giovedì, Aprile 25, 2024
AmbienteEconomia

Carbon inequality in 2030. Il Rapporto Oxfam su crisi climatica e diseguaglianze

a cura di Gaia Barbieri e Federico Oliveri

Il Rapporto di Oxfam Carbon inequality in 2030, redatto da Tim Gore e pubblicato il 5 novembre 2021, afferma che tra 8 anni l’1% più ricco del mondo produrrà emissioni 30 volte maggiori rispetto al livello pro capite globale necessario per contenere l’aumento delle temperature sotto 1,5°C come deciso con l’Accordo di Parigi.

L’assunto di fondo dello studio è che crisi climatica e diseguaglianze economiche siano strettamente connesse. Già nel 2020, Oxfam e l’Istituto per l’ambiente di Stoccolma (SEI) hanno stimato che, tra il primo rapporto del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) nel 1990 e l’accordo di Parigi del 2015, il consumo dell’1% più ricco del mondo ha causato il doppio delle emissioni di carbonio della metà più povera della popolazione mondiale. Adesso, in questo nuovo rapporto elaborato sui dati dell’Istituto per la politica ambientale europea (IEEP) e del SEI, si forniscono stime sull’impatto che i contributi agli Obiettivi di Parigi determinati a livello nazionale (NDC) avranno sulle emissioni pro capite da consumo dei diversi gruppi di reddito globale nel 2030: emerge chiaramente la forte distanza tra le classi sociali medio-alte, la cui impronta di carbonio non è compatibile con l’obiettivo dei 1,5°C, e le classi sociali basse la cui impronta, invece, è compatibile con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.

Si stima in particolare che:

• nel 2030 l’1% della popolazione mondiale più ricca dovrebbe avere un’impronta delle emissioni pro capite di consumo il 25% maggiore rispetto al 1990, 16 volte superiore alla media globale, e 30 volte superiore al livello globale pro capite compatibile con l’obiettivo di 1,5°C, mentre l’impronta della metà più povera della popolazione mondiale è destinata a rimanere ben al di sotto del livello di 1,5°C;

• la quota delle emissioni globali totali associate ai consumi dell’1% più ricco è destinata a crescere ancora, dal 13% nel 1990, al 15% nel 2015, fino al 16% nel 2030;

• dal 2015 al 2030, le classi medie globali si faranno carico di tagli alle emissioni pro capite che restano però ancora lontane dal livello globale di 1,5°C;

• la geografia della disuguaglianza mondiale del carbonio è destinata a cambiare, con una quota crescente delle emissioni dell’1% più ricco del mondo nei paesi a reddito medio;

• a livello nazionale, in ciascuno dei principali paesi emettitori, il 10% dei cittadini più ricchi dovrebbe avere nel 2030 emissioni pro capite superiori alla media mondiale pro capite compatibile con l’obiettivo di 1,5°C.

La conclusione è evidente: se si vuole mantenere l’obiettivo di Parigi, di un aumento medio della temperatura sotto i 1,5°C, le emissioni di carbonio devono essere ridotte molto più rapidamente di quanto attualmente proposto. Ma questi sforzi devono andare di pari passo con misure per diminuire la disuguaglianza e far sì che i cittadini più ricchi del mondo, ovunque vivano, siano spinti a ridurre più drasticamente di quanto fatto fin qui il proprio contributo alla crisi climatica.

 

Figura 1 – Emissioni pro capite da consumo dei gruppi globali di reddito nel periodo 1990–2030 e obiettivo pro capite globale di 1,5⁰C compatibile con gli Accordi di Parigi nel 2030. Sulla base degli NDC e di altre politiche nazionali, si stima che entro il 2030 l’1% più ricco della popolazione mondiale (circa 80 milioni di persone) avrà un’impronta di emissioni del 25% superiore rispetto al 1990, 16 volte superiore alla media globale pro capite nel 2030 e circa 30 volte superiore al livello globale di emissioni necessario per contenere l’aumento della temperatura sotto 1,5°C. L’impronta del 10% più ricco (circa 800 milioni di persone) sarà nove volte il livello pro capite compatibile con l’obiettivo di 1,5°C, mentre il 40% appartenente alla classe media (circa 3.2 miliardi di persone) sarà circa il doppio. Al contrario, l’impronta media della metà più povera della popolazione mondiale (circa 4 miliardi di persone) dovrebbe rimanere sostanzialmente al di sotto della soglia di 1,5°C.

 

Figura 2 – Emissioni totali da consumo dei gruppi globali di reddito nel periodo 1990–2030 e livello di emissioni globali totali compatibili con 1,5⁰C nel 2030. Nonostante le modeste riduzioni totali delle emissioni a livello globale dal 2015 al 2030, le emissioni totali associate all’1% più ricco continueranno ad aumentare. In particolare, le emissioni totali associate al 90% della popolazione globale supereranno di poco il livello globale di emissioni compatibile con l’obiettivo di 1,5°C, mentre le emissioni totali associate al consumo del 10% della popolazione mondiale più ricca saranno quasi pari a quel livello.

 

Figura 3 – Quota delle emissioni globali derivanti dal consumo dei gruppi di reddito globale nel periodo 1990-2030. La crescita delle emissioni assolute legate all’1% più ricco della popolazione mondiale corrisponde a una continua crescita della loro quota di emissioni globali totali, quota che si stima continuerà a crescere dal 13% nel 1990, al 15% nel 2015 fino ad oltre il 16% entro il 2030.

