domenica, Novembre 24, 2024
ConflittiDiritti

Guayana Esequiba: origini e attualità di una lunga contesa territoriale

Lo scorso 3 dicembre si è svolto in Venezuela un referendum consultivo sul futuro dell’Essequibo, un territorio storicamente conteso, attualmente sotto il controllo della Guyana. Già lo scorso settembre erano state avviate dal Parlamento venezuelano le procedure per la consultazione popolare: obiettivo dichiarato del governo è quello di istituire lo Stato di Guayana Esequiba come parte integrante del Venezuela, attribuendo la cittadinanza venezuelana agli abitanti della regione. Il Consiglio Nazionale Elettorale del Venezuela ha comunicato che più del 95% dei votanti ha espresso il proprio consenso alle proposte referendarie. Questo articolo, redatto a partire da un intervento pubblicato da BBC News Mundo, ricostruisce le radici storiche e i recenti sviluppi della disputa territoriale, riflettendo sulle sue implicazioni politiche più generali. Le tensioni si sono intensificate negli ultimi anni, a causa delle ricchezze naturali e minerarie presenti nella regione contesa, tra cui riserve petrolifere significative scoperte dalla ExxonMobil. La Guyana ha respinto il referendum come una minaccia alla propria integrità territoriale e ha chiesto alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja di intervenire. Nonostante l’esito del referendum non sia vincolante a livello internazionale, non vanno sottovalutati i rischi di una escalation delle tensioni tra i due paesi, in cui anche altri Stati limitrofi come il Brasile potrebbero essere coinvolti.

Cinque domande per chiedere ai venezuelani se sostengono o meno la rivendicazione della regione di Essequibo, territorio conteso alla vicina Guayana. È questo, in sintesi, il senso del referendum che si è svolto lo scorso 3 dicembre in Veneuela sul futuro del territorio attualmente parte della Guayana, ma che il governo di Caracas rivendica come proprio.

Cosa è stato chiesto nel referendum e che esiti ha prodotto

A metà settembre, il parlamento venezuelano a maggioranza chiavista ha proposto di organizzare un referendum per consultare i venezuelani sui propri “diritti” rispetto alla regione di Essequibo. Un mese dopo, il Consiglio nazionale elettorale (CNE) ha annunciato che il referendum si sarebbe svolto il 3 dicembre.

Secondo il governo guyanese, il referendum rappresenta una minaccia all’integrità territoriale della Guyana e ha chiesto alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia di fermarlo. Ma alla fine il Venezuela ha proseguito.

Il referendum in questione consisteva in cinque domande, per le quali il governo chiedeva di esprimere cinque sì.

1. Siete d’accordo nel respingere con tutti i mezzi, nel rispetto della legge, la linea fraudolentemente imposta dal lodo arbitrale di Parigi del 1899, che cerca di espropriarci della nostra Guyana Esequiba?

2. Sostenete l’Accordo di Ginevra del 1966 come unico strumento giuridico valido per raggiungere una soluzione pratica e soddisfacente per il Venezuela e la Guyana alla disputa sul territorio della Guyana Esequiba?

3. Concordate con la posizione storica del Venezuela di non riconoscere la giurisdizione della Corte internazionale di giustizia per risolvere la disputa territoriale sulla Guyana Esequiba?

4. Siete d’accordo nell’opporvi con tutti i mezzi, nel rispetto della legge, alla pretesa della Guyana di disporre unilateralmente di un mare in attesa di delimitazione, illegalmente e in violazione del diritto internazionale?

5. Siete d’accordo con la creazione dello Stato di Guayana Esequiba e con lo sviluppo di un piano accelerato per l’assistenza completa alla popolazione attuale e futura di questo territorio, che includa, tra l’altro, la concessione della cittadinanza venezuelana e il rilascio delle carte d’identità, in conformità con l’Accordo di Ginevra e il diritto internazionale, incorporando così questo Stato nella mappa del territorio venezuelano?

