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Sudan: nonostante le trattative di pace non si ferma il conflitto armato

Un recente articolo pubblicato su Africa Express rompe il silenzio che è caduto sul conflitto armato interno al Sudan, scoppiato il 15 aprile 2023 tra le Forze Armate Sudanesi (SAF) e le Forze di Supporto Rapido (RSF). Nonostante i rappresentanti delle parti coinvolte abbiano recentemente partecipato a negoziati a Gedda, in Arabia Saudita, il conflitto armato non si ferma e continua a causare un elevato numero di vittime. Secondo le Nazioni Unite, il bilancio supera le 9.000 vittime, tra militari e civili, mentre 5,6 milioni di persone sono state costrette a lasciare le proprie case. In particolare i violenti scontri avvenuti nel mese di ottobre e l’annuncio da parte delle RSF di aver preso il controllo di Nyala, dopo aver mobilitato migliaia di combattenti tribali dal Darfur centrale, occidentale e orientale, sollevano seri dubbi sulle reali intenzioni delle due fazioni riguardo al raggiungimento di un cessate il fuoco o di una pace. Attualmente il paese appare spaccato: le RSF controllano la maggior parte di Khartoum, comprese le città gemelle Omdurman e Bahri, e continuano ad espandersi nelle aree precedentemente sotto il controllo dell’esercito; 9 dei 18 stati sudanesi, situati nel centro, nell’est e nel nord del paese, sono invece sotto il controllo delle SAF, incluso Port Sudan, il principale porto marittimo che ospita anche l’unico aeroporto attivo per i viaggiatori internazionali. Stretta tra le due parti in conflitto, la popolazione civile sta soffrendo, privata di farmaci, cure e servizi essenziali a causa della chiusura di numerose strutture ospedaliere e della carenza di forniture mediche, come recentemente segnalato da Emergency.

di Cornelia I. Toelgyes

Le due fazioni sudanesi in conflitto dal 15 aprile scorso si sono nuovamente sedute al tavolo delle trattative a Gedda, in Arabia Saudita, giovedì scorso 23 ottobre, sotto la mediazione di Riyad e Washington. I precedenti dialoghi di pace erano stati interrotti all’inizio dell’estate.

Questa volta partecipa ai lavori anche l’Autorità intergovernativa per lo sviluppo, un’organizzazione internazionale politico-commerciale (IGAD) formata dai Paesi del Corno d’Africa, rappresentata a Gedda dal suo segretario esecutivo, Workneh Gebeyehu, ex Ministro degli Esteri dell’Etippia, che ha raggiunto i mediatori statunitensi e sauditi sperando che, finalmente, si potesse raggiungere un cessate il fuoco umanitario. Non si sa se in futuro al tavolo dei negoziati si siederanno anche altri membri dell’IGAD, delegati del Kenya, di Gibuti, del Sud Sudan e di altri Stati.

Mentre i rappresentanti delle parti in causa, le Rapid Support Forces (RSF) capeggiate da Mohamed Hamdan Dagalo, meglio noto come Hemetti, da un lato e le forze armate sudanesi (SAF) di Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan, Presidente del Consiglio Sovrano e di fatto Capo dello Stato, dall’altro, parlano di pace, la guerra infuria nel paese.

I violenti combattimenti degli ultimi giorni e l’annuncio delle RSF di aver preso Nyala, capoluogo della provincia del Darfur meridionale, mettono fortemente in dubbio le reali intenzioni delle due fazioni belligeranti. Vogliono veramente raggiungere la pace?

Dall’inizio di ottobre, le RSF hanno mobilitato migliaia di combattenti dal Darfur centrale, occidentale e orientale per la conquista di Nyala. Secondo un comunicato rilasciato dai vertici degli ex Janjaweed [miliziani filogovernativi impegnati nella guerra civile del Darfur, ndr], le SAF avrebbero subito imponenti perdite: oltre 2.000 soldati uccisi e numerosi mezzi militari distrutti. Inoltre le RSF avrebbero preso possesso di tutto l’equipaggiamento bellico presente nella base delle forze armate in città.

