venerdì, Dicembre 6, 2024
Conflitti

Israele: alle ultime elezioni la destra avanza ma non vince

di Andrea Vento

Le quarte elezioni legislative degli ultimi 2 anni rischiano di far precipitare il paese in una fase di persistente instabilità politica. I risultati definitivi usciti dalle urne il 23 marzo potrebbero non fornire la possibilità di creare una maggioranza stabile e coesa. Procedendo con ordine nell’analisi rileviamo i seguenti aspetti salienti.

 

Riduzione dell’affluenza

Le elezioni appena svolte hanno registrato un calo dell’affluenza di circa 330.000 votanti, pari a -4,3%, facendo scendere la partecipazione totale al 67,2%, solo in parte causata da timori per il contagio pandemico, visto l’ottimo stadio di avanzamento della campagna vaccinale e gli appositi seggi riservati ai positivi. Riduzione in prevalenza determinata dal minor afflusso della minoranza araba che, infatti, si è concretizzato in un arretramento della Lista Comune arabo-israeliana che raccoglie solo 212.048 voti, che sommati a quelli del partito islamista Ra’am presentatosi da solo ottenendone 167.132, corrispondono a circa 200.000 in meno rispetto ai 577.355 della Lista Comune Araba del marzo 2020. In base all’analisi del voto risulta, infatti, che circa il 60% dell’incremento dell’astensionismo è riconducibile al voto palestinese.

 

Aumento della frammentazione politica

In Israele si sta riproducendo il classico copione dei periodi di instabilità politica con forti tensioni interne alle forze politiche che determinano scioglimento di partiti, frequenti scissioni e nascita di nuove formazioni e coalizioni. Fra le scissioni dell’ultimo anno citiamo: Nuova Speranza di Gideon Sa’ar che l’8 dicembre scorso fuoriesce dal Likud; il partito islamista Ra’am che il 28 gennaio 2021 lascia La lista Comune; lo sfaldamento di Blu e Bianco, dal quale si erano distaccati al momento della formazione del governo di coabitazione con Netanyahu, nel marzo 2020, Yair Lapid, leader di Yesh Atid, e Moshe Ya’alon, di Telem, quest’ultima formazione poi dissolutasi il 1 febbraio 2021.

Dalla coalizione di destra Yamina sono fuoriusciti, invece, i partiti La casa Ebraica e Tkuma, con l’ex ministro Naftali Bennet che ne mantiene il nome rimanendone il leader.

Nell’area della destra estrema registriamo, invece, la formazione del nuovo Partito Sionista Religioso, nato, su regia di Netanyahu per coprire l’area a destra del Likud, dall’aggregazione fra il partito di estrema destra Tkuma, la formazione kahanaista1, Oztma Yehudit, e il partito omofobo Niam.

Nell’ambito dell’area di centro sinistra si registra la formazione di due nuovi partiti che, tuttavia, non hanno partecipato alle elezioni del 23 marzo: Gli Israeliani fondato dal sindaco laburista di Tel Aviv, Ron Huldai, e Tnufa, promosso dall’ex deputato di Yesh Atild, Ofer Shelah.

Un quadro politico, quindi, estremamente fluido quello attuale interno israeliano nel quale l’incertezza si accompagna a dinamicità e frammentazione. Le forze politiche presenti alla Knesset salgono, infatti, dalle 9 nove delle precedente legislatura (Tabella 1), alle ben 13 attuali, rendendo sempre più complessa la formazione di una maggioranze stabile.

Tabella 1: la composizione della Knesset dopo le elezioni anticipate del 2 marzo 2020.

 

Il blocco pro Netanyahu avanza ma non raggiunge la maggioranza

L’esito delle urne conferma l’esistenza di una destra nettamente maggioritaria nel Paese, addirittura, con un rafforzamento di quella estrema (Tabella 2). Il Likud resta primo partito, ma non essendo riuscito come nelle aspettative a capitalizzare l’ottimo esito della campagna di vaccinazioni su cui Netanyahu aveva fatto leva, arretra al 24,19% conquistando 30 seggi e perdendone 6. I partiti religiosi di estrema destra, alleati consolidati del Likud, il sefardita2 e mizhraì3 Shas e l’askhenazita4 Giudaismo unito nella Torà, confermano i seggi conquistati alle precedenti elezioni, rispettivamente 9 e 6.