All’inizio di novembre il Presidente Maduro ha lanciato una campagna che ha definito “pedagogica, gioiosa e inclusiva” in vista del referendum, che ha incluso lezioni di storia in televisione tenute da lui stesso e comizi in varie parti del paese in cui sono stati distribuiti migliaia di volantini.

Il governo ha incoraggiato gli elettori a rispondere “sì” a tutte le cinque domande, ma non ha specificato come creerebbe concretamente il futuro nuovo Stato se gli elettori avessero approvato, come hanno fatto, le sue proposte.

Il Consiglio Nazionale Elettorale (CNE) del Venezuela ha assicurato che sono stati contati 10.554.320 voti, senza tuttavia chiarire se corrispondono al numero totale degli elettori o se sono stati contati 5 voti per elettore in riferimento ai 5 diversi quesiti. Secondo il CNE, tutti i quesiti posti hanno ricevuto più del 95% di consensi.

“Abbiamo fatto i primi passi per marcare una nuova tappa storica nella lotta per ciò che è nostro, per recuperare quello che i liberatori ci hanno lasciato, la Guyana Esequiba”, ha affermato Maduro dopo l’esito del referendum. “Il popolo venezuelano ha parlato forte e chiaro – ha aggiunto – e questa vittoria appartiene a tutto il popolo venezuelano senza distinzioni”.

Ma mentre il governo Maduro celebrava quella che ha definito una “vittoria nazionale”, la Guyana, che ha assicurato di non avere nulla da discutere sulla sovranità dell’Essequibo, ha chiesto ai suoi cittadini di non farsi “incutere paura” dagli eventi del paese vicino. Il presidente della Guyana, Irfaan Ali, ha assicurato che il paese non sarà “calpestato”.

Venerdì 1° dicembre, la Corte internazionale di giustizia ha ordinato al Venezuela di “astenersi da qualsiasi azione che alteri la situazione esistente nel territorio conteso”, pur non vietando lo svolgimento del referendum, come invece richiesto dalla Guyana.

Cos’è la Guayana Esequiba

La Guayana Esequiba, nota anche come Essequibo, è un territorio a ovest dell’omonimo fiume Essequibo, nel nord del Sud America, esteso 159.500 chilometri quadrati. Qui si trovano sei delle dieci regioni che compongono la Repubblica Cooperativa della Guyana e vive un terzo dei suoi 800.000 abitanti totali.

“L’Essequibo è un territorio grande tre volte il Costa Rica, dove vivono quasi 300.000 persone”, ha spiegato a BBC World il geografo guyanese Temitope Oyedotun, professore all’Università della Guyana.

Perché il territorio è così importante

L’Essequibo si trova nel cuore dello “Scudo della Guyana”, una regione geografica nel nord-est del Sud America che, oltre a essere una delle formazioni più antiche della Terra, è particolarmente ricca di risorse naturali e minerarie.

Secondo il geografo venezuelano Reybert Carrillo, il territorio condivide caratteristiche simili con il vicino Arco Minero del Orinoco: un’area mineraria di oltre 111.800 chilometri quadrati, con grandi riserve tra l’altro di oro, rame, diamanti, ferro, bauxite e alluminio.

L’Essequibo ospita in particolare la miniera d’oro di Omai, una delle più grandi dello Scudo della Guyana e una delle maggiori fonti di reddito della Guyana. Solo tra il 1993 e il 2005, Omai ha prodotto più di 3,7 milioni di once d’oro.

Inoltre le acque territoriali dell’area contesa ospitano anche una notevole ricchezza petrolifera. Dal 2015 ad oggi, la multinazionale ExxonMobil e i suoi partner hanno effettuato 46 nuove scoperte, che hanno portato le riserve petrolifere della Guyana a circa 11 miliardi di barili, pari a circa lo 0,6% del totale mondiale.

La maggior parte delle riserve si trova in un blocco di 26.000 chilometri quadrati di petrolio e di gas noto come Stabroek, al largo della costa atlantica del paese, che si trova in parte in acque territoriali nella regione contesa dal Venezuela.

