L’apartheid israeliana contro i Palestinesi: il nuovo rapporto di Amnesty International
Lo scorso 1. Febbraio Orly Noy, giornalista e attivista politica, ha ospitato a Gerusalemme la conferenza stampa in cui Amnesty International ha presentato il suo nuovo rapporto Israel’s apartheid against Palestinians: Cruel system of domination and crime against humanity. Per la prima volta “il regime di Israele tra il fiume e il mare”, è definito, analizzato e denunciato da Amnesty come un regime di apartheid. La giornalista si è detta onorata di poter ospitare la presentazione del lavoro di indagine condotto dall’organizzazione non governativa internazionale, ammettendo di essere colpita da questi sforzi di “non piegarsi di fronte alla propaganda di Israele” e di “insistere a chiamare la realtà di quel regime con il suo vero nome”. Come introduzione al rapporto presentiamo la traduzione dell’articolo che Orly Noy ha dedicato alla conferenza stampa, apparso su +972 Magazine, sito di informazione indipendente da Israele-Palestina.
di Orly Noy
Due cose mi hanno colpita, in particolare, nelle mie interazioni con i membri di Amnesty International in questi giorni: la serietà del loro lavoro e il loro stupore per la risposta israeliana, che li accusava di antisemitismo.
Amnesty, la più grande organizzazione mondiale per i diritti umani, ha lavorato per quattro anni al suo rapporto di 280 pagine. Il sommario esecutivo da solo è lungo decine di pagine: autorevoli, ragionate, coerenti e strazianti. Eppure, i cosiddetti “esperti” – che senza dubbio non hanno letto nemmeno una parola del rapporto – sono stati impegnati a diffamare i suoi risultati e l’organizzazione stessa. E questi sono solo gli esperti. La risposta ufficiale di Israele sembra essere stata completamente fuori dalla realtà, agitando istericamente la carta dell’antisemitismo in ogni occasione e, così, denigrando e contaminando la memoria storica ebraica.
C’è qualcosa di incredibile nel fatto che Israele riesca ancora a insistere sul fatto che, qualsiasi richiesta di abolire il suo regime di supremazia, costituisca al tempo stesso una reale minaccia alla sua esistenza e un atto diffamatorio, di odio, contro gli ebrei. L’ammissione dello Stato di Israele di aver bisogno di mantenere questo regime segregazionista dovrebbe essere sufficiente, di per sé, per scioccare profondamente qualsiasi israeliano intellettualmente onesto.
E dove saremmo senza il classico whataboutisms [“E allora…”] israeliano? E l’Iran, allora? E la Siria? E la Cina? Le stesse persone che chiedono costantemente un trattamento speciale per Israele imbracciano le armi quando Israele viene “escluso” dalla comunità globale dei diritti umani per il trattamento speciale che riserva ai palestinesi.
Anche qui la mole della disinformazione è spaventosa. Seguo regolarmente i rapporti rilasciati dalle organizzazioni per i diritti umani sull’Iran, compresi quelli di Amnesty, e so per esperienza diretta quanto accuratamente e coscienziosamente lavorino sui paesi che Israele vorrebbe farci credere che Amnesty trascuri. Ma perché nessuno si ferma a chiedersi perché gli israeliani si ostinano a paragonare se stessi e il proprio paese a governi autoritari? Come fanno i brividi a non scendere lungo la nostra spina dorsale collettiva ogni volta che chiediamo di essere raggruppati insieme a Iran, Cina e Siria?
Forse la cosa più sconvolgente è che nessuno che lavora per la macchina di propaganda israeliana si fermi a pensare per un momento che, forse, i membri di Amnesty non solo non ci odiano, ma stanno pubblicando questo rapporto anche per il nostro bene, per il bene degli ebrei israeliani: in modo che né noi né i nostri figli continuiamo a vivere come i padroni in un regime spregevole di apartheid. Forse non vogliono altro un futuro migliore, più egualitario, sia per i palestinesi che per gli ebrei israeliani.
Nell’ultima settimana, ho visto da vicino quanto i leader di Amnesty siano stati sconvolti dalle accuse infondate di antisemitismo. Si tratta di persone profondamente impegnate per i diritti umani, persone che disprezzano l’antisemitismo e lo combattono quotidianamente. Sono certamente più impegnati in questa lotta rispetto ai governi israeliani, che hanno ospitato e sdoganato alcuni dei leader più sfacciatamente antisemiti del mondo.
Nel mio intervento di apertura alla conferenza stampa di martedì ho detto che la pubblicazione del rapporto è stata una giornata triste per me, in quanto ebrea israeliana. Questo rapporto ci restituisce un’immagine incredibilmente cupa di noi stessi. Invece di dare un pugno allo specchio, spero che finalmente troveremo il coraggio di fissare la realtà in faccia e provare a cambiarla. Per il bene di tutti i nostri figli.
Fonte: +972 Magazine, 5 febbraio 2022.