Supera, abbastanza agevolmente, la soglia di sbarramento del 3,25% la neonata alleanza di estrema destra Partito Sionista Religioso (Sionismo religioso) che, col 5,11%, si aggiudica 6 deputati, triplicando quelli delle scorse elezioni, probabilmente ago della bilancia dello spostamento verso l’estrema destra.

Completa il blocco dell’alleanza a sostegno della riconferma di Netanyahu a capo del governo, il partito di estrema destra Yamina che, dopo aver contribuito alla caduta del precedente governo, sfilandosi dalla maggioranza nel dicembre scorso al momento dell’approvazione del bilancio 2021, ha dichiarato dopo il voto di operare nell’interesse del Paese, garantendo in pratica l’appoggio a un possibile nuovo governo a guida Bibì.

Ne fuoriesce uno schieramento di destra omogeneo, fortemente ancorato verso la parte estrema, e compatto nel sostenere un possibile ennesimo governo Netanyahu, ma che si ferma a 59 seggi, 2 in meno della maggioranza assoluta, probabilmente a causa dei suoi problemi giudiziari e della scissione subita da Gideon Sa’ar che si è posto nel campo politico opposto all’attuale Premier.

Tabella 2: seggi a sostegno di Netanyahu ottenuti nelle elezioni anticipate del 23 marzo 2021.

 

Si consolida il campo anti-Netanyahu

All’interno del perimetro avverso al Premier troviamo, invece, un’eterogenea galassia di forze politiche che attraversa trasversalmente tutto l’arco parlamentare israeliano.

A destra troviamo il partito, laico e nettamente contrapposto ai partiti religiosi ultraortodossi, Israel Beiteneu (Israele, nostra casa) guidato da Avidgor Lieberman, che raccoglie consensi fra gli immigrati arrivati negli ultimi decenni dall’est europeo, che col 5,6% conferma i 7 seggi conquistati nelle precedenti elezioni (Tabella 3). Accanto e accomunato dall’avversione verso Netanyahu, responsabile a loro dire dell’empasse politico in cui si è impantanato il Paese, troviamo Nuova Speranza, costola del Likud nata a seguito della scissione di Gideon Sa’ar che al momento della recente rottura ha dichiarato Il Likud è la mia casa politica da sempre, ma ormai è asservito agli interessi personali del suo leader. Non posso più appoggiare un governo guidato da Netanyahu, né fare parte di un Likud guidato da lui. Lo affermo con grande dispiacere, in quanto per anni l’ho considerato il leader giusto e ho servito i suoi governi da ministro. Ma oggi Israele ha bisogno di unità e stabilità e Netanyahu non può fornire nessuna delle due. E’ arrivato il momento di cambiare il governo Netanyahu, il più lungo della storia del Paese”. L’ex ministro diviene l’ultimo politico dei “cavalli di razza” del Likud che hanno lasciato il partito per creare nuove e concorrenti forze politiche a causa di contrasti insanabili con Netanyahu: Avigdor Lieberman, Naftali Bennet, Moshè Kahlon e Moshè Yaalon (Telem).

Nuova Speranza ottiene 6 deputati che sommati ai 7 di Israel Beiteneu e i 59 del blocco pro Netanyahu porta ad un totale di 72, pari al 70% del seggi della Knesset, i rappresentanti parlamentari delle forze di destra, ampia compagine incapace, tuttavia, di trasformarsi in maggioranza politica per le fratture interne alla stessa area politica.