Le inaspettate scoperte hanno reso la Guyana una delle economie in più rapida crescita al mondo: si prevede che il suo PIL crescerà del 25% quest’anno, dopo un’espansione del 57,8% nel 2022.

Oltre alle risorse minerarie, l’Essequibo possiede importanti risorse idriche. “C’è una vasta rete di fiumi come il Cuyuni, il Mazaruni, il Kuyuwini, il Potaro, il Rupununi”, spiega ancora il geografo Temitope Oyedotun dell’Università della Guyana. Per Reybert Carrillo, geografo dell’Università delle Ande (ULA), quella idrica sarà la risorsa più importante della regione nei prossimi decenni.

Le origini coloniali della disputa e i suoi sviluppi giuridici

Quando l’Impero Spagnolo ha fondato nel 1777 la Capitaneria Generale del Venezuela, col compito di gestire gli affari amministrativi, militari e politici nella regione, l’Essequibo faceva parte di quella entità territoriale. Dopo aver ottenuto l’indipendenza, nel 1811, il Venezuela ha mantenuto la propria sovranità e il controllo del territorio.

La situazione si è complicata quando, nel 1814, il Regno Unito ha firmato un accordo con i Paesi Bassi per acquisire circa 51.700 chilometri quadrati nella parte orientale del Venezuela, comprendente anche l’Essequibo. Il trattato non definiva il confine occidentale di quella che sarebbe diventata la Guyana britannica, così Londra ha incaricato nel 1840 l’esploratore Robert Schomburgk di definirlo.

A seguito di questa missione, è stata individuata la cosiddetta “Linea Schomburgk”, un tracciato di confine che includeva nella colonia inglese altri 80.000 chilometri quadrati. Quattro decenni dopo, è stata elaborata e diffusa una nuova versione della Linea di Schomburgk, che rivendicava un territorio ancora più vasto.

Nel 1895 gli Stati Uniti sono intervenuti nella disputa in base alla Dottrina Monroe [formulata dall’omonimo presidente in un discorso al Congresso del 2 dicembre 1823, enuncia un principio di non interferenza delle potenze europee negli affari dell’America Latina e del continente americano nel suo complesso], contestando l’espansione “misteriosa” del territorio inglese nel corso dell’Ottocento.

Nel 1899 la disputa sull’Essequibo è stata così sottoposta a un arbitrato internazionale convocato a Parigi: la Commissione Arbitrale ha assegnato la maggior parte dell’area contesa all’Impero britannico. Quattro decenni dopo, tuttavia, è stato reso pubblico un memorandum dell’avvocato statunitense Severo Mallet-Prevost – parte della difesa del Venezuela nella sentenza arbitrale di Parigi – in cui si affermava che il lodo era stato un compromesso politico tra le grandi potenze, che il Venezuela ne era sttao escluso e che i giudici non erano stati imparziali.

Le rivelazioni di Severo Mallet-Prevost e altri documenti legali hanno fornito argomenti alle rivendicazioni del Venezuela che, nel 1949, ha impugnato la decisione di Parigi. Nel 1966, tre mesi prima di concedere l’indipendenza alla Guayana, il Regno Unito ha firmato con il Venezuela l’Accordo di Ginevra, che riconosce la legittimità della rivendicazione territoriale venezuelana e impegna le parti a cercare soluzioni soddisfacenti per risolvere la controversia.

Tra il 1982 e il 1999 Venezuela e Guayana hanno cercato di risolvere la controversia attraverso il meccanismo cosiddettio dei buoni uffici delle Nazioni Unite, che non ha però prodotto risultati concreti.

Le ragioni per la ripresa della disputa

Durante il governo di Hugo Chávez la controversia era stata accantonata, in parte grazie alle buone relazioni tra il defunto presidente venezuelano e la Guayana. Ma la situazione è cambiata quando, nel 2015, sono stati scoperti decine di giacimenti di petrolio nelle zone costiere dell’area contesa. Da allora le tensioni tra i due paesi sono aumentate costantemente.

