“Buchi neri”. Il primo rapporto CILD sui Centri di Permanenza per i Rimpatri
a cura di Federico Oliveri
Lo scorso 15 ottobre è stato presentato al Senato della Repubblica il primo rapporto della Coalizione Italiana Libertà e Diritti civili (CILD) sui Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR), ovvero i centri di detenzione amministrativa per migranti privi di documenti di soggiorno, su cui rimandiamo alla scheda tecnica di Cecilia Saccardi riportata in fondo.
Il Rapporto del CILD – intitolato “Buchi neri. La detenzione senza reato nei CPR” – intende far luce sulle forti criticità che caratterizzano in Italia i centri di questo tipo. Nel corso degli ultimi due decenni, intorno alle migrazioni, è stato costruito un vero e proprio “arcipelago” detentivo: dagli hotspot alle “navi quarantena”, passando per i “locali idonei” fino ad arrivare, appunto, ai CPR. Il Rapporto del CILD si concentra su questi ultimi perché, al di là del frequente cambio di denominazione, tali centri esistono dal 1998: ciò consente di condurre un monitoraggio e un approfondimento su un arco temporale più esteso, al fine di verificare il rispetto della legalità costituzionale e dei diritti fondamentali in tali luoghi di detenzione.
Il Rapporto, accessibile online in versione integrale e sintetica, è strutturato in 5 capitoli. Nel primo capitolo viene ricostruito il sistema di detenzione amministrativa nello spazio europeo, per poi soffermarsi sull’evoluzione dei centri di trattenimento in Italia. Nel secondo capitolo si analizzano in dettaglio i 10 CPR attualmente attivi sul territorio nazionale, indagandone i costi di gestione, i soggetti privati che li gestiscono e lo stato delle strutture. Nel terzo capitolo si studia l’attuale composizione della popolazione trattenuta nei centri. Nel capitolo quarto si procede a un’attenta verifica dell’effettiva tutela dei diritti fondamentali all’interno di tali strutture, oggetto di controversie fin dalla loro nascita. Nel capitolo quinto si dà conto di numerosi “eventi critici” (suicidi, decessi, episodi di autolesionismo) verificatisi all’interno dei CPR negli ultimi anni. Una breve ma importante appendice è dedicata, infine, all’emergenza Covid-19 e a come sia stata affrontata all’interno di tali strutture.
Un primo dato che emerge chiaramente dal Rapporto è quanto la detenzione amministrativa sia divenuta, anche in Italia, una “filiera molto remunerativa”. Nell’ultimo triennio sono stati spesi circa 44 milioni di euro, prelevati dalla finanza pubblica ed attribuiti a soggetti privati per la gestione dei 10 CPR attualmente attivi sul territorio. Tra i soggetti privati vi sono anche grandi multinazionali (ad esempio GEPSA o ORS) che, in tutta Europa, gestiscono Centri di trattenimento o servizi all’interno di istituti penitenziari. Le politiche di criminalizzazione dei migranti, criticabili di per sé, unite alla privatizzazione dei servizi di gestione dei Centri, hanno aperto uno spazio di speculazione: da un lato, si constata la ricerca della massimizzazione del profitto da parte delle imprese; dall’altro, si registra la continua spinta alla minimizzazione dei costi da parte dello Stato. Il risultato è che centinaia di uomini e donne, la cui unica “colpa” è di essere entrati o di soggiornare senza documenti validi nel paese, rischiano di essere privati non solo della libertà ma anche della loro dignità.
Il Rapporto raccoglie numerose testimonianze di operatori e avvocati, che denunciano le prassi illegittime diffuse nei CPR e spiegano l’affermazione, al loro interno, di un perpetuo “stato di emergenza”: i rimpatri dei cittadini tunisini avvenuti dopo pochissimi giorni dall’arrivo, senza aver dato loro la possibilità di richiedere asilo; l’impossibilità, per i trattenuti, di contattare i propri legali di fiducia fino al giorno successivo all’udienza di convalida del trattenimento; la mancanza nel fascicolo dell’autorità giudiziaria dell’attestazione di idoneità alla vita in comunità ristretta, pur essendo quest’ultima una condizione essenziale per la validità della detenzione all’interno dei CPR; udienze di convalida e di proroga che mediamente durano dai 5 ai 10 minuti, con provvedimenti dell’autorità giudiziaria che si riducono a ripetitive formule di rito.
Ci auguriamo che questo rapporto riapra il dibattito pubblico sui CPR e sulla necessità di superarli. Porre fine a questa forma di detenzione amministrativa ci sembra doveroso, sia per le violazioni dei diritti umani e dei principi del diritto (habeas corpus, giusto processo, tassatività e ragionevolezza delle misure di privazione della libertà) che essa porta con sé, sia per le inefficienze del sistema che non garantisce le espulsioni che pure si propone di favorire, sia per liberare risorse economiche da destinare a progetti di inclusione sociale e di accoglienza degna.
SCHEDA SUI CENTRI DI PERMANENZA PER I RIMPATRI (CPR) a cura di Cecilia Siccardi
1. Cosa sono i CPR?
I CPR “Centri permanenza per i rimpatri”1 sono strutture adibite al trattenimento amministrativo degli stranieri.