I morti civili non si contano più. Si parla di oltre 9.000, secondo il bilancio delle Nazione Unite molto probabilmente sottostimato, mentre più di 5,6 milioni di persone hanno dovuto lasciare le proprie case per sfuggire alla furia di bombardamenti e combattimenti. Oltre la metà della popolazione del paese dipende oggi da aiuti umanitari.

Tra gli sfollati oltre un milione ha cercato protezione nei paesi limitrofi. Purtroppo le condizioni di vita nei campi profughi sono tutt’altro che dignitose. Dall’inizio delle ostilità, oltre 423.000 sudanesi hanno attraversato il confine con il Ciad, ma le ONG e le agenzie delle Nazioni Unite presenti sul posto non hanno risorse sufficienti per far fronte alla grande emergenza umanitaria. Gli sfollati fanno fatica a nutrirsi e all’inizio del mese, secondo quanto ha riportato la BBC, 42 sudanesi sarebbero morti nel Ciad orientale a causa della grave carenza di cibo e acqua potabile e della diffusione di malattie, come la malaria.

Per mettere fine alla guerra anche la società civile e la politica sudanese si stanno muovendo. Una delegazione di rappresentanti di varie organizzazioni e partiti si sono riuniti in settimana a Addis Abeba, per fare pressione sui militari proponendo loro un progetto politico alternativo credibile. Il comitato preparatorio del Fronte civile per fermare la guerra, che comprende una sessantina di persone, ha scelto come suo leader l’ex primo ministro sudanese Abdallah Hamdok.

Secondo diverse fonti militari sul campo, le RSF controllano la maggior parte della capitale Khartoum e della città gemelle Omdurman e Bahri e continuano a penetrare nel territorio controllato dall’esercito. Hemetti e i suoi uomini hanno in mano la vasta regione occidentale del Darfur, Nyala nel Sud Darfur e si sono impadroniti anche di gran parte del Kordofan settentrionale, che si trova lungo la principale rotta tra Khartoum e il Darfur, attraverso cui le RFS fanno passare rifornimenti provenienti dalla Libia, dal Ciad e dalla Repubblica Centrafricana.

Al tempo stesso 9 dei 18 stati sudanesi, situati al centro, est e nord del paese, sono completamente nelle mani del SAF, compreso Port Sudan, il principale porto marittimo, dove si trova anche l’unico aeroporto funzionante per i passeggeri che viaggiano all’estero. L’esercito regolare ha dichiarato Port Sudan come capitale alternativa e molte missioni diplomatiche straniere hanno portato la loro sede nella città.

Le istituzioni governative del Sudan sono ancora controllate dall’esercito, compresi i ministeri delle Finanze e degli Esteri, nonché la Banca Centrale, anche se molti dei principali edifici pubblici del paese sono in mano ai paramilitari di Hemetti. A Khartoum, Bahri e Omdurman, oltre alla maggior parte degli edifici governativi, tra cui il palazzo presidenziale, le RSF controllano alcuni siti strategici, tra cui la raffineria di petrolio al-Jaili a 70 chilometri dalla capitale, l’aeroporto di Khartoum e l’edificio della radiotelevisione di Stato a Omdurman.

In conclusione: è evidente che il paese è diviso, letteralmente “spartito” tra i due generali. Entrambe le parti hanno dichiarato l’intenzione di istituire un proprio governo in Sudan – una mossa che ricorda la Libia – con una parte governata dalle Forze Armate Sudanesi (SAF) e un’altra dalle Forze di Supporto Rapido (RSF). Al-Burhan ha minacciato di istituire un gabinetto governativo a Port Sudan. Hemetti ha replicato che un governo a Port Sudan lo spingerebbe a crearne uno rivale nella capitale Khartoum o in un’altra città sotto il controllo dei suoi uomini.

Fonte: Africa Express, 28 ottobre 2023.