Green pass e obbligo vaccinale alla luce della Costituzione. Intervista a Roberto Romboli
Il green pass suscita reazioni assai contrastanti, tra coloro che lo accolgono quale presidio della salute pubblica e incentivo alla vaccinazione, e coloro che lo osteggiano come limitazione della libertà individuale. Rispetto alla campagna di vaccinazione anti-Covid, il governo italiano ha scelto un terreno intermedio tra il regime di libertà e quello di obbligatorietà sanzionata, prevedendo inizialmente che si dovesse esibire la certificazione verde per fruire di servizi legati alla dimensione della socialità e del tempo libero. Successivamente, tuttavia, il possesso del green pass è stata imposto a tutti i lavoratori pubblici e privati, pena la sospensione della retribuzione. Le critiche al certificato verde si sono acuite al punto che, nelle scorse settimane, in molte città si sono svolte manifestazioni di protesta. Tra i punti critici della misura spicca la questione della sua legittimità costituzionale. Chiara Magneschi ha intervistato Roberto Romboli, professore ordinario di Diritto Costituzionale all’Università di Pisa, per capire come si articola concretamente su questo terreno un delicatissimo bilanciamento di valori.
Il green pass è ritenuto da molti una misura ragionevole, capace di equilibrare valori diversi e in parte confliggenti ma ugualmente tutelati dalla nostra Costituzione, quali l’autonomia individuale, la libertà di circolazione, la salute individuale e quella pubblica. Professore, Lei è d’accordo con questo giudizio?
In questo caso la ragionevolezza va intesa come proporzionalità. Così come per la ragionevolezza, a maggior ragione per la proporzionalità della misura, la valutazione non si può fare in astratto ma va fatta in concreto. Per concreto si intende il domandarsi, innanzitutto, qual era la situazione a cui ha inteso far fronte il green pass. È una situazione segnata dalla diffusione globale di un virus che faceva centinaia di morti, contro cui, nell’ultima fase, è stato fortunatamente messo a punto un vaccino. Abbiamo avuto una prima fase in cui il problema erano principalmente le misure limitative dei diritti fondamentali, una seconda fase nella quale è stato sviluppato il vaccino, ma la sua disponibilità era scarsa e quindi il problema era quello del diritto alla vaccinazione, e un’ultima fase, quella del green pass, la fase dove i vaccini ci sono per tutti e possono pertanto essere “imposti”.
Il green pass è una misura ragionevole (valutazione soggettiva), sulla base anche degli studi scientifici in materia? Direi di sì, perché in concreto è una misura che, a mio parere, ha sicuramente incentivato le persone a vaccinarsi. È ragionevole rispetto alla Costituzione? Anche in questo caso la risposta è affermativa, perché l’obbligo di vaccino come trattamento sanitario obbligatorio deve essere l’ultima possibilità: se si guarda a com’è scritto l’articolo 32, secondo comma, della Costituzione, questo è scritto in negativo, per segnalare che l’obbligo deve essere l’ultima cosa da fare. Si dice infatti “nessuno può essere soggetto a un trattamento sanitario, se non previsto per legge”; non si dice “i trattamenti sanitari sono obbligatori se previsti per legge”: arriviamo a questo solo quando non abbiamo altri strumenti. Il green pass è un passo prima di arrivare all’obbligo, per questo lo riterrei ragionevole e proporzionale.
Lo stesso si può dire anche dopo l’ultima misura del governo, che ha da poco introdotto l’obbligatorietà del green pass per tutti i lavoratori dipendenti? Le pronunce che sin qui si sono avute, in sede di TAR e Consiglio di Stato, hanno difeso la legittimità del green pass e delle sospensioni dal servizio e dalla retribuzione di lavoratori privi del “certificato verde”. La Corte Costituzionale, per altro, ha chiarito recentemente che l’uso dei DPCM nella gestione dell’emergenza Covid non ha comportato un’indebita attribuzione di funzioni legislative al Presidente del Consiglio. A questo punto, considerato che lavorare è una necessità e non l’esercizio di una facoltà, come andare al ristorante o a un museo, è lecito affermare che, nel bilanciamento dei diritti costituzionali in gioco, la salute pubblica abbia acquisito una posizione apicale, anche rispetto al diritto al lavoro?