Sensibili cambiamenti si registrano al centro dove Benny Ganz esce come vero sconfitto da questa tornata elettorale a causa della sua decisione del 29 marzo 2020 di dar vita ad un governo di coalizione con Netanyahu, che già all’epoca provocò l’abbandono di Yar Lapid dell’alleanza Blu e Bianco e la formazione del gruppo parlamentare Yesh Atid-Telem, frammentando definitivamente il secondo raggruppamento politico israeliano. Ciò che resta di Blu e Bianco, come nelle previsioni, arretra al 6,61%, conquistando solo 8 seggi, 7 in meno rispetto alle precedenti elezioni, mentre Yesh Atid si attesta al 13,71% eleggendone 17, confermando che la scelta di non appoggiare l’ennesimo governo Netanyahu è risultata, dal punto di vista centrista, corretta, tant’è che è stata premiata con un incremento di 4 parlamentari, che gli ha consentito di divenire il secondo partito.

Contrariamente alle previsioni, dalle urne escono rafforzate le forze tradizionali del centro-sinistra sionista, in crisi di identità e di consensi da alcuni anni, che presentatesi separatamente rispetto alle precedenti elezioni, sono riuscite ad invertire la tendenza ribassista delle ultime tornate elettorali. Il Partito Laburista, architrave dei governi del Paese fino agli anni ’70, grazie alla nuova segretaria Marav Michaeli, risale la china rispetto al minimo storico raggiunto nelle precedenti elezioni, raddoppiando i voti al 6,09% e incrementando i seggi da 3 a 7. Anche il partito di sinistra Meretz, sionista ma aperto alla soluzione dei “Due stati”, esce rafforzato, conseguendo il suo miglior risultato dal 2013, col 4,59% che gli consente di raddoppiare la rappresentanza parlamentare da 3 a 6 deputati. Un’inaspettata inversione di tendenza del centro-sinistra forse provocata dalla crisi sociale ed economica, nonché politico-istituzionale, che ha investito Israele a seguito della mala gestione della pandemia da parte del governo e dei problemi giudiziari di Netanyahu, ma che inevitabilmente pone, sia per il Meretz che per i laburisti, il problema della progettualità politica, della visione strategica del Paese e del rapporto con i palestinesi.

I partiti arabi, invece, a causa della fuoriuscita il 28 gennaio 2021 del partito islamista Ra’am dalla coalizione di sinistra arabo-israeliana, Lista Comune Araba, che aveva raggiunto il suo massimo storico con il 12,61% alle elezioni del 2020 divenendo la terza forza politica con 15 deputati, si è presentata divisa fra Lista Araba Unita e Lista Comune. La prima composta dalla formazione islamico-conservatrice Ra’am ha rotto l’alleanza ufficialmente sulla questione dei diritti della comunità Lgbt. In realtà, pur essendo una formazione araba e islamista, è stata oggetto di un lungo corteggiamento da parte di Netanyahu in virtù della comune matrice conservatrice, incentrato su promesse di miglioramento delle condizioni socio-economiche della minoranza palestinese.

Le divisioni, come noto, sono foriere di arretramento, in primis in termini di partecipazione al voto, come ci conferma la flessione del 10%, fra gli arabo-israeliani, più che doppia rispetto alla media nazionale. La perdita di unità delle forze arabe si è riflessa inevitabilmente anche sui consensi elettorali, che se da un lato hanno consentito a Ra’am di superare di misura lo sbarramento elettorale ottenendo il 3,79%, riuscendo a confermare i 4 seggi precedenti, dall’altro imprime un ridimensionamento alla Lista Comune. I residui 3 partiti coalizzati, il partito comunista israeliano, Hadash, e i due partiti progressisti arabi, Balad e Ta’al, dal comune sentire antisionista, arretrano inesorabilmente al 4,8%, ottenendo solo 6 seggi e, soprattutto, perdendone 5.

Tabella 3: l’eterogeneo fronti anti Netanyahu le elezioni anticipate del 23 marzo 2021.

 

Composizione e prospettive del nuovo parlamento

Dalla composizione della nuova Knesset scaturita dalle elezioni del 23 marzo, seppur in una netta prevalenza di destra, non fuoriesce una chiara maggioranza politica (Tabella 4). Ciò ci riconduce al carattere di queste elezioni che contrariamente alla normale dialettica politica fra forze di destra, centro e sinistra, ha in realtà rappresentato una sorta di referendum pro o contro Netanyahu, accertato che una parte consistente del Paese non lo vorrebbe più come Premier dopo 12 anni di governo continuativi e che ritiene giusto che risponda dei suoi problemi giudiziari da normale cittadino.

