venerdì, Aprile 26, 2024
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Da “disobbedienti” a “universali”. Il cammino del servizio civile nelle istituzioni e nella società

di Rossano Salvatore

 

Fin dal primo dopoguerra gli obiettori di coscienza al servizio militare obbligatorio, all’interno dei sistemi totalizzanti e oppressivi delle caserme e degli istituti di pena militari, attraverso metodi radicali di mobilitazione e azioni nonviolente di disobbedienza civile, cercano di dare agibilità alle istanze emergenti nella società civile in tema di avanzamento dei diritti civili e sociali.

Con la legge 772/72, che ha consentito e regolamentato l’obiezione di coscienza, forse la prima volta nella storia della Repubblica, si è ottenuta una vittoria in tema di diritti civili attraverso una mobilitazione nonviolenta partecipata ma non di massa, popolare ma non di classe, di pochi ma attesa da molti.

 

1974-1989. Gli obiettori inventano il Servizio civile e costruiscono il Terzo settore

Una volta ottenuta la possibilità di svolgere servizio civile gli obiettori creano, attraverso la pratica dell’auto-distaccamento in servizio, i presupposti affinché, nel 1977, si avvii il sistema delle convenzioni tra gli enti e il Ministero della Difesa.

Si apre così una stagione in cui, attraverso la disobbedienza civile di gruppi, comunità, enti di assistenza, si passa dalle esperienze di testimonianza di singoli all’organizzazione di lotte per l’avanzamento dei diritti sociali e civili.

Conseguenza di questa azione congiunta è la nascita di quello che, già dalla fine degli anni ‘70, si comincerà a chiamare “Terzo settore”. Il percorso è incentivato dalla parificazione della durata con il servizio militare, raggiunta nel luglio 1989 dopo una serie di sentenze della Corte Costituzionale, che determina una notevole crescita delle dichiarazioni di obiezione di coscienza: in un solo anno passano da 5.000 ad oltre 13.000.

Sempre in questi anni nascono altre esperienze che caratterizzeranno l’identità del servizio civile del futuro.

In occasione del terremoto dell’Irpinia del 1980 si mobilitano centinaia di obiettori di coscienza e, per la prima volta, si intuiscono le potenzialità del servizio civile per attività di Protezione e Difesa civile in occasione di calamità naturali o emergenze nazionali.

L’anno dopo, quattro ragazze iniziano l’Anno di Volontariato Sociale (AVS), un servizio a tempo pieno e gratuito promosso dalla Caritas, antesignano del servizio civile volontario aperto anche alle donne della legge 64/2001.

 

1989-1998. Il decennio dei “Piccoli Obiettori” e degli “obiettori che vanno alla guerra”

I protagonisti di questo periodo sono i “Piccoli Obiettori” (dal titolo di una omonima guida sul tema famosa in quegli anni). Non più quindi i giovani dalle scelte radicali, ma idealisti teneri e disincantati, capaci comunque di sperimentare forme creative di “fare comunità” con le persone più fragili e vulnerabili.

Raccontano lo spirito di quegli anni i film “Tutti giù per terra” (Ferrario 1997) e “Piovono Mucche (Vendruscolo 2002), che mostrano come, anche il servizio civile, rappresenti un “rito di passaggio” analogo a quello del servizio di leva militare, ma senza il corollario di pratiche incivili come il nonnismo, il sopruso, la cieca obbedienza.

L’aumento delle dichiarazioni di obiezione di coscienza (alla fine del decennio superano le 108.000 unità) e il periodo storico denso di avvenimenti (la caduta del muro di Berlino, le guerre del Golfo e nell’ex Jugoslavia, i 500 anni dalla conquista delle Americhe) portano sempre più giovani a saldare le proprie speranze con le istanze etiche della nonviolenza, del pacifismo e dell’antimilitarismo della  generazione precedente, incanalandole verso un comune rifiuto dell’ordine costituito fatto di violenza, forza militare, ingiustizia economica ed oppressione dei più deboli.

Nell’ambito del processo di ridefinizione del modello di difesa militare italiano, con Forze Armate operative fuori dal territorio nazionale che, attraverso interventi “umanitari” di guerra difendono in realtà gli interessi economici occidentali, questo fenomeno porta turbamento tanto che, nel febbraio del 1992, l’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga rinvia alle Camere con un pretesto la legge di riforma dell’obiezione di coscienza.

Tornano allora in azione i “Grandi Obiettori” che, attraverso azioni di disobbedienza civile, si recano nei punti caldi della guerra nell’ex Jugoslavia, anche in assenza di autorizzazione del Ministero della Difesa, avviando la prima esperienza di azione nonviolenta all’estero realizzata attraverso il servizio civile.

Questo tipo di azioni avranno pieno riconoscimento con la legge 230/98, giusta attuazione con la legge 64/2001 e sperimentazione avanzata, dal 2016, con i Corpi Civili di Pace.

