Lo sterminio palestinese nello sport e il doppio standard alle Olimpiadi
di Saverio Solimani
È rimasta inascoltata la lettera che, lo scorso 22 luglio, il Palestine Olympic Committee (POC) ha inviato al Comitato olimpico internazionale (CIO), con la richiesta di escludere Israele dalle Olimpiadi di Parigi. Così come la lettera, dello stesso tenore, inviata qualche settimana prima dalla Palestine Football Association (PFA) al Presidente della FIFA Gianni Infantino.
“La lettera – ha spiegato il POC – arriva dopo mesi di informazioni fornite dai rispettivi organismi sportivi palestinesi sulle sistematiche e continue violazioni della Carta olimpica e degli statuti della FIFA commesse dagli organismi sportivi israeliani e dai loro membri, tra cui il Comitato olimpico e la Federazione calcistica israeliana”.
Il Comitato Palestinese ha richiamato l’attenzione degli organismi olimpici sulla ripetuta violazione, da parte di Israele, della risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite sulle Olimpiadi di Parigi 2024 che, adottata lo scorso novembre all’unanimità con solo due astensioni (Russia e Siria), ha fissato la “tregua olimpica” dal 19 luglio al 15 settembre 2024 per “garantire un contesto pacifico per i giochi”.
Dall’inizio dell’operazione militare israeliana in risposta agli attacchi del 7 ottobre, “circa 400 atleti palestinesi sono stati uccisi e la distruzione delle strutture sportive aggrava la situazione degli atleti, che sono già sottoposti a gravi restrizioni”, si leggeva ancora nella lettera. La dichiarazione richiamava anche il recente parere consultivo emesso dalla Corte internazionale di giustizia, in cui l’occupazione, l’annessione e la colonizzazione dei territori palestinesi da parte di Israele sono stati dichiarati illegali, così come il regime di segregazione sociale e legale imposto ai palestinesi che vi abitano e che merita la definizione di apartheid.
La richiesta di esclusione di Israele dai giochi è arrivata anche dalla società civile mondiale, che ha promosso diversi appelli pubblici in tal senso, rimasti ugualmente inascoltati. Come inascoltata è rimasta la campagna promossa dal movimento per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni (BDS) contro il governo israeliano: No Olympics as Usual.
Una strategia di annichilimento dello sport palestinese
La denuncia del Comitato Olimpico Palestinese va inserita in un contesto più ampio: quello di una vera e propria strategia di annichilimento dello sport nei Territori occupati da parte di Israele che, dopo il 7 ottobre, si è radicalmente intensificata.
Lo Stadio Municipale di Rafah, a maggio 2023, festeggiava il titolo della prima divisione di calcio conquistato dalla locale squadra del Khadamat Rafah. Oggi l’impianto, in piede per miracolo, vede attorno a sé solo macerie. Il Khan Younis aveva vinto il titolo della seconda divisione nell’omonimo stadio dell’omonima città, ma oggi quell’impianto è completamente distrutto.
Gli importi sportivi della Striscia sono stati in grandissima parte danneggiati o distrutti: dal 7 ottobre si contano un totale di 42 strutture tra palestre, sale d’allenamento, campi e stadi rasi al suolo, mentre sette sono state distrutte in Cisgiordania.
Il giornalista Abubaker Abed, in un articolo scritto per la testata online turca Anadolu, ha ricordato come Israele abbia distrutto anche le sedi delle scuole calcio, tra cui l’Al-Wahda Academy e la Champions Academy, che “era uno dei progetti calcistici più promettenti” a Gaza.
Stando a un rapporto dello scorso maggio di Euromed Human Rights Monitor, sono stati demoliti e distrutti anche 300 campi da calcetto, 22 piscine, 12 palestre coperte per basket, pallavolo e pallavolo e sei stadi di tennis, oltre a ventotto centri sportivi e centri fitness danneggiati e distrutti.
Si stima che, dall’inizio dell’operazione militare contro Gaza, gli atleti uccisi dall’esercito israeliano siano almeno 400. Molti di loro (cestisti, pallavolisti, lottatori, nuotatori, ginnasti) sarebbero dovuti andare alle Olimpiadi, come il karateka Nagham Abu Samra, morto (anche lui a marzo) a causa delle ferite da missili israeliano che gli ha amputato entrambe le gambe. Tra le vittime si conta anche il primo atleta olimpico e portabandiera palestinese di sempre, Majed Abu Maraherl.
Lo sport più colpito è il calcio, che è anche quello più amato e diffuso nella Striscia. Susan Shalabi, vicepresidente della Federazione calcistica palestinese, ha dichiarato che dall’inizio dell’attacco contro Gaza, già a gennaio sarebbero stati 88 i professionisti ammazzati, più 33 tra scout e membri delle società sportive: 245 giocatori, se si contano anche i non-professionisti, tra cui 69 bambini.