Effettivamente tocchiamo un punto delicatissimo. In diritto, il certificato verde è costruito come un onere. Diverso è porlo per il ristorante, il museo, lo stadio, rispetto al fatto di porlo con riguardo al diritto al lavoro. Siamo di fronte a due diritti fondamentali: mentre nel bilanciamento tra il diritto ad andare allo stadio e il diritto alla salute individuale e collettiva mi sembra abbastanza agevole individuare quale prevale, fra il diritto alla salute e il diritto al lavoro è assai più problematico stabilire una priorità. C’è un caso recente, che è stato al centro del dibattito pubblico: il caso dell’Ilva di Taranto. In questo caso i due diritti che venivano in considerazione, come sappiamo bene, erano il diritto alla salute degli abitanti vicini a un’impresa ritenuta pericolosa per la loro salute, e il diritto al lavoro, che chiudendo questa impresa veniva meno, a causa dei molti licenziamenti. A distanza di un paio d’anni vi sono state due diverse decisioni della Corte Costituzionale sulla questione; nel primo caso si è data la prevalenza al diritto del lavoro e nel secondo al diritto alla salute. Questo esempio mostra come questi bilanciamenti non sono mai bilanciamenti che possono essere fatti in astratto, ma sono bilanciamenti che vanno fatti in concreto. Qui venivano impugnati due diversi interventi normativi, sempre con decreto legge: la prima volta si è ritenuto che doveva prevalere il diritto al lavoro e la seconda il diritto alla salute. Perché, come ha detto la Corte ad altro proposito, tra i diritti fondamentali nessuno è assoluto, altrimenti diventerebbe un tiranno rispetto agli altri diritti.
Eppure è altrettanto evidente come, nella percezione di molte persone, salute pubblica e individuale siano intese sempre più come due grandezze distanti, addirittura antagoniste. Secondo lei, questa distanza può essere veicolata da una concezione “assolutistica” della libertà individuale? E se così, come si è arrivati a questo?
Va sottolineato, prima di tutto, un aspetto che non è sempre ben percepito, perché tutti facciamo riferimento, nei dibattiti, alla salute sia individuale che collettiva. Allora, rileggerei l’articolo 32, primo comma: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Fondamentale diritto è quello dell’individuo; per la collettività c’è un interesse, e tra diritto fondamentale e interesse è chiaro quale debba prevalere, perché il principio base è il principio del consenso. Il consenso informato, che poi entra in gioco nel secondo comma a proposito dei trattamenti sanitari obbligatori. Non voglio dire che deve prevalere sempre la libertà individuale e il diritto di autodeterminazione, assolutamente no. C’è anche l’interesse della collettività; però occorre fare attenzione a metterli sullo stesso piano, perché non lo sono!
È indubbio che, in mancanza di una legge che preveda l’obbligo di vaccinazione, io ho il diritto fondamentale di non vaccinarmi e non devo motivare a nessuno perché non mi vaccino. Il trattamento sanitario obbligatorio prevede che ci sia una legge che mi debba obbligare e ad oggi, per i vaccini anti-Covid, una tale legge non c’è.
Sappiamo che il green pass è stato introdotto con un decreto legge. Quale sarebbe, invece, l’iter legislativo per introdurre l’obbligatorietà vaccinale?
