Demografia e cambiamento climatico: il rapporto del Joint Research Center
di Guglielmo Accardo
Sebbene le visioni allarmistiche sulla crescita esponenziale della popolazione umana siano oggi generalmente superate, alla fine del 2022, con la Terra popolata da più di 8 miliardi di persone, il ruolo decisivo dei fattori demografici nei cambiamenti climatici è riemerso nel dibattito, oscillando tra tre principali interpretazioni. La prima sostiene che ogni nuovo individuo su un pianeta già sovraffollato aumenterà quasi inevitabilmente le emissioni complessive. La seconda mette in risalto la necessità di contrastare le disuguaglianze di reddito, sia tra i paesi che al loro interno, e di moderare i consumi delle fasce più ricche della popolazione. Infine, la terza interpretazione, spesso definita tecno-ottimista, fa leva sul potere delle cosiddette “innovazioni disruptive” ritenute capaci di superare le sfide di sostenibilità poste dal cambiamento climatico e dalla crescita demografica grazie all’innovazione tecnologica e/o al cambio di modello economico.
Allo stesso tempo, la consapevolezza di avvicinarsi a un’epoca in cui la crescita della popolazione si stabilizzerà e, a lungo termine, potrebbe persino iniziare a diminuire introduce nuove variabili nel dibattito sul ruolo della demografia nel cambiamento climatico. Si rende sempre più necessario considerare non solo la dimensione e la crescita totale della popolazione, ma anche le differenze nelle tendenze demografiche tra le diverse regioni del mondo e le specificità delle loro caratteristiche demografiche dal punto di vista socio-economico e generazionale.
Per sensibilizzare i decisori politici e la cittadinanza sul ruolo della demografia nei cambiamenti climatici, il Joint Research Center – centro transnazionale di ricerca dedicato a fornire evidenze scientifiche a supporto delle politiche dell’Unione Europea – ha pubblicato un rapporto intitolato Demography and climate change. Il documento affronta una serie di questioni chiave relative all’intersezione tra l’invecchiamento della popolazione, le disuguaglianze di reddito e le emissioni di gas serra, mettendone a fuoco le implicazioni rispetto al contrasto e alla mitigazione della crisi climatica in corso.
Un primo dato su cui il rapporto invita a riflettere è costituito dall’esistenza di un divario significativo nella relazione tra emissioni e crescita demografica tra i paesi a basso e ad alto reddito. Nei paesi a basso reddito, dove la crescita demografica è spesso superiore al 2%, le emissioni sono relativamente basse, con 0,1 tonnellate di CO2 pro capite. Al contrario, nei paesi ad alto reddito, le emissioni sono molto più alte, con 32,2 tonnellate di CO2 pro capite, nonostante una crescita demografica generalmente inferiore all’1% o addirittura negativa.
Le rilevazioni mostrano, dunque, una notevole discrepanza tra i tassi di crescita della popolazione e i livelli di emissioni nei vari paesi. Più che alla crescita demografica, le emissioni globali sembrano essere strettamente legate al Prodotto Interno Lordo di un paese. Infatti, le regioni con i maggiori emettitori storici e attuali, come gli Stati Uniti, la Cina e l’Unione Europea, sono quelle in cui la crescita della popolazione si è arrestata o prosegue a un ritmo ridotto. D’altro canto, le regioni con una rapida crescita demografica contribuiscono in misura minima al riscaldamento globale. Pertanto, si può concludere che un PIL più elevato tende a correlarsi con un maggiore contributo del paese alle emissioni globali.
Un secondo dato messo in luce dal rapporto consiste nel nesso tra reddito individuale e livello di emissioni climalteranti. Nel 2019, il 64% delle disuguaglianze di carbonio a livello globale era attribuibile a disuguaglianze interne ai paesi: ciò suggerisce che la responsabilità delle emissioni varia notevolmente non solo tra nazioni diverse, ma anche all’interno delle stesse. Si stima, infatti, che il 10% più ricco della popolazione mondiale, che detiene un ruolo dominante nei settori chiave responsabili delle emissioni, sia responsabile del 48% delle emissioni totali di gas serra. Solo il 12% delle emissioni è, invece, prodotto dalla metà più povera della popolazione mondiale.
Questi dati mostrano una correlazione diretta tra le emissioni di gas serra e il reddito individuale. La differenza appare ancora più netta col passare del tempo. Secondo le stime presentate nel rapporto, negli ultimi 30 anni l’1% più ricco della popolazione mondiale ha causato il 24% delle emissioni: il 7% in più di emissioni di gas serra rispetto alla metà meno ricca della popolazione, e il divario è andato aumentando negli anni.
Oltre al reddito nazionale e individuale, anche il luogo di residenza (rurale o urbano), l’età, il livello di istruzione, e la dimensione del nucleo familiare possono determinare il livello di emissioni.
