“A fair, orderly, humane, and legal immigration system”. Le promesse di Biden alla prova dei fatti
di Daniela Serafino
Il 20 gennaio 2021, nelle ore immediatamente successive al giuramento come nuovo Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden ha adottato le prime misure per iniziare una nuova fase nelle politiche sull’immigrazione. Nel corso della lunga campagna elettorale, il candidato presidente democratico e la sua vice designata, l’ex procuratrice generale della California Kamala Harris, avevano promesso che avrebbero ribaltato le politiche migratorie di Trump, politiche che avevano profondamente danneggiato le comunità di immigrati e incrinato i rapporti con vari Stati d’origine, per rendere gli Stati Uniti più accoglienti sia nei confronti degli immigrati “economici” che dei richiedenti asilo.
La strategia di Biden si fonda sull’idea che gli Stati Uniti siano più “sicuri, forti e prosperi” con un sistema migratorio “giusto, sicuro e organizzato che accoglie gli immigrati, tiene le famiglie unite” e permette alle “persone di contribuire pienamente alla crescita del paese”.
Abrogazione del Muslim ban
Tra i primi ordini esecutivi adottati da Biden, un posto di rilievo in tema di immigrazione spetta all’abrogazione dei cosiddetti Muslim and African Bans, che Trump aveva adottato una settimana dopo l’inaugurazione della sua presidenza. I Muslim and African Bans prevedevano un divieto di entrata nel territorio statunitense di stranieri provenienti da paesi del Medio Oriente e dell’Africa a maggioranza musulmana, chiamando in causa la “sicurezza nazionale” come prima giustificazione, e costruendo populisticamente un nesso tra l’immigrazione da paesi musulmani e il terrorismo islamico. Nel febbraio del 2020 l’amministrazione Trump aveva quasi duplicato i paesi inseriti nella lista. Biden ha definito i bans discriminatori, “una macchia sulla nostra conoscenza nazionale” che rischia di minare la capacità degli Stati Uniti di fungere da “esempio” per il resto del mondo in materia di rispetto dei diritti umani.
Il Programma DACA
Sempre tra i suoi primi provvedimenti, Biden ha inviato un memorandum all’attuale Segretario della Sicurezza Nazionale, Alejandro Mayorkas, per preservare e rafforzare il Deferred Action for Childhood Arrivals (DACA). Si tratta di un provvedimento introdotto dall’amministrazione Obama nel 2012 per garantire ai minori stranieri entrati o residenti in maniera irregolare negli Stati Uniti una protezione di due anni dalla deportazione e un’autorizzazione per lavorare. Circa 800.000 giovani avevano beneficiato del programma DACA dal 2012, ma nel 2017 Trump aveva interrotto brutalmente il programma con un provvedimento che fu poi dichiarato incostituzionale dalla Corte Suprema. Nel luglio del 2020 Trump aveva nuovamente provato a smantellare il programma riducendo la durata dei permessi lavorativi e la protezione dalla deportazione da due anni a uno.
Insieme al memorandum, l’amministrazione Biden ha annunciato l’introduzione del U.S. Citizenship Act of 2021 che permetterà ai beneficiari del DACA di richiedere immediatamente il permesso di soggiorno. L’U.S. Citizenship Act of 2021 prevede, inoltre, un percorso di 8 anni per l’ottenimento della cittadinanza, di cui potrebbero beneficiare circa 11 milioni di persone che attualmente vivono negli Stati Uniti irregolarmente. Per coloro che vivono sul suolo americano verrà garantito un permesso di residenza valido 5 anni in seguito al quale, se soddisfano alcuni requisiti, verrà loro riconosciuta la Green Card. Dopo altri 3 anni potranno richiedere la cittadinanza.
Il muro con il Messico
Sempre il 20 gennaio 2021 Biden ha firmato un altro ordine esecutivo che prevede l’interruzione per 100 giorni delle deportazioni di immigrati irregolari. Ha inoltre dichiarato la cessazione dello stato di emergenza al confine con il Messico, in modo da poter tagliare i fondi destinati al completamento del muro avviato sotto le precedenti amministrazioni.
Stato di avanzamento del muro tra Stati Uniti e Messico nel 2017 (fonte: Avvenire).