Ora, però, gli interessi del governo Maduro non sono solo economici, ma anche politici. I critici del governo sostengono che il referendum abbia una sfumatura “nazionalista”, importante nel momento in cui si avvicinano le elezioni presidenziali nel 2024 e, dalle primarie dell’opposizione, María Corina Machado è stata individuata come rivale di Maduro.

Il governo ha indetto diverse manifestazioni di “unità nazionale” per “difendere” l’Essequibo e sta cercando di coinvolgere nella disputa personaggi dello spettacolo. L’appello è all’unità nazionale. “È tempo di mettere da parte ogni particolarismo, sia esso politico, religioso o personale”, ha dichiarato il Presidente del Parlamento venezuelano, Jorge Rodríguez.

Per Caracas si tratta di recuperare un territorio che ha sempre considerato suo, fin dall’indipendenza. Il Venezuela considera il fiume Essequibo, a est della regione, come un confine naturale riconosciuto al momento dell’indipendenza dalla Spagna. Ma la Guayana continua a sostenere che la questione è stata risolta con il lodo arbitrale di Parigi del 1899.

Caracas non solo sostiene la nullità di quel lodo, alla luce delle irregolarità riscontrate nella decisione, ma respinge anche qualsiasi ruolo della Corte internazionale di giustizia nella questione. Riconosce solo l’Accordo di Ginevra come unico strumento valido per risolvere il conflitto e afferma che la controversia dovrebbe essere risolta tra i due paesi. Nell’aprile di quest’anno la Corte dell’Aja si è invece dichiarata competente a trattare il caso, anche se la sentenza potrebbe richiedere degli anni.

Il governo di Georgetown vede il referendum del 3 dicembre come un “sinistro piano del Venezuela per impadronirsi del territorio guyanese” e afferma che sta valutando “tutte le opzioni” per difenderlo. Il vicepresidente Bharrat Jagdeo ha annunciato a fine novembre che funzionari del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti avrebbero visitato il paese e non ha escluso la creazione di basi militari straniere in territorio guyanese. “Lavoreremo con i nostri alleati per assicurarci di pianificare ogni eventualità” – ha dichiarato. “Non siamo mai stati interessati alle basi militari, ma dobbiamo proteggere il nostro interesse nazionale”.

Maduro, che si mostra irremovibile, sostiene che i diversi settori politici e sociali del paese sono uniti in difesa dell’Essequibo e ha tenuto discorsi insieme alle forze armate sulla controversia. Il 24 novembre scorso il Ministro della Difesa, Vladimir Padrino López, ha dichiarato che la disputa “non è una guerra armata, per ora”, ma ha accusato il presidente della Guayana Irfaan Alí di provocare il Venezuela con le sue recenti apparizioni, dal territorio conteso, in tenuta militare e circondato dall’esercito.

Gli analisti avevano previsto un sostegno massiccio alle proposte referendarie del governo venezuelano, in un paese in cui la rivendicazione dell’Essequibo unisce di fatto chavisti e oppositori come nessun’altra questione. L’esito del referendum non è vincolante per il diritto internazionale, ma molti temono un’ulteriore escalation.

L’acuirsi della disputa, anche a seguito dell’esito referendario, ha spinto anche il Brasile a prendere posizione. Il principale consigliere per la politica estera del presidente Luiz Inacio Lula da Silva ha affermato di rifiutare l’uso e la minaccia della forza da parte del Venezuela per risolvere la controversia, mettendola in guardia dalla tentazione di occupare unilateralmente la Guayana Esequiba.

Il ministro degli Esteri brasiliano, Mauro Vieira, ha respinto il rischio di uno scontro armato tra i due vicini del Brasile al confine settentrionale. Tuttavia, l’esercito brasiliano ha rinforzato la propria presenza nella regione di confine e sta spostando veicoli blindati e altre truppe a Boa Vista, la capitale dello Stato di Roraima: il più vicino alla zona contesa.

Fonte: BBC News Mundo, 4 dicembre 2023.