 

Figura 4 – Crescita delle emissioni pro capite nel periodo 2015-2030 e media globale compatibile con l’obiettivo di 1,5⁰C. Per allinearsi a un livello globale pro capite compatibile con l’obiettivo di 1,5°C, si stima che le emissioni pro capite della metà più povera della popolazione mondiale potrebbero aumentare anche oltre il 230%: la crescita delle emissioni prevista per questa fascia di popolazione resta al 17%. I tagli più consistenti dovrebbero, invece, essere realizzati tra le classi superiori e medie del mondo che, per rispettare gli Accordi di Parigi, dovrebbero ridurre le emissioni rispettivamente del 97% (l’1% più ricco), del 90% (10% più ricco) e del 57% (40% mediamente ricco): la riduzione delle emissioni prevista per le fasce medio-alte della popolazione globale resta molto lontana da questi obiettivi.

 

Figura 5 – Crescita delle emissioni pro capite 1990–2015 e 2015–2030. L’andamento delle emissioni dal 1990 ad oggi e le previsioni per il 2030, analizzate per fasce globali di reddito, mostrano quanto il cosiddetto “effetto Parigi” (ossia l’impatto degli obiettivi di riduzione delle emissioni stabiliti con l’Accordo di Parigi) interessi particolarmente le classi medie (che però hanno visto crescere più rapidamente delle altre il proprio tasso di emissioni pro capite tra il 1990 e il 2015) e quanto i tagli previsti interessino di più i redditi bassi dei paesi ad alto reddito.

 

Figura 6Cambiamenti nella fonte geografica delle emissioni dell’1% più ricco del mondo nel periodo 2015–2030. Dal 1990 si è verificato un cambiamento significativo nella misura in cui cittadini di diversi paesi contribuiscono alle emissioni dei diversi gruppi di reddito globale: tali tendenze sono destinate a proseguire. Si stima che, entro il 2030, i cittadini cinesi contribuiranno con una quota maggiore delle emissioni dell’1% più ricco rispetto ai cittadini degli Stati Uniti, e i cittadini indiani contribuiranno con una quota maggiore rispetto ai cittadini dell’UE. La quota di emissioni collegate alla fascia superiore di reddito provenienti da altri paesi è destinata ad aumentare notevolmente entro il 2030, con contributi importanti provenienti da cittadini di paesi come l’Arabia Saudita e il Brasile (i cui cittadini sono destinati a rappresentare, rispettivamente, il 9% e il 3% delle emissioni dell’1% più ricco nel 2030). Queste tendenze riflettono sia l’aumento del numero di cittadini dei paesi a medio reddito tra i più ricchi del mondo, sia il ritmo più lento delle riduzioni delle emissioni di tali paesi rispetto ai paesi ad alto reddito.

 

Figura 7 – Emissioni pro capite da consumo dei gruppi di reddito nei principali paesi emittenti nel 2030 e livello medio globale pro capite compatibile con 1,5⁰C. La disuguaglianza nell’impronta di carbonio è spesso più evidente a livello globale, ma anche le disuguaglianze all’interno dei paesi sono significative: esse costituiscono anche un buon indicatore dell’accettabilità politica e sociale degli sforzi nazionali per ridurre le emissioni. In tutti i principali paesi emittenti, il 10% e l’1% più ricco a livello nazionale sono destinati ad avere un’impronta di consumo pro capite sostanzialmente superiore al livello globale pro capite compatibile con 1,5°C. Solo l’India avrà, nel 2030, emissioni nazionali di consumo medio pro capite sotto il livello 1,5°C. In Cina, mentre la metà della popolazione è destinata nel 2030 a rimanere ben al di sotto delle emissioni pro capite compatibili con 1,5°C, le emissioni pro capite dell’1% più ricco potrebbero aumentare notevolmente. In paesi e regioni ad alto reddito, come Stati Uniti, Unione Europea e Regno Unito, che per altro hanno beneficiato di secoli di crescita ad alta intensità di carbonio, tutte le fasce di reddito resteranno lontane nel 2030 dal raggiungere livelli di emissioni pro capite compatibili con 1,5°C.

 

Conclusioni

L’estrema differenza tra le impronte di carbonio di una piccola minoranza della popolazione mondiale e il livello medio globale necessario per mantenere l’obiettivo di 1,5°C non è sostenibile, né dal punto di vista climatico, né sociale. Mantenere un’impronta di carbonio così elevata tra le persone più ricche del mondo richiede tagli da parte del resto della popolazione mondiale e comporta comunque un riscaldamento globale superiore a 1,5°C.

La dimensione delle diseguaglianze sociali in materia di carbonio deve essere urgentemente posta al centro dell’agenda dei governi. Tra le possibili strategie di intervento, il rapporto Oxfam raccomanda l’aumento delle tasse sulle fasce più alte della popolazione e sui consumi ad alta intensità di carbonio (SUV, mega yacht, jet privati e turismo spaziale), che rappresentano un impoverimento moralmente ingiustificato del già critico bilancio mondiale in materia di emissioni di carbonio.

Tali misure, accanto a più ampie riforme fiscali progressive, sono fondamentali per ridurre la concentrazione della ricchezza, per cambiare il comportamento dell’élite globale più inquinante e clima-alterante, per generare le entrate fiscali necessarie per finanziare la lotta contro le crisi climatiche e per accompagnare con adeguate politiche di welfare la transizione energetica ed ecologica.