Biden ha chiarito più volte che la sua non sarà una “politica del muro”, come è stata invece quella di Trump. Dall’inizio della sua presidenza, Trump aveva puntato fortemente sul completamento e sul rinforzamento del muro al confine con il Messico, sostenendo che tale barriera militarizzata potesse in qualche modo interrompere i flussi migratori che provengono dal cd. Northern triangle, che comprende Honduras, Guatemala ed El Salvador, ovvero i principali paesi di provenienza di richiedenti asilo e immigrati non autorizzati negli ultimi anni. Proprio con questi tre paesi Trump aveva concluso nel 2017 degli accordi di “cooperazione” in materia di asilo che forzavano i richiedenti protezione a rivolgersi a uno di questi tre paesi prima di richiederlo negli Stati Uniti. Secondo il Dipartimento di Stato gli accordi con El Salvador e Honduras non sono mai stati implementati. L’amministrazione Biden ha dichiarato che gli Stati Uniti sono intenzionati a sospendere questi accordi in vista dell’inizio di una “nuova fase cooperativa” che possa davvero fornire assistenza a questi paesi e salvaguardare i richiedenti asilo.
Inoltre, i Migrant Protection Protocols, conosciuti anche come programma Remain in Mexico, avviati dall’amministrazione Trump nel gennaio 2019, sono stati ufficialmente abrogati. I protocolli prevedevano che chi facesse domanda di asilo negli Stati Uniti, dopo essere entrato dal confine Sud, rimanesse in Messico nell’attesa che la sua richiesta fosse esaminata. Più di 60.000 migranti sono stati così respinti in Messico da gennaio 2019, e migliaia sono ancora bloccati nelle zone di confine in condizioni sanitarie precarie, soprattutto negli ultimi mesi di pandemia. A fine febbraio di quest’anno i primi tra questi richiedenti asilo in attesa di veder riconosciuta la protezione negli Stati Uniti hanno ricevuto l’autorizzazione a entrare nel paese, rendendo così effettiva la promessa che Biden aveva fatto in campagna elettorale.
Una speranza per i richiedenti asilo
Biden sembra intenzionato a perseguire l’obiettivo di scardinare le cause profonde che costringono le persone a migrare verso gli Stati Uniti. A tal proposito, ai primi di febbraio, il neo presidente ha firmato un altro ordine esecutivo per gestire i flussi di richiedenti asilo provenienti dall’America centrale nella speranza che la crisi umanitaria ai confini con gli Stati Uniti possa risolversi affrontando la violenza, l’instabilità e la mancanza di opportunità che costringono così tante persone ad abbandonare i propri paesi. Biden ha inoltre espanso il programma di ricollocamento dei rifugiati, dichiarando che gli Stati Uniti avrebbero accolto fino a 125.000 rifugiati nel suo primo anno fiscale, quota che era stata drasticamente abbassata da Trump nel 2020 a 15.000 posti. In aggiunta, il presidente ha chiesto che entro 180 giorni dalla firma dell’ordine esecutivo gli venisse consegnato un report sull’impatto del cambiamento climatico sulle migrazioni. Questo report dovrà contenere anche delle proposte per fornire protezione a individui che, direttamente o indirettamente, sono costretti a migrare per effetto del cambiamento climatico.
Dopo quattro anni di chiusura e “tolleranza zero”, i primi atti e le proposte di Biden in materia di immigrazione appaiono promettenti. Certo, affrontare le cause profonde delle migrazioni non è né facile né immediato. La richiesta di un report sull’impatto del cambiamento climatico sulle migrazioni non comporta necessariamente che venga fornita ai “migranti ambientali” una qualche forma di protezione, ma è sicuramente importante che queste problematiche vengano finalmente affrontate e discusse, soprattutto in un paese come gli Stati Uniti la cui influenza può essere molto rilevante in altri contesti, come quello europeo.
Riunificazione delle famiglie divise
Durante l’amministrazione Trump più di 5.500 bambini migranti sono stati separati dai loro genitori una volta entrati nel paese, a causa della politica di tolleranza zero. Secondo una norma introdotta nell’aprile 2018 gli adulti venivano perseguiti penalmente e detenuti in prigioni federali dove, per legge, non possono essere incarcerati i bambini: questi venivano quindi separati dagli adulti e portati in centri distanti anche migliaia di chilometri. L’obiettivo dell’amministrazione precedente era quello di scoraggiare l’immigrazione irregolare, ma ha soprattutto scatenato proteste indignate per la sofferenza provocata a bambini e genitori.