La vaccinazione obbligatoria deve essere introdotta attraverso una legge: questo prevede la nostra Costituzione. La regola, quindi, è che ci sia una legge del Parlamento, con un’iniziativa legislativa e tutte le varie fasi che seguono. E, sempre per Costituzione, se ci sono ragioni straordinarie di necessità e di urgenza, la legge può essere temporaneamente sostituita dal decreto legge, che deve essere convertito in legge dal Parlamento entro 60 giorni, altrimenti decade con effetto retroattivo. Per concludere sulla domanda, la vaccinazione obbligatoria potrebbe essere introdotta con decreto legge? Certo che sì, perché se ci sono le condizioni di necessità e di urgenza lo si può fare, perché il decreto legge nel sistema delle fonti ha lo stesso valore e la stessa collocazione della legge, tranne ovviamente la necessità che, in questo caso, intervenga comunque la legge entro i 60 giorni.
In ogni caso, l’obbligatorietà non potrebbe che essere “incoraggiata” attraverso deterrenti, esclusioni e sanzioni pecuniarie a danno di coloro che intendono sottrarvisi, come avviene per le dieci vaccinazioni obbligatorie già vigenti in Italia. Sembra, infatti, da escludere che l’obbligo possa tradursi in una coazione fisica alla vaccinazione. Dunque, nella pratica, un ipotetico regime obbligatorio non sarebbe molto dissimile da quello già attuato attraverso il green pass. È corretto?
È corretto. È facilissimo spiegare a lezione, con degli esempi, la differenza tra raccomandazione, onere e obbligo. La raccomandazione ha questa forma: io ti raccomando di fare un qualcosa ma poi lascio a te la scelta di farlo o di non farlo. L’onere: io ti lascio libero di fare o non fare, però se non lo fai non puoi accedere a determinati servizi o avere certi benefici. L’obbligo: lo devi fare. Qual è l’aspetto che li distingue enormemente? Le sanzioni. All’obbligo non eseguito va comminata una sanzione, poiché altrimenti perde significato l’obbligo. In teoria è facile, ma non altrettanto in pratica. Il problema, del quale molti si sono accorti solo grazie all’avvento della pandemia, è quello di individuare le sanzioni, perché le sanzioni devono essere reali deterrenti, altrimenti non sono tali da svolgere la loro funzione. Se io dico: fai il vaccino altrimenti hai una tantum una sanzione amministrativa di un euro, formalmente ho posto una sanzione in relazione a un obbligo; poi dico: non ti impongo la sanzione, ma ti pongo un onere per cui se non ti vaccini non puoi più lavorare. Cos’è più grave? La perdita del lavoro, e dunque l’onere.
Il problema diviene l’applicazione pratica. Anche la legge Lorenzin, l’ultima che ha introdotto i vaccini obbligatori per i minorenni, in alcuni casi1 prevede quale sanzione il mancato accesso alla scuola, misura che può anche essere vista come onere. Sempre a partire dal presupposto che è pacifico che la vaccinazione non può essere imposta con la forza, perché questo sarebbe contrario alla persona umana e la Costituzione prevede che la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. Dunque, se il vaccino praticato con la forza è incostituzionale, quali sono le possibili sanzioni deterrenti? Ovviamente non si può prevedere la galera, come per esempio avveniva con l’obiezione di coscienza verso il servizio militare obbligatorio: che fare se il soggetto non vuole farsi il vaccino nemmeno quando esce? Lo si fa rientrare dietro le sbarre? Creeremmo delle vittime: credo, per questo, che sia molto meglio la linea del certificato verde. Inoltre, una cosa è il vaccino per una categoria specifica di persone, altra cosa è un vaccino generale per tutta la popolazione. A mio avviso sarebbe stato preferibile non introdurre l’obbligo neanche per i medici, per i quali invece si è creata una disparità ingiustificabile. Non sembra giustificabile l’obbligo di vaccinazione previsto per il personale sanitario, poiché la diversità di trattamento non si giustifica con una diversità sostanziale tra le due categorie. Anche perché la finalità, di limitare la diffusione del virus, è la stessa.