Una campagna incentrata sul pro o contro Netanyahu che ha lasciato in disparte due questioni fondamentali: il futuro dei palestinesi dei Territori Occupati, del quale è stato discusso solo saltuariamente senza entrare nel merito dell’Occupazione, delle condizioni economiche e sociali del Paese, anche alla luce della pessima gestione iniziale della pandemia, che ha messo in crisi il settore delle piccole imprese, mentre l’High-Tech ha tratto grossi vantaggi, e degli effetti delle politiche neoliberali attuate negli ultimi 20 anni. Netanyahu ha cercato di incentrare la campagna elettorale sull’ottima riuscita della campagna vaccinale, che ha raggiunto oltre la metà della popolazione israeliana e sta facendo tornare il Paese verso la normalità in anticipo rispetto a tutti gli altri, riducendolo all’alternativa fra lui Premier o instabilità strutturale. Il Primo ministro ha provato ogni strada compresa la ricerca del sostegno della minoranza araba recandosi più volte in Galilea e facendo promesse di significativi investimenti. Consapevole del rischio giudiziario che ha di fronte, ha giocato tutte le sue carte, anche le più spregiudicate, come lo sdoganamento della forza razzista di estrema destra Oztma Yaduth erede del partito razzista Kach, pur di restare in sella e di evitare i processi. I risultati delle urne gli danno ragione a metà perché pur confermandosi il Likud primo partito, la coalizione non è riuscita a raggiungere i numeri minimi per formare un governo e per ora, il veto posto degli ultra nazionalisti ebraici, ad un probabile appoggio esterno degli islamisti di Ra’am, sembrano precludere tale, storicamente inedita, possibilità.

Una situazione non semplice quella attraversata da Israele che sembra ancora una volta legata alle sorti di Netanyahu, il quale o si dimostra in grado di compiere un vero miracolo politico riuscendo a mettere insieme forze inconciliabili, vale a dire far accettare alle forze razziste e ultraortodosse di destra l’appoggio esterno dei “nemici” islamisti a un futuro suo governo, o il Paese sarà chiamato in autunno a nuove elezioni, le quinte in due anni e mezzo, con i processi per frode, corruzione e abuso di potere dietro l’angolo.

Tabella 4: la composizione della Knesset dopo le elezioni anticipate del 23 marzo 2021.

 

Note

1 Il kahanismo è un movimento discriminatorio (razzista) ebraico di matrice sionista.

2 Sefardita: nome dato agli Ebrei di Spagna fino al sec. XV e ai loro discendenti attuali.

3 Mizrahi (oriente / orientale) sono tutte le comunità ebraiche in Oriente che non sono né ashkenazite né sefardita.

4 Askhenazita denominazione attribuita agli ebrei provenienti dall’Europa centrale e orientale. Tradizionalmente di lingua e cultura Yddish la componente ebraica maggioritaria (70-75%). Ashkenaz era il nome, in ebraico medievale della regione franco-tedesca della Renania abitata da importanti comunità ebraiche della diaspora.

5 Rispetto ai seggi della Nuova Destra nella coalizione Yamina

6 Rispetto ai seggi di Tkuma nella coalizione Yamina.

7 Rispetto ai seggi di Yesh Atid nella coalizione Blu e Bianco

8 Rispetto ai seggi di Resilienza per Israele nella coalizione Blu e Bianco

9 Rispetto ai seggi di Yesh Atid nella coalizione Blu e Bianco

10 Rispetto ai seggi di Resilienza per Israele nella coalizione Blu e Bianco

11 Rispetto ai seggi della Nuova Destra nella coalizione Yamina

12 Rispetto ai seggi di Tkuma nella coalizione Yamina

13 Rispetto ai seggi di Hadash, Balad e Ta’al nella Lista Comune

 

Andrea Vento è tra i fondatori del Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati (GIGA) e insegna geografia nell’Istituto “A. Pacinotti” di Pisa. E-mail: andreavento2013@gmail.com