 

1999-2001. Il triennio “cerniera” 

È ormai radicato nell’opinione giovanile che il servizio militare sia un inutile spreco di tempo e dunque si ritiene legittimo evitare la naja tentando di “farsi riformare”, oppure “optando” per un servizio civile socialmente accettabile e accettato e che, spesso, genera esiti positivi sia a livello di crescita personale che sul benessere dei destinatari.

La forte crescita dell’“opzione” del servizio civile rispetto a quello militare accelera l’approvazione della legge 331/2000, che fissa la sospensione della leva obbligatoria al 2007, poi anticipata al 2005.

In questo contesto svolge una funzione importante la legge 230/98, che detta una nuova disciplina in tema di obiezione di coscienza, istituisce presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri l’Ufficio nazionale per il servizio civile, sancisce esplicitamente che i cittadini che prestano servizio civile godono degli stessi diritti di quelli che svolgono quello militare, prevede la possibilità di svolgere il servizio anche all’estero e istituisce il “Comitato per la difesa civile non armata e nonviolenta”. Il concetto e la pratica della nonviolenza entrano, per la prima volta, in una legge della Repubblica.

Viene anche costituita la “Consulta nazionale per il servizio civile”, organismo permanente di confronto con lo Stato, in cui sono presenti i rappresentanti degli enti e degli obiettori.

Si dibatte, inoltre, se mantenere l’obbligo per i giovani di prestare un servizio gratuito per lo Stato fuori dal sistema della leva, ovvero se istituire un servizio volontario aperto anche alle donne. Prevale alla fine questa seconda ipotesi ma, non essendoci più l’obbligo e non essendo le donne storicamente e culturalmente abituate a un servizio come quello di leva, adesso è il servizio civile ad essere sottoposto ad un “referendum” tra i giovani.

 

2001-2020. Il Servizio Civile declinato al femminile 

Nel marzo 2001 il Parlamento Italiano approva la legge 64 che istituisce il Servizio Civile Nazionale rivolto a tutti i giovani di nazionalità italiana (anche residenti all’estero) che godano dei diritti civili e politici e che siano fisicamente idonei. Un servizio di 12 mesi a cui si accede tramite Bando nazionale di selezione e per cui si riceve, senza instaurazione di un rapporto di lavoro, un compenso mensile di 433,80 euro.

A fine 2001 iniziano il servizio un centinaio di ragazze, ma già tre anni dopo sono ben oltre 37.000. Con la sospensione della leva le ragazze rappresentano oltre i due terzi di tutti i volontari e questa proporzione rimane sostanzialmente invariata fino ad oggi.

Le ragazze non solo “salvano” il servizio civile ma ne arricchiscono anche il valore, intuendone le grandi opportunità per l’emancipazione personale e il protagonismo sociale. Infatti, l’esperienza diventa anche per loro una sorta di rituale “civico” di passaggio all’età adulta in cui, terminati gli studi, si esce dalle dinamiche della rete familiare e amicale per sperimentarsi in contesti relazionali e organizzativi più complessi. Si ha anche la possibilità di svolgere un ruolo di cittadina attiva, riconosciuto e sostenuto dallo Stato con apposito contratto e con un piccolo riconoscimento economico, a volte anche più dignitoso di quello che sempre più spesso offre il “mercato del lavoro”: lavoro “gratuito”, in nero, precario, mal pagato, intermittente, privo di formazione adeguata.

Inoltre, soprattutto nei primi anni, sono molte le ragazze che si candidano con l’obiettivo di completare, attraverso esperienze sul campo, la loro formazione umanistica e sociale. Se oggi psicologhe, educatrici, assistenti sociali, laureate in materie umanistiche e artistiche sono professioniste migliori, forse è anche perché per un anno hanno incrociato i propri destini con delle “persone” e non solo con degli “utenti”.

Per molte ragazze, così come per molti ragazzi, infine, è anche un’occasione per sperimentarsi in contesti di Terzo settore e di Comunità locali e, in alcuni casi, anche la premessa per un impegno politico-sociale successivo.

In questo processo formativo e di inclusione svolge un ruolo chiave l’Operatore locale di progetto che, attraverso un rapporto da “maestro ad apprendista”, guida il volontario alla scoperta di sé e degli altri attraverso il servizio.

Migliaia di uomini e donne, spesso loro stessi passati per il volontariato o il servizio civile, si mettono a disposizione come “riserva della Repubblica”, per svolgere questo compito lasciando nei giovani un’impronta estremamente positiva di gran lunga migliore di quella lasciata dai caporali o dagli ufficiali del servizio militare.

Ma è il servizio nei paesi extraeuropei, che nasce con una dinamica molto simile a quella dei primi obiettori, il frutto più maturo del servizio civile “declinato al femminile”.

L’apertura del mondo della cooperazione internazionale alle donne permette di integrare nei progetti una serie di attività precedentemente ritenute collaterali (azioni educative, di genere, di cura, di inclusione sociale), di stimolare l’autostima e innescare percorsi di emancipazione nelle donne locali e di “depurare” alcune Ong da un certo “machismo” laico o confessionale. Non è quindi un caso se oggi gran parte delle responsabilità nelle attività di Cooperazione internazionale, servizio civile all’estero, Corpi civili di Pace siano sostenute da donne spesso ex volontarie del servizio civile.

