’odio dai social: si vedano l’Atto del Senato n. 1455, prima firmataria l’On. Fedeli, “Misure per il contrasto del fenomeno dell’istigazione all’odio sul web”, del 18 novembre 2019, e l’Atto della Camera n. 2936, prima firmataria l’On. Boldrini ed altri, “Misure per la prevenzione e il contrasto della diffusione di manifestazioni d’odio mediante la rete internet”, del 10 marzo 2021).

Queste proposte, tuttavia, presentano alcune criticità rispetto ai principi costituzionali, primo fra tutti la libertà di manifestazione del pensiero di cui all’art. 21 Cost (Villaschi, 2021). Solo la prosecuzione di un serio confronto parlamentare può contribuire ad appianare queste difficoltà.

Per quanto riguarda l’odio offline, l’articolo 604 bis del Codice Penale punisce esclusivamente le forme di istigazione all’odio razziale e religioso, lasciando prive di tutela le vittime di odio omotransfobico, misogino e dell’odio contro le persone con disabilità. 

Si tratta di un vuoto normativo che non trova giustificazione né nei fatti, né nelle norme, e che proprio il Ddl Zan (“Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”, trasmessa al Senato il 5 novembre 2020) si proponeva di colmare 

Per quanto riguarda l’odio online, i risultati del progetto Mappa dell’Intolleranza indicano infatti come l’odio colpisca non solo le minoranze etniche e razziali, ma anche le donne, prime vittime di violenza sui social, le persone omosessuali e le persone con disabilità.

Per quanto riguarda l’odio offline, è opportuno ricordare che l’art. 604 bis è inserito nel Titolo del Codice Penale dedicato ai “delitti contro l’eguaglianza”. Ciò significa non solo che il bene giuridico tutelato è l’eguaglianza, ma che il fondamento costituzionale della norma è l’art. 3 della Costituzione, che vieta ogni forma di discriminazione, non solo quelle etiche e religiose. Ne discende l’urgenza di approvare una legge volta a contrastare l’omotransfobia, la misoginia e l’odio avverso le persone con disabilità.

 

Cecilia Siccardi è ricercatrice a tempo determinato in Diritto costituzionale all’Università degli Studi di Milano, dove insegna diritto antidiscriminatorio, e ricercatrice aggregata al Centro Interdisciplinare “Scienze per la Pace” dell’Università di Pisa. Nelle sue ricerche si occupa di contrasto alle discriminazioni e tutela dei diritti, con particolare riferimento ai diritti degli stranieri e delle donne.