Emergenza climatica: tra “formule Radbruch” e diritto umano al clima stabile e sicuro
di Michele Carducci
L’esistenza dell’emergenza climatica è un fatto acclarato dalla comunità scientifica mondiale e dichiarato da numerose istituzioni politiche, inclusa la stessa Unione Europea. Ma che cos’è giuridicamente l’emergenza climatica? Per rispondere, sono necessari due passaggi.
In primo luogo, si deve partire dalla constatazione che si tratta di un “fatto-atto” ossia un fatto sì naturale (e planetario) ma antropogenico, ossia derivante dalle azioni umane, direttamente o indirettamente incidenti sul sistema climatico; azioni che sono state e continuano a essere permesse o incentivate dagli Stati (si pensi ai deleteri cosiddetti “sussidi ambientalmente dannosi”). Detto in altri termini, e riprendendo l’autorevole puntualizzazione di Luigi Ferrajoli, l’emergenza climatica non risiede in una “fattispecie”, configurandosi al contrario in un reiterarsi di condotte materiali produttive di fatti offensivi della vita. In quanto tale, essa ha ineluttabilmente a che fare con la lesione del principio di convivenza civile del neminem laedere.
In secondo luogo, si deve constatare che si tratta di “fatto-atto” di “verità”, in quanto corrispondente alla dinamica di una serie di leggi geofisiche e biofisiche (leggi di natura), che riguardano il sistema terrestre in tutte le sfere che lo compongono quale sistema climatico (litosfera, atmosfera, criosfera, idrosfera e biosfera): leggi qualificabili come “vere”, perché scoperte e non confutate da altre conoscenze scientifiche, né smentite dall’osservazione dei fenomeni terrestri; leggi ormai indiscutibili, quanto indiscutibile è il fatto che la Terra sia tonda.
Sul rapporto tra verità fattuali e previsioni normative ha scritto pagine molto dense Angelo Falzea, in particolare nei suoi contributi sui “fatti di conoscenza”, che richiedono appunto lo sforzo di conoscenza della realtà attraverso la logica e il rispetto di elementari leggi biofisiche, al fine di scongiurare argomentazioni menzognere.
L’emergenza climatica è sostanzialmente questo: una verità di fatto non confutata e non smentita.
Ovviamente questa verità è al netto di quei pochissimi (meno dell’1% della produzione scientifica mondiale) che si ostinano a negarla, nella dichiarata riduzione del problema emergenziale alla sola questione delle concentrazioni di gas serra in atmosfera; quando invece l’emergenza stessa, come si desume dall’art. 2 della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico del 1992, è un problema di accelerazione e degenerazione non solo di una determinata dinamica antropogenica, bensì della “pericolosa interferenza” dell’intera azione umana sull’intero sistema climatico e non esclusivamente sull’atmosfera. Dunque, fatti-atti di conoscenza “veri”, nel senso di risposta alla verità di determinate leggi di natura conosciute dalla scienza, identificano gli elementi di inquadramento del problema di cui il diritto deve fornire soluzione.
È possibile sostenere il contrario da parte di giuristi e, soprattutto, dei giudici? Che giuristi e giudici neghino verità inconfutabili, magari parandosi dietro qualche “dogma”, non sarebbe una novità. È già tristemente successo e segnerebbe la persistenza, nel pensiero giuridico, dell’assenza di coraggio nell’osservazione dei fatti, a cui ci ha richiamato Gustav Radbruch.
Ma di coraggio abbiamo oggi enormemente bisogno. Siamo all’Endgame, all’atto finale di una degenerazione irreversibile e senza precedenti del rapporto tra azione umana e sistema terrestre. Non possiamo girarci dall’altra parte. Non possiamo non far nostra la celebre “doppia formula” di Radbruch sull’uso del diritto in funzione della verità: rifiutarsi di “tollerare” l’intollerabile (la distruzione antropogenica del pianeta); e rifiutarsi di “negare” l’innegabile (la degenerazione irreversibile delle condizioni di vivibilità e abitabilità nel pianeta).
Se addirittura a girarsi dall’altra parte dovessero essere i giudici, bisognerebbe denunciare pubblicamente il loro “giudicato ingiusto”. A questa presa di coraggio, speculare alla verità delle leggi di natura, si ispira la rivendicazione del diritto umano al clima stabile e sicuro.
Sono facilmente immaginabili le eccezioni dogmatiche sul fondamento di questa “nuova” pretesa umana: è un diritto non previsto, quindi inesistente; potrebbe essere un “nuovo” diritto, tuttavia la sua tutela richiederebbe una qualche forma di traduzione in disposizioni positive esplicite, che invece mancano; sarebbe “adespota”, in quanto privo di un connotato individuale esclusivamente proprio; sarebbe al massimo un “valore” da bilanciare con altri “valori”. Sono tutte asserzioni contra naturam, prima ancora che contra ius.
Contra ius lo sono sicuramente da quando, grazie anche alle “formule Radbruch”, tutte le Costituzioni liberal-democratiche hanno anteposto, proprio per diritto positivo, la sopravvivenza umana ai formalismi giuridici della convivenza. Lo ha fatto presente la Corte costituzionale italiana, definendo l’intero sistema normativo-costituzionale una “proiezione della vita” che “incide su” (non invece che è incisa da) “l’esercizio delle potestà attribuite a tutti i soggetti pubblici dell’ordinamento repubblicano”. Lo ricordano costantemente le Nazioni Unite fino ad affermare, con la Dichiarazione sui difensori dei diritti umani (soprattutto agli artt. 7 e 19), il diritto di “sviluppare e discutere nuove idee e principi sui diritti umani”.
Ma sono anche asserzioni contra naturam, dato che ignorano la legge fondamentale della connessione biofisica tra individuo umano e sfere del sistema climatico, di cui nessuna scienza del sistema terrestre nega ormai la vigenza dopo che H.T. Odum e E.C. Odum hanno definitivamente dimostrato, quale connotato individuale proprio di ciascun individuo al pari dell’intero sistema climatico, l’inserimento in un comune flusso di energia e materia.
Pertanto, il diritto umano al clima stabile e sicuro è la “nuova idea” sui diritti umani, dettata dal rispetto – necessario e ineludibile – delle leggi termodinamiche e biofisiche del sistema climatico: una “nuova idea” in realtà “antica”, quanto “antichi” sono i flussi di energia e materia che supportano la vita.
Se il sistema normativo costituzionale è la “proiezione della vita”, quello climatico terrestre ne identifica il fondamento, per verità naturale e non per credenza teologica o per assunzione dogmatico-giuridica. Ecco allora che tutti e ciascuno hanno il diritto di pretendere che la “proiezione della vita” del diritto si riconnetta con il pianeta, senza la cui stabilità, nelle dinamiche delle sfere che lo compongono, e sicurezza, nella loro permanenza temporale, non c’è sopravvivenza che tenga: c’è solo l’Endgame per tutti, incluso il diritto con i suoi dogmi e i suoi giudici.
Michele Carducci è Professore ordinario di Diritto costituzionale comparato e climatico all’Università del Salento, dove coordina il Centro di Ricerca Euro-Americano sulle Politiche Costituzionali (Cedeuam).