L’immagine simbolo di questo periodo è la giornata dell’8 marzo del 2003 in cui papa Giovanni Paolo II incontra 8.000 volontari e operatori del servizio civile. Tra coloro che possono stringergli la mano c’è, sulla sua carrozzina, Juhaanne Tumminello, volontaria in servizio civile presso la Comunità di Capodarco.

Altre due novità importanti segnano questa fase e preparano le più recenti trasformazioni del servizio civile. Alla fine del 2011 vengono presentati due contenziosi, da parte dell’associazione “Avvocati Per Niente” e dell’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione, per conto di due ragazzi stranieri: si denuncia il comportamento discriminatorio legato all’obbligo del requisito della cittadinanza italiana per partecipare al servizio civile. Inizia un lungo percorso di azione politica e legale, che termina con il pronunciamento della Corte Costituzionale nel maggio 2015 sull’incostituzionalità dell’esclusione dei giovani stranieri dal servizio civile.

Nel 2014 il servizio civile diventa una delle misure del programma europeo “Garanzia Giovani”, finalizzato all’inserimento sociale e lavorativo dei giovani che non studiano, non lavorano e non seguono corsi di formazione. Un connubio infelice che genera confusione nei giovani tra le aspettative lavorative e formative proprie del programma e le proposte di cittadinanza attiva e di formazione non formale del servizio civile. La grande fatica a lavorare insieme tra il Dipartimento, le Regioni e i Centri per l’impiego, unite alle rigide regole di rendicontazione dei fondi europei, completano l’elenco dei fattori principali dell’insuccesso.

Un monito per l’attuale governo, che intende utilizzare i fondi europei del PNRR per finanziare il servizio civile con il rischio di snaturare le finalità dell’istituto.

 

Dal 2020. Il Servizio civile universale come opportunità di contribuire alla cura dei beni comuni e al benessere della comunità

Quello che il Servizio civile “nazionale” lascia in eredità all’“universale” è la scelta volontaria di un servizio non assimilabile al lavoro, il protagonismo delle donne dentro il sistema, una più ampia e varia platea di giovani coinvolti, da quelli con disabilità agli stranieri, una presenza di sedi di servizio capillare sul territorio, una rete di enti di servizio civile con strutture dedicate e una gestione statale mediamente competente e potenzialmente adeguata.

In generale, nel D.L. 40/2017 che istituisce il servizio civile universale, superando la rigida ripartizione tra livello regionale e nazionale, si disegna un sistema in cui lo Stato svolge un ruolo di programmazione, le Regioni contribuiscono alla sua realizzazione mentre gli enti, a seguito di accreditamento, propongono gli interventi e ne curano l’attuazione.

Finalmente la partecipazione è chiaramente permessa ai cittadini stranieri residenti in Italia, e, per favorire la mobilità europea, si possono svolgere fino a tre mesi di servizio in uno dei Paesi dell’Unione Europea.

Sempre nell’ottica dell’universalità, si favorisce il coinvolgimento di giovani in temporanea condizione di minori o poco adeguate opportunità (economiche, culturali, fisiche o sociali). Sono infine previsti un tutoraggio di orientamento e la valorizzazione delle competenze di crescita personale, partecipazione civica e incremento di occupabilità.

In conclusione, tre punti chiave meritano a mio avviso di essere discussi, per capire su che cosa si giochi il successo e il futuro del servizio civile universale.

Innanzitutto, è importante che ci siano negli organici anche apicali del servizio civile, sia a livello governativo che negli enti accreditati, sempre più donne che si assumano il compito di approfondire il percorso nato dall’obiezione di coscienza e dall’AVS, e che lo implementino nell’ambito della difesa civile non armata e nonviolenta.

In secondo luogo, le giovani e i giovani, così come le istituzioni e in generale coloro che operano all’interno dello Stato, dovranno credere sempre di più in questo originalissimo istituto repubblicano che, in 50 anni, ha coinvolto più di un milione e mezzo di giovani e che, per la sua vocazione “universale”, ci auguriamo raggiunga almeno lo stesso risultato numerico nel prossimo decennio.

In ultimo, ed è l’aspetto più importante, nel servizio civile non si deve mai smettere di approfondire e praticare la nonviolenza, perché è il metodo con cui l’istituto è nato, si è evoluto e con cui potrà realizzare pienamente la sua universalità.

 

Rossano Salvatore è stato obiettore di coscienza al servizio militare ed ha svolto il servizio civile presso la Comunità Capodarco di Roma. Oggi è vicepresidente e coordinatore responsabile del Servizio Civile Universale per il CESC Project e membro del Consiglio di Presidenza della Conferenza Nazionale Enti Servizio Civile. Svolge attività di formatore in corsi per operatori sociali, operatori volontari del servizio civile e dei Corpi civili di Pace e in percorsi per giovani con fragilità personali, familiari e sociali. Email: rossano.salvatore@cescproject.org