Tale misura può essere rivolta:
-
agli stranieri in attesa di allontanamento, quale misura esecutiva dell’espulsione (art. 14 D.lgs n. 286 del 1998);
-
agli stranieri in ingresso nel territorio dello Stato “a fini identificativi” (art. 10 ter comma 3 D.lgs. n. 286 del 1998);
-
ai richiedenti protezione internazionale nel caso in cui costituiscano un pericolo per l’ordine pubblico e la sicurezza, nonché nelle altre ipotesi di cui all’art. 6 D.lgs n. 142 del 2015.
Attualmente i CPR sono situati a Torino, Roma, Bari, Brindisi, Caltanissetta, Trapani, Gradisca d’Isonzo, Macomer, Milano (cfr. la scheda pubblicata dall’Ufficio studi della Camera dei Deputati).
2. Qual è la disciplina dei CPR?
Il trattenimento quale misura esecutiva dell’espulsione è disciplinato dall’art.14 del D.lgs. n. 286 del 1998, il quale sancisce che:
-
il trattenimento è disposto con provvedimento dal questore nel caso in cui non sia possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera o il respingimento;
-
il provvedimento del questore deve essere notificato all’autorità giudiziaria entro 48 ore, che deve a sua volta convalidarlo entro le successive 48 h;
-
per la convalida del provvedimento è compente il giudice di pace;
-
nel centro devono essere assicurati adeguati standard igienico-sanitari e abitativi, nonché il pieno rispetto della dignità della persona;
-
Il trattenimento non può superare il termine di 30 giorni, prorogabile fino ad un massimo di 90 giorni2.
La disciplina di cui all’art. 14 si applica anche al trattenimento ai fini identificativi di cui all’art. 10 ter D.lgs. n. 286 del 1998.
Per quanto attiene al trattenimento dei richiedenti asilo vigono regole diverse sancite all’art. 6 D.lgs n. 142 del 2015:
-
il trattenimento è disposto con provvedimento del questore e deve essere comunicato nelle successive 48 h all’autorità giudiziaria per la convalida;
-
per la convalida è competente il Tribunale in composizione monocratica;
-
il trattenimento dei richiedenti protezione si svolge in appositi spazi all’interno dei CPR;
-
il trattenimento o la proroga del trattenimento non possono protrarsi oltre il tempo strettamente necessario all’esame della domanda di protezione;
-
devono essere fornire al richiedente tutte le informazioni relative al procedimento di riconoscimento della domanda di protezione.
3. Quali sono le principali criticità?
Il trattenimento presenta numerose criticità connesse alla natura “ibrida” di misura al contempo amministrativa e detentiva.
Le principali criticità attengono al fatto che, pur rappresentando una misura limitativa della libertà personale, il trattenimento:
-
è slegato dalla commissione di un reato;
-
costituisce il modo di esecuzione delle espulsioni maggiormente perseguito dalle questure, nonostante dovrebbe essere disposto solo in caso di extrema ratio, cioè nel caso in cui non sia possibile predisporre misure meno coercitive (es. accompagnamento alla frontiera, consegna del passaporto);
-
non è soggetto alle garanzie proprie del procedimento penale (es. è molto problematica la competenza del giudice di pace per i trattenimenti esecutivi dell’espulsione).
4. Quali principi ha affermato in materia la giurisprudenza costituzionale?
La Corte costituzionale ha affrontato il tema delle misure di esecuzione dell’espulsione (accompagnamento alla frontiera e trattenimento) nella storica sentenza n. 105 del 2001.
In particolare la Corte ha affermato che:
-
Il trattenimento è da ricondurre alle “altre restrizioni della libertà personale, di cui fa menzione nell’articolo 13 della Costituzione”. Pertanto, al trattenimento devono essere applicate le garanzie costituzionali: deve essere disciplinato con legge (riserva di legge) e deve essere disposto/convalidato dall’autorità giudiziaria (riserva di giurisdizione);
-
Si determina nel caso del trattenimento “quella mortificazione della dignità dell’uomo che si verifica in ogni evenienza di assoggettamento fisico all’altrui potere e che è indice sicuro dell’attinenza della misura alla sfera della libertà personale”.
Note
1 I Cpr hanno cambiato nome diverse volte negli anni passati: nella versione originaria del testo unico sull’immigrazione del 1998 erano denominati Centri di permanenza temporanea e assistenza (CPTA), poi Centri di permanenza temporanea (CPT) e successivamente Centri di identificazione ed espulsione (CIE). Con il decreto-legge 13 del 2017, c.d Decreto Minniti-Orlando, sono stati definiti Centri di permanenza per i rimpatri (CPR).
2 Si tratta di una modifica introdotta dal D.l. n. 130 del 2020, c.d. Decreto Migranti. Nella versione antecedente come disciplinata dal D.l. n. 113 del 2018, c.d. Decreto Sicurezza, i termini del trattenimento erano di 180 giorni prorogabili di altri 30 giorni.
Federico Oliveri è assegnista di ricerca in Filosofia del Diritto all’Università di Camerino, ricercatore aggregato al Centro Interdisciplinare “Scienze per la Pace” dell’Università di Pisa e responsabile scientifico del Corso di Alta Formazione “Diritti e migrazioni. Strumenti per convivere in una società che cambia”.
Cecilia Siccardi è assegnista di ricerca in Diritto costituzionale all’Università degli Studi di Milano, dove insegna diritto antidiscriminatorio, e ricercatrice aggregata al Centro Interdisciplinare “Scienze per la Pace” dell’Università di Pisa. Nelle sue ricerche si occupa di contrasto alle discriminazioni e tutela dei diritti, con particolare riferimento ai diritti degli stranieri e delle donne.