Sul possibile ritorno del servizio militare e sul valore del servizio civile
di Francesco Spagnolo
La proposta di legge “Istituzione del servizio militare e civile universale territoriale e delega al Governo per la sua disciplina”, depositata alla Camera dei Deputati dall’onorevole Eugenio Zoffili (Lega) e rilanciata dal ministro Matteo Salvini, non è una novità nel panorama politico degli ultimi anni.
Da quando, nel 2005, la leva militare obbligatoria è stata sospesa, non abrogata, più volte si sono visti tentativi trasversali a molte forze politiche e sociali di tornare a forme di costrizione verso i giovani, in nome di una loro maggiore “educazione civica al servizio della comunità, di disciplina, di attenzione al prossimo e rispetto per sé stessi e per gli altri”, per riprendere le parole del leader della Lega.
Di obbligo si è parlato anche a proposito del servizio civile. Già nel febbraio 2000, nel pieno della discussione sulla legge n. 331 che avrebbe stabilito la fine della leva obbligatoria a partire dal 2007 (poi anticipata al 2005) e, conseguentemente, anche del servizio civile alternativo per gli obiettori di coscienza, da parte di molte realtà di area cattolica come Caritas Italiana, Pax Christi Italia e Acli arrivò la proposta di istituire un “servizio civile obbligatorio”.
Nel 2003, dopo la nascita del Servizio Civile Nazionale su base volontaria (Legge 64/2001), è stato l’onorevole Ermete Realacci, all’epoca esponente dei Verdi, a presentare un disegno di legge per l’”Istituzione del servizio civile obbligatorio per le giovani ed i giovani”, proposta che sarà rilanciata a maggio 2004 da Romano Prodi e ripresa, nel corso degli anni, da vari intellettuali come Michele Serra, Guido Ceronetti e don Antonio Mazzi, solo per citarne alcuni.
In anni più recenti, la proposta è tornata svariate volte nel dibattito, declinata in varie forme, come nel 2001 nelle “100 idee per l’Italia” di Matteo Renzi che ipotizzava un “Servizio civile obbligatorio” come “un tempo di servizio agli altri coincidente con la maggiore età, della durata di 3 o 6 mesi”.
Anche dopo la riforma del Servizio civile in chiave “universale”, nel 2016, non sono mancati progetti di legge per tornare a forme di obbligatorietà. Nella sola XVIII legislatura, quella conclusasi nel 2022, sono state sei le proposte di legge in tal senso, delle quali tre di iniziativa di parlamentari del PD, una di Fratelli d’Italia e due di provenienza regionale (Friuli-Venezia Giulia e Veneto). Infine, va ricordato l’ampio confronto sul tema, a partire dall’appello di un ampio gruppo di intellettuali su “ripensare e rilanciare il Servizio Civile Universale”, ospitato tra aprile e ottobre 2020 da Avvenire.
Il dibattito, dunque, va avanti da almeno 25 anni. Anche per questo la recente proposta della Lega, oltre che venata di paternalismo e difficilmente attuabile, sembra oggi irricevibile: non solo per l’impatto economico che avrebbe, valutato in alcuni miliardi di euro, ma soprattutto perché non tiene conto di un cambio di paradigma avvenuto, nel frattempo, nei giovani e nello stesso Servizio Civile Universale.
Come hanno scritto di recente due attenti studiosi, come Maurizio Ambrosini e Anna Cossetta, autori di “Il nuovo Servizio civile. La meglio gioventù in azione” (2022), il servizio civile su base volontaria ha assunto un determinato significato in questi anni, venendo inteso come «un istituto che concorre a formare cittadini consapevoli, partecipativi, impegnati nello sviluppo sociale delle comunità (locali, nazionali, internazionali…) in cui operano, ispirandosi a principi fondativi della Costituzione: diritti inviolabili delle persone, solidarietà, progresso “materiale e spirituale” della società». Una cittadinanza che, per i due autori, è già quindi “sostanziale” più che “formale”. Cosa che rende sostanzialmente inutile la proposta di un ritorno al servizio militare.
L’ultima indagine IARD 2022-2023, pubblicata nelle scorse settimane, condotta su un campione di ragazzi e ragazze impegnati/e nel SCU in alcune aree interne del Sud Italia, evidenzia come questo istituto implichi “una scelta di adesione non obbligata, [che] quindi comporta in sé una dimensione motivazionale non trascurabile; in secondo luogo, la sua azione è tesa a rispondere ad alcune necessità collettive al di fuori di logiche economiche di mercato, e dunque può potenzialmente essere sostenuta da una qualche carica ideale”. La ricerca ci conferma anche come nel campione analizzato prevalga “la dimensione della crescita (accomunando quella personale, quella professionale e la valenza orientativa dell’esperienza) […] per quasi i due terzi dei giovani intervistati, più ragazze che ragazzi, [che] fanno riferimento ad essa per spiegare le ragioni di aver scelto di partecipare al SCU”.
Ultimo aspetto da sottolineare è la richiesta che viene dagli stessi giovani: nel 1999, anno del boom di richieste di obiezione da parte dei coscritti alla leva, le domande furono oltre 108.000. Dopo 25 anni, in epoca di scelta volontaria, le domande sono stabilmente oltre le 100.000, con punte di 120-140.000 negli anni passati, a fronte però di un numero di posti finanziati che hanno oscillato in questi anni tra i 50.000 e i 75.000.
In definitiva, se si vuole effettivamente investire sui giovani e sulla loro crescita civile non serve tornare a pensare a forme del passato ormai superate, con proposte buone (forse) per una campagna elettorale. Sappiamo bene come ogni democrazia si debba porre il problema di alimentare lo spirito civico e garantire la trasmissione intergenerazionale dei valori fondanti della comunità politica. Per decenni lo Stato italiano ha pensato di affidare «al servizio militare la duplice funzione civica: di formazione del cittadino e di rafforzamento del vincolo di cittadinanza», come ricorda lo storico Marco Labbate in riferimento al dibattito in Assemblea Costituente proprio sull’articolo 52 della Costituzione e sulla leva obbligatoria.
L’obiezione di coscienza prima, e il servizio civile su base volontaria poi, hanno dimostrato come questo istituto possa rappresentare una forma concreta di “patriottismo costituzionale” – per usare la recente espressione del Presidente Mattarella – forse ancora non del tutto compresa: una delle poche politiche di cittadinanza attiva capace di ridurre lo iato tra istituzioni e giovani attraverso una formazione all’impegno civico e alla partecipazione, che oggi appaiono quanto mai necessari.
Si tratta, in fondo, di non perdere di vista l’identità profonda del SCU fondata sulla “difesa della Patria non armata e nonviolenta” e di saperla attualizzare e rendere feconda proprio a vantaggio dei ragazzi e delle ragazze che scelgono questa esperienza, aprendo un serio dibattito sul suo futuro e sul suo rafforzamento, anche in termini di finanziamento.
Francesco Spagnolo è giornalista e formatore accreditato del Servizio Civile Universale.