Nei decenni, il legislatore ha cambiato spesso il regime vaccinale, oscillando più volte tra obbligatorietà e facoltatività, introducendo talora veri e propri obblighi, talora mere raccomandazioni. Anche la giurisprudenza ha assunto posizioni diverse riguardo al bilanciamento tra autonomia individuale e obbligo vaccinale, e ha assunto spesso un ruolo critico del legislatore e cruciale per l’evoluzione normativa in materia, rispetto ad esempio all’obbligo di indennizzo per i danneggiati dai vaccini e all’estensione di tale indennizzo anche ai vaccini non obbligatori. Più recentemente, invece, a partire dai primi anni 2000, dalla reintroduzione dei regimi di obbligatorietà, e adesso con la questione del green pass, sembra che la giurisprudenza si ponga molto in continuità con le scelte degli altri poteri. Condivide questa osservazione? Se sì, come possiamo spiegare questa tendenza?
È pacifico ormai che esista un diritto politico, fatto dagli organi politici rappresentativi, e un diritto giurisprudenziale, fatto da giudici e organi non rappresentativi che però creano diritto. Nel rapporto tra i due tipi di diritto, rispetto al tema di cui stiamo parlando, la prima scelta è del legislatore. Decidere circa l’obbligo vaccinale, stabilire se fare una raccomandazione, fin quando farla e quando passare all’obbligo, o se sperimentare l’onere: questo è un compito dei soggetti politici, che rispondono dinanzi a un corpo elettorale. Il diritto giurisprudenziale si pone in linea con il diritto politico, lo integra, a volte lo contrasta e a volte invece è condiscendente. Il suo compito è tutelare i diritti fondamentali, specie quando ritiene che il legislatore non lo faccia o non lo faccia adeguatamente, o altrimenti di integrare le scelte del legislatore. Circa l’indennizzo, nella visione più tradizionale della nozione di persona umana, come dicevamo prima, il vaccino deve andare a vantaggio sia dell’individuo che della collettività, non basta solo l’uno o solo l’altro. L’indennizzo è un qualcosa che ha aggiunto la Corte Costituzionale, derivandolo dall’obbligo, quindi dal fatto che lo Stato non lascia scelta al cittadino e lo obbliga a vaccinarsi. Se, seguendo questo obbligo dello Stato, ne deriva un pregiudizio per la salute del cittadino che ha adempiuto, la Corte ha ritenuto che non solo ci sia un risarcimento dei danni ma che ci sia anche un equo indennizzo. Questo è un tipo di integrazione, interpretando la nozione di persona umana, che non si pone in contrasto con il legislatore. Quando il legislatore compie scelte che si pongono contro la Costituzione, sia quando siamo di fronte a omissioni legislative, è corretto dichiarare l’incostituzionalità di tali scelte o, nei limiti del consentito, sostituirsi al legislatore; però, in linea di massima, la scelta spetta al soggetto che deve assumersi le responsabilità politiche.
Si può dire che la misura del green pass premia chi decide di “prendere sul serio” il dovere di solidarietà, di cui all’articolo 2 della Costituzione? Quanto è importante questo “dovere” per la tenuta di un ordine democratico?
È un elemento che è stato sottolineato particolarmente dal presidente Mattarella, che ha richiamato appunto il dovere di solidarietà. L’articolo 2 della Costituzione prevede che vi sia l’adempimento dei “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Una precisazione: la solidarietà è prevista come dovere di solidarietà, e se è tale non va confusa con quella spontanea, perché in quest’ultimo caso parliamo della persona che aiuta l’anziano ad attraversare la strada, cosa che però non è un dovere in senso giuridico. Qui parliamo di solidarietà come dovere che, come tutti i doveri, deve essere previsto per legge. Ad esempio, parliamo di un dovere di solidarietà economica per il pagamento delle tasse: obbligo previsto per legge con sanzione, senza che esso sia lasciato alla spontaneità. La solidarietà alla quale spesso si fa riferimento rispetto ai vaccini è un po’ una scelta spontanea. Faccio un esempio: i miei colleghi che hanno dei figli con meno di 18 anni e non vogliono vaccinarli, poiché vedono per loro più elevato il rischio del vaccino che non quello dell’essere contagiati. I figli avranno forse meno danni, ma le persone che li circondano? I nonni come fascia fragile? E dunque i minori possono avere un proprio interesse, ma che va contro la solidarietà. E a quel punto sarà un dovere di solidarietà solo quando il vaccino sarà obbligatorio.