A giugno 2018 un giudice federale ha ordinato che tutte le famiglie separate fossero riunite, ma solo nel gennaio 2019 è emerso che questa politica della separazione era stata, in realtà, avviata molto tempo prima che fosse ufficialmente proclamata, facendo sì che molti più bambini di quelli dichiarati fossero stati separati dai loro genitori. Secondo i dati attuali circa 500 bambini sono ancora in attesa di essere ricongiunti con i loro genitori, alcuni dei quali sono stati anche riportati nei propri paesi d’origine rendendo ancora più complessa la procedura. Il 2 febbraio Biden ha firmato un ordine esecutivo per la creazione di una task force impegnata a trovare i genitori espulsi dal paese e ricongiungere le famiglie divise.
Quali sono gli ostacoli che Biden si troverà ad affrontare?
Shannon O’Neil, esperta di migrazioni dall’America Latina, in un’intervista pubblicata da Foreign Policy ha spiegato che la strada per modificare l’impianto di gestione dei flussi migratori negli Stati Uniti è ancora piena di ostacoli, sia normativi che politici. Per esempio, la moratoria introdotta da Biden per bloccare di 100 giorni la deportazione di alcuni migranti irregolari, proposta il giorno del suo insediamento come Presidente, è stata immediatamente bloccata da un giudice del Texas il quale ha ritenuto incostituzionale il provvedimento, in quanto contrario a un accordo tra il Dipartimento di Stato e lo Stato del Texas.
Nei quattro anni di presidenza Trump il sistema di gestione dei flussi irregolari in entrata e l’assistenza ai richiedenti asilo è stato completamente smantellato, per cui ci vorrà del tempo per rimettere in piedi un sistema di accoglienza degno di questo nome.
Le proposte avanzate da Biden prevedono una riforma del sistema migratorio che deve per forza passare attraverso un procedimento legislativo, che quindi vedrà una forte opposizione dei Repubblicani. Nelle ultime due settimane, inoltre, si è registrato un improvviso e consistente aumento di richiedenti asilo, che arrivano negli Stati uniti passando dal confine col Messico. Alcuni media americani e i Repubblicani hanno duramente attaccato l’amministrazione Biden per aver “favorito l’immigrazione” con politiche troppo “permissive” e aver causato una vera e propria “crisi” al confine sud. Nonostante le accuse, il confine non è ancora aperto e gli alti numeri sono in linea con i trend degli ultimi anni, durante i quali si sono più volte registrati aumenti improvvisi di arrivo di richiedenti asilo. Occorre anche tenere conto del numero elevato di persone che, negli ultimi mesi, è stata respinta e che è rimasta nelle prossimità del confine, in attesa del momento propizio per tentare l’attraversamento o beneficiare di un alleggerimento dei controlli.
Certamente la situazione al confine resta drammatica. Sono migliaia i bambini non accompagnati arrivati alla frontiera dopo aver intrapreso un viaggio lungo e rischioso: un viaggio che continua a uccidere, come accaduto alla bambina di 9 anni annegata nel tentativo di attraversare il Rio Grande per raggiungere gli Stati Uniti con la madre e il fratello.
I nuovi arrivi, soprattutto di minori non accompagnati, rischiano di mettere in difficoltà la nuova amministrazione e costringerla a politiche più restrittive. Intanto, Kamala Harris ha ricevuto l’incarico di gestire il dialogo diplomatico con il Messico e i paesi del Northern Triangle per gestire il flusso di migranti e affrontare le cause profonde che causano la migrazione stessa. Si tratta del primo vero incarico che Biden affida a Harris, un compito sicuramente difficile ma che lei stessa riconosce come indispensabile.
Al netto delle numerose difficoltà presenti e future, le misure adottate dall’amministrazione Biden-Harris costituiscono la più ambiziosa proposta di riforma del sistema dal 2013, quando Obama fallì la propria riforma delle leggi sull’immigrazione a causa dell’opposizione dei Repubblicani al Congresso. Queste prime misure sono state necessarie per mantenere alcune delle promesse fatte in campagna elettorale, in particolare all’elettorato ispanico che aspettava queste riforme da molti anni: come ha detto Biden nel suo discorso inaugurale “so bene chi mi ha votato”. Tuttavia, la strada per costruire una politica migratoria equa e rispettosa dei diritti umani è ancora lunga.
Daniela Serafino frequenta il Corso di laurea magistrale in Studi internazionali, curriculum di Governance delle migrazioni, presso l’Università di Pisa. E-mail: d.serafino2@studenti.unipi.it