sabato, Ottobre 5, 2024
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Due terzi del mondo non ha accesso ai vaccini: i «no-profit» si mobilitano

Le somministrazioni dei vaccini contro il Coronavirus sono iniziate, infondendo un certo senso di speranza per l’anno a venire. Eppure ciò rischia di restare un privilegio riservato ad alcune parti del mondo. Come scrive Andrea Capocci per Il manifesto, due terzi della popolazione mondiale non avrà accesso ai vaccini, le cui produzioni sono già state assicurate dalle case farmaceutiche ai paesi più ricchi. Paradossalmente, le vaccinazioni scarseggiano proprio in paesi emergenti, come l’India, che potrebbero dare un notevole contributo alla produzione degli stessi, ma che ne sono impediti a causa dei brevetti. L’Oms e i paesi interessati si sono attivati per chiedere di sospendere brevetti e autorizzazioni esclusive, per ora senza successo. In una materia così vitale servono nuove norme internazionali, che garantiscano l’accesso universale ai vaccini mettendo un freno ai profitti privati. Va in questa direzione la proposta di legge popolare promossa a livello europeo dalla campagna No profit on pandemic.

 

di Andrea Capocci

Nel Regno Unito sarà possibile somministrare dosi di vaccini diversi alla stessa persona pur di rimediare alla loro scarsità. La decisione, criticata da medici e scienziati, dimostra che neanche in Europa l’accesso alle vaccinazioni è scontato. Per circa i due terzi degli abitanti della Terra, invece, per ora di vaccini non si parla affatto, perché la produzione del 2021 è stata tutta accaparrata dai Paesi ricchi.

Paradossalmente, le aree del mondo in cui i vaccini scarseggiano sono quelle che ospitano la maggiore capacità di produrli. Il 60% della produzione mondiale di vaccini arriva infatti dall’India e il Developing Countries Vaccine Manufacturers Network, che riunisce produttori di Asia, America Latina e Africa, fornisce il 75% dei vaccini distribuiti dall’Oms.

Espandere la produzione dei vaccini grazie a questa industria emergente è possibile e in parte sta già avvenendo. Le società AstraZeneca ha stipulato un accordo con il Serum Institute of India per un miliardo di dosi, così come la Novavax che però è ancora in fase di sperimentazione. Le altre società, come Pfizer/BioNTech e Moderna, per ora non intendono collaborare con altre aziende per allargare la produzione.

Moderna si è impegnata a non applicare il brevetto sul vaccino durante la pandemia, rinunciando al monopolio e permettendo ad altre aziende di produrlo. Tuttavia, secondo la Ong «Medici senza Frontiere» l’impegno non basta perché «il know-how, la tecnologia e altre componenti dello sviluppo e della produzione del vaccino possono ancora essere protette dalle regole della proprietà intellettuale», come ha dichiarato la responsabile sulle politiche vaccinali Kate Elder.

Per rimediare alla scarsità, l’Oms ha avviato il programma Covax per raccogliere donazioni internazionali, acquistare 2 miliardi di dosi dalle società farmaceutiche e girarli ai paesi in via di sviluppo. Nonostante il supporto della Gates Foundation e della Global Alliance for Vaccine and Immunization (Gavi), il programma rischia di fallire.

Lo ha rivelato un’inchiesta della Reuters, che ha avuto accesso ai documenti interni della Gavi, in cui «il rischio di non riuscire a creare una struttura Covax» è ritenuto «molto alto». Il pericolo nasce dalla mancanza di fondi, e dalle difficoltà dei fornitori dei vaccini ritenuti più economici (AstraZeneca, Sanofi, Novavax) nel garantire le forniture. «I paesi più poveri rischiano di rimanere senza vaccini fino al 2024», riporta un altro dei documenti Gavi visionati.

Dato che né il mercato né la beneficenza appaiono in grado di garantire vaccini a sufficienza, l’ultima strategia a disposizione è aggirare i brevetti. L’Oms ha provato a farlo con le buone maniere creando il «Covid-19 Technology Access Pool», un programma di condivisione volontaria di tecnologie e conoscenze da parte di aziende e governi a cui poter accedere liberamente per produrre vaccini e terapie anti-Covid. Ma a oltre sei mesi dal lancio, il programma è desolatamente vuoto.

Visto l’insuccesso delle iniziative volontaristiche, alla fine di ottobre i governi di Sudafrica e India si sono rivolti all’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto), a cui hanno proposto di sospendere brevetti, segreti industriali e copyright su farmaci e vaccini contro il Covid-19. La proposta ha guadagnato oltre la metà dei consensi degli stati membri. Ma non basta: decisioni come questa al Wto si prendono con la maggioranza dei tre quarti o, più spesso, con il consenso dell’intera organizzazione.

I proponenti hanno tempo fino alla fine di gennaio per trovare l’accordo, ma sembra impossibile scalfire l’opposizione di Usa e Ue: le superpotenze ritengono che le regole del commercio internazionale siano già abbastanza flessibili. È vero che il Wto concede agli stati la possibilità di concedere «licenze obbligatorie», cioè di non applicare i brevetti in maniera unilaterale per affrontare particolari crisi sanitarie.

Ma secondo i fautori della sospensione la procedura per applicare le licenze obbligatorie è troppo lunga e complessa, e sostanzialmente inapplicabile. Il negoziato ricorda quello che, alla fine degli anni ‘90, vide contrapporsi case farmaceutiche e governi di Sudafrica e India (sempre loro) sul tema dei brevetti che frenavano l’accesso ai farmaci anti-Aids nei paesi poveri. Grazie alla mobilitazione globale del «popolo di Seattle», le società farmaceutiche uscirono sconfitte da quella vertenza.

Anche in assenza di un movimento di quell’ampiezza, un centinaio di movimenti e associazioni vorrebbe almeno far cambiare posizione all’Ue e ha lanciato un’Iniziativa dei Cittadini Europei intitolata «No profit on pandemic»: si tratta di una proposta di legge popolare diretta alla Commissione Europea affinché «i diritti di proprietà intellettuale, compresi i brevetti, non ostacolino l’accessibilità o la disponibilità di qualsiasi futuro vaccino o trattamento contro la Covid-19». Se la proposta raggiungerà un milione di firme nell’Ue, la Commissione dovrà prendere in considerazione la proposta e, eventualmente, tradurla in una nuova normativa.

 

Fonte: Il manifesto, 3 gennaio 2021.