Alcune uccisioni hanno fatto particolare impressione: a marzo scorso, mentre giocavano contro il Bangladesh i calciatori della Nazionale hanno ricevuto la notizia della morte di Mohammed Barakat, con oltre cento gol in carriera. Ucciso da un raid israeliano mentre era in casa.
Nader al-Jayooshi, del Comitato Olimpico Palestinese, ha avvertito che “c’è il rischio che non riusciremo a riprendere attività sportive nella Striscia per i prossimi dieci anni“. Si pensi cosa vogliono dire dieci anni per un bambino o una bambina, già sfollati e colpiti da lutti familiari, che avrebbero l’età per poter iniziare uno sport e raggiungere anche alti livelli di agonismo, ma a cui si nega questa possibilità.
“Gli attacchi sugli atleti a Gaza sono sistematici e sono parte di un piano da parte di Israele per sradicare gli sport dal territorio”, ha riportato ancora Abubaker Abed su Anadolu. Ciò rientra nella strategia descritta dallo scrittore Abdaljawad Omar: “Israele cerca sistematicamente di garantire che i risultati e il potenziale palestinese in tutti i campi rimangano smorzati e sempre sminuti rispetto ai propri risultati”. E aggiunge: “Ciò vale per i campi politici, intellettuali, economici e letterari, dove storicamente sono stati presi di mira molti palestinesi talentuosi e di grande talento. Lo sport non fa eccezione in questo senso”.
Non sono esagerazioni. Per comprendere come sia impedito, di fatto, ai palestinesi di giocare nei propri campi, basti pensare che dal 2011 l’esercito israeliano li considera obiettivi legittimi da colpire in quanto possibile base di lancio dei missili che da Gaza cercano di raggiungere Israele. Dopo l’attacco di terra, gli stadi di Gaza sono stati utilizzati per rinchiudere prigionieri, come nel caso dello Yarmouk Stadium di Gaza.
Sulle esclusioni dalle Olimpiadi pesa un doppio standard
L’esclusione dalle Olimpiadi di alcuni paesi, per il mancato rispetto dei diritti umani, ha una storia lunga almeno sessant’anni. Nell’edizione di Tokyo 1964, il Sudafrica era stato escluso a causa delle “politiche di apartheid e discriminazione razziale” imposte alla popolazione nera: l’esclusione è durata per tutte le successive edizioni, fino a Seoul 1988. Nel 1972, alle Olimpiadi di Monaco, era stato escluso lo Zimbabwe sempre a causa politiche di discriminazione razziale. A Sidney 2000 era stato escluso dai giochi l’Afghanistan dei talebani, per la violazione dei diritti delle donne. A Rio 2016, invece, non era stato ammesso il Kuwait a causa di modifiche alla legislazione sportiva che screditavano le Olimpiadi.
A Parigi 2024 le sole nazioni escluse sono state la Russia e la Bielorussia: la prima a causa dell’invasione dell’Ucraina, la seconda per il sostegno politico fornito alla Russia. Il Comitato Olimpico Internazionale ha, tuttavia, permesso agli atleti russi e bielorussi di partecipare a titolo individuale e come “atleti neutrali”, non rappresentati da alcun simbolo nazionale. Ammissione, comunque, sottoposta a limitazioni: gli atleti non devono appartenere a corpi militari, non possono partecipare alle competizioni di squadra, e nessun rappresentante ufficiale dei due paesi può essere accreditato o invitato agli eventi.
La mancata esclusione di Israele, su cui proseguono le indagini della Corte Internazionale di Giustizia per crimini di genocidio e contro i cui vertici governativi il Procuratore generale della Corte Penale Internazionale ha richiesto un mandato di cattura, ha fatto parlare di doppio standard.
Delegazioni palestinesi partecipano alle Olimpiadi da Atlanta 1996. La delegazione palestinese presente ai giochi di Parigi, la più numerosa di sempre con 8 atleti, ha commentato la mancata esclusione di Israele dai Giochi affermando che “il Comitato Olimpico Israeliano ha perso il diritto morale, sportivo, umanitario e legale di partecipare, incoraggiando e, in alcuni alcuni, partecipando direttamente alla guerra, al genocidio e alla pulizia etnica in corso a Gaza”.
Il presidente del Comitato Olimpico Palestinese ha precisato che “da un punto di vista psicologico, umanitario e morale, è impossibile per gli atleti palestinesi affrontare gli israeliani durante le gare della varie discipline”.