Nelle aree urbane le emissioni tendono a essere inferiori grazie alle economie di scala tipiche della vita in città come, per esempio, l’utilizzo condiviso dei trasporti pubblici. Tuttavia, questi benefici vengono spesso ridotti dagli stili di vita della parte più ricca della popolazione urbana, i cui redditi più elevati portano generalmente a maggiori consumi e, di conseguenza, a un aumento delle emissioni totali. Occorre tuttavia tenere conto del fatto che, quando si considerano le emissioni pro capite, le persone residenti in città risultano “penalizzate” dal fatto che le famiglie tendono a essere più piccole nelle aree urbane rispetto a quelle delle aree rurali, con la conseguenza che le emissioni sono divise per un numero minore di membri della famiglia.
L’età influisce significativamente sui consumi poiché è correlata al livello generale di reddito e di risparmi. Ciò può portare a un incremento delle emissioni al crescere dell’età, dal momento che un reddito più alto tende a essere speso in consumi. Oltre a ciò, le preferenze di spesa possono variare nel corso della vita, con un orientamento verso prodotti o servizi di maggiore o minore intensità di carbonio. Pertanto, considerando la forte relazione tra reddito, consumi ed emissioni, evidenziata ampiamente in letteratura, il rapporto osserva che le emissioni medie raggiungono un picco per le persone tra i 40 e i 44 anni. La differenza in termini di emissioni tra i gruppi di età è significativa, corrispondendo a quasi 5 tonnellate di CO2 in più per le persone di età compresa tra 40-44 anni rispetto a quelle tra i 20-24 anni. Inoltre, la tendenza delle generazioni più anziane a produrre più emissioni è ancora più rilevante se si neutralizza l’effetto del reddito, indicando che le persone più anziane tendono a generare in media emissioni maggiori rispetto alle generazioni più giovani.
Sebbene le persone più anziane possano avere consumi inferiori in termini assoluti, esse tendono a generare una concentrazione maggiore di emissioni provenienti da prodotti ad alta intensità di carbonio, risultando in emissioni pro capite più elevate. Essi sono inoltre più presenti nelle aree rurali rispetto alle città, il che li rende meno capaci di beneficiare delle economie di scala urbane. Allo stesso tempo, hanno minori possibilità di modificare i propri modelli di consumo, pertanto tendono a concentrare le loro spese su prodotti con un’intensa impronta di carbonio. Considerando tutti questi fattori insieme e guardando al futuro, risulta evidente la necessità di politiche di transizione e mitigazione declinate rispetto al fattore generazionale.
Altre differenze legate all’età emergono nel grado di preoccupazione per il cambiamento climatico, che tendono a riflettersi nei comportamenti personali. Circa il 21% dei cittadini dell’Unione Europea tra i 15 e i 29 anni identifica il cambiamento climatico come il problema principale del nostro tempo; tuttavia, questa percentuale si riduce rispettivamente al 18%, al 17% e al 16% per i cittadini dell’Unione Europea di età compresa tra i 30 e i 44 anni, i 45 e i 59 anni, e coloro che hanno superato i 60 anni.
Oltre che rispetto all’età, la percezione della gravità dei cambiamenti climatici cambia a seconda del livello di istruzione e del luogo di residenza. Le persone con un’istruzione superiore tendono a considerare il cambiamento climatico come il problema più urgente circa 2,5 volte più spesso rispetto a quelle con un’istruzione elementare. Analogamente, solo il 73% dei cittadini dell’Unione Europea con un’istruzione primaria riconosce il cambiamento climatico come un problema di grande importanza, percentuale che aumenta al 77% e al 82% rispettivamente per coloro con un’istruzione secondaria e terziaria. Risulta, inoltre, che i residenti delle grandi città riconoscano il cambiamento climatico come una problematica maggiormente rilevante rispetto a coloro che vivono nelle aree rurali o nelle città di medie dimensioni. Infatti, il 19% degli intervistati residenti nelle grandi città dell’UE definisce il cambiamento climatico come il problema predominante e l’81% lo vede come un problema molto grave. Queste percentuali risultano inferiori per gli abitanti delle aree rurali o delle città medie, riducendosi rispettivamente al 17% e tra il 76 e il 79%.
Il Premio Nobel William Nordhaus ha identificato una “minore crescita della popolazione” come uno dei tre metodi principali per la riduzione delle emissioni di gas serra. Tuttavia, le politiche di mitigazione e adattamento al clima dell’Unione Europea tendono a concentrarsi non tanto sulle dimensioni e sulla crescita demografica, ma piuttosto sulla necessità di affrontare la vulnerabilità di specifici gruppi sociali – come le popolazioni che tendono all’invecchiamento, a basso reddito e residenti in aree rurali.
Secondo il rapporto, l’UE potrebbe intensificare ulteriormente il suo sostegno a strategie volte a ridurre la mortalità infantile e materna, garantire un accesso universale all’istruzione (particolarmente per le ragazze), promuovere l’uguaglianza di genere, combattere i matrimoni precoci e garantire un accesso universale alla salute sessuale e riproduttiva e ai diritti riproduttivi. Tali strategie, se applicate con cura e consapevolezza, potrebbero contribuire a una minore crescita della popolazione e, di conseguenza, ridurre le emissioni.
Guglielmo Accardo studia Sociologia e ricerca sociale all’Università di Pisa e collabora con Scienza&Pace Magazine e con Appunti di Pace in qualità di volontario del Servizio Civile Universale presso il Centro Interdisciplinare “Scienze per la Pace”.