In Italia la questione vaccinale è stata negli anni al centro di prese di posizione da parte del Comitato Nazionale per la Bioetica. Già nel 1995, esprimeva la forte convinzione che il dibattito sulle vaccinazioni dovesse investire finalmente il profilo bioetico della questione. Nel 2015, con la mozione intitolata “L’importanza delle vaccinazioni”, lo stesso Comitato torna a sottolineare il rilevante “valore etico intrinseco” – non solo sanitario – dei vaccini stessi, legato all’assunzione di una responsabilità individuale e sociale da parte dei cittadini, e all’evitamento del pericolo di contagio per soggetti impossibilitati a vaccinarsi (il c.d. “carattere solidaristico e cooperativo”). Qual è la sua opinione in merito?
Io credo che i due profili siano sicuramente presenti. È un po’ come parlare di un codice etico rispetto a una responsabilità disciplinare che può riguardare i magistrati, gli avvocati ecc. Non credo che ci siano elementi di esclusione, credo che ci si muova inevitabilmente su un terreno diverso. Mi spiego: un obbligo o un onere sotto il profilo giuridico hanno conseguenze giuridiche. Nel momento in cui viene adottato un codice etico, le conseguenze devono essere diverse; per esempio, non c’è obbligo dal punto di vista giuridico, ma si potrebbe concludere, secondo quanto dicevi, che il problema relazionale, la garanzia e l’incidenza sulla vita, non solo individuale, ma anche degli altri, comportino un obbligo etico. Con tutte le conseguenze che ha il discutere sotto i diversi piani, non è che uno esclude l’altro. Anzi, è fuori dubbio, a proposito della solidarietà, che ci sia un piano etico. Per tornare all’esempio di prima: i genitori che sconsigliano ai figli di fare il vaccino, a parer mio, sarebbero criticabili dal punto di vista etico, ma non c’è un dovere di solidarietà, dunque il loro comportamento non è giuridicamente sanzionabile. L’etico gioca sull’aspetto di solidarietà spontanea.
La scelta di lasciare un regime di libertà vaccinale alla fine probabilmente voleva far leva anche su questo elemento: dismettendo gli strumenti dell’obbligatorietà e della sanzione, confidava nello spingere in qualche modo i cittadini a vaccinarsi spontaneamente, coinvolgendo questi valori e profili etici di solidarietà , che sono però risultati in vari casi poco incoraggianti…
Esattamente. La carta verde spinta fino ai diritti fondamentali, come il diritto al lavoro, ha due motivazioni di base. La prima è quella di incentivare le persone a vaccinarsi, per avvicinarsi alla cosiddetta “immunità di gregge”. La seconda deriva dal fatto che è estremamente difficile trovare sanzioni deterrenti e funzionali per una vaccinazione di massa. Non è facile individuare le sanzioni. Invece, ricorrendo all’onere ci si muove meglio, perché se ti impedisco di andare al ristorante al chiuso non sto limitando i tuoi diritti. Ritengo che il certificato verde non limiti i diritti, ma consenta di esercitare i diritti in una condizione di sicurezza. Affermare il contrario significherebbe capovolgere la realtà.
[Intervista realizzata l’11 ottobre 2021]
Nota
1 In generale, il rispetto degli obblighi vaccinali diventa un requisito per l’ammissione all’asilo nido e alle scuole dell’infanzia (rispetto ai bambini e alle bambine da 0 a 6 anni), mentre dalla scuola primaria in poi alunni e alunne possono accedere comunque a scuola ma, in caso non siano stati rispettati gli obblighi vaccinali, viene attivato dalla ASL un percorso di “recupero della vaccinazione” e i genitori possono incorrere in sanzioni amministrative da 100 a 500 euro. Per una sintesi della normativa, si rimanda alla pagina web del Ministero della Salute (ndr).