Il nuotatore Yazan Al Bawwab ha voluto fare presente che “non siamo qui per le medaglie, ma per coinvolgere quante più persone possibili riguardo alla causa palestinese. Non mi interessano i soldi. Se una medaglia mi permette di attirare più attenzione, è questo che mi interessa”. E ha aggiunto: “Non c’è alcuna pressione su di noi. La pressione è sui palestinesi in Palestina”.
Al Bawwab ha anche voluto lanciare un potente richiamo all’umanità: “Vogliamo fare sapere al mondo che siamo esseri umani. Posso fare sport come tutti gli altri, assomiglio a un ragazzino di Gaza. Per favore, trattateci come esseri umani. Meritiamo gli stessi diritti di tutti gli altri e vogliamo fare sport come tutti gli altri. Questo è il mio messaggio di pace”.
Ha destato attenzione anche la camicia bianca, indossata da lui e dalla collega nuotatrice Valerie Tarzi, su cui sono raffigurati bambini che giocano sotto le bombe: “è l’immagine attuale della Palestina, dove i bambini che vengono martirizzati e muoiono sotto le macerie, i bambini i cui genitori vengono uccisi, rimangono soli, senza cibo né acqua”, ha spiegato Abu Sal.
A sostenere la sua presenza, anche il progetto di scambio sportivo tra pugili palestinesi e italiani «Boxe contro l’assedio». Coordinato dalla ong palermitana Ciss, il progetto ha coinvolto le palestre romane Valerio Verbano e Quarticciolo, la palestra popolare di Palermo e quella del Dopolavoro ferroviario di Velletri.
Dall’altra parte, non è passata inosservata la scelta come portabandiere di Israele del judoka Peter Paltchik, di cui circola sui social una foto con missili che, sembra, siano state da lui firmate prima di essere sganciate su Gaza con la dedica: “Da me a te, con piacere”. Il 32enne è stato accusato di essere un forte sostenitore del genocidio dei palestinesi in corso a Gaza.
Ma più di ogni altro gesto, è eloquente la violazione della tregua olimpica da parte di Israele, con l’uccisione di 5 calciatori palestinesi durante i Giochi: Shadi Abu Al-Araj, del club Shabab Khan Younis FC, ucciso il 14 luglio; Hazem al-Ghalban, dell’Al-Ittihad (campionato dell’Arabia Saudita), la cui morte risale al 23 luglio; Muhammad Ramzi Abu Shakyan, del club Hilal Gaza, ucciso sempre il 23 luglio; Fawzi Al-Nagla, dell’Al-Salah, ucciso il 27 luglio; e Mohammed Hussein Al-Sulibi, dello Shabab Al-Zawaida Club, deceduto il 7 agosto.
Già a gennaio scorso, il giornalista Andrea Pisapia commentava l’intenzione del CIO di non escludere Israele dai Giochi di Parigi in maniera severa: “lo sport mondiale si dimostra governato non tanto dai princìpi, quanto dagli interessi economici delle potenze occidentali”. Difficile negare che siamo in presenza di una decisione “politica” che rivela, anche in ambito sportivo, un serio problema di doppi starnard e di ipocrisia. Le violazioni dei diritti umani e il mancato rispetto del diritto internazionale sono sanzionate solo per alcuni paesi, mentre altri sembrano protetti da un’aura di impunità.
Anche dopo le Olimpiadi, l’oppressione continua
Il capo del Comitato olimpico palestinese nonché membro del Comitato centrale di Fatah, Jibril Rajoub, è stato fermato da poliziotti israeliani mentre stava tornando dalle Olimpiadi di Parigi nella Cisgiordania occupata. Rajoub è stato perquisito, privato del passaporto e convocato per un interrogatorio presso il complesso militare Ofer, vicino Ramallah.
Secondo quanto riporta Al Jaazera, Rajoub era già stato minacciato di reclusione da alcuni membri del governo israeliano, tra i quali il ministro degli Esteri Israel Katz, per aver chiesto l’esclusione di Israele dalle Olimpiadi e dai Mondiali di calcio, a causa violazioni della Carta olimpica e dei regolamenti FIFA contro l’apartheid nello sport.
Il dibattito intorno all’esclusione di Israele alle Olimpiadi ha illuminato un altro ambito, quello sportivo, in cui l’oppressione dei palestinesi è pesante e continua: l’augurio è che anche questa consapevolezza concorra a rinforzare la necessità di un cambiamento radicale, che porti al rispetto del diritto internazionale, all’immediato cessate il fuoco a Gaza e in Cisgiordania, e alla fine dell’occupazione illegale israeliana.
Saverio Solimani studia “Informatica umanistica” all’Università di Pisa ed è collaboratore part-time del CISP. Interessato al mondo dell’informazione e della comunicazione sui media, è speaker della radio dell’università, Radio Eco, e fa parte di “Attivamente”, un movimento nazionale di contro-informazione e attivismo antimafia e per i diritti umani.