venerdì, Aprile 19, 2024
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L’Unione Europea mira a potenziare il mercato interno delle armi

La guerra in corso tra Federazione Russa e Ucraina, con gli Stati Uniti, la NATO e l’Unione Europea schierati dalla parte di Kiev, ha contribuito a riaprire il dibattito intorno a un sistema comune europeo di difesa militare. Dopo aver considerato le sanzioni e l’invio di armi come uniche vie per sostenere l’Ucraina contro l’invasione russa, numerosi governi europei tra cui la Germania e l’Italia hanno messo in agenda un significativo aumento della propria spesa militare nei prossimi anni. Un breve articolo, pubblicato su Politico.eu, ricostruisce le linee generali del dibattito in corso a livello europeo, registrando che la decisione di aumentare la spesa militare è data per assodata: si tratta solo di decidere se acquistare armi europee o no. La Commissione, infatti, in accordo con la Presidenza francese dell’Unione, mira a promuovere l’indipendenza strategica e logistica della difesa comune europea, sganciandola dalle forniture militari degli Stati Uniti e di altri paesi extra-UE. Al tempo stesso, per aggirare i vincoli giuridici che non consentono all’Unione Europea di utilizzare il proprio bilancio per la spesa militare, la Commissione ha messo a punto un piano per il coordinamento degli acquisti militari, finalizzato a procedere attraverso appalti congiunti per favorire l’industria bellica europea: la proposta di istituire una Defence Joint Procurement Task Force va in questa direzione, aprendo scenari inquietanti di una nuova corsa al riarmo.

 

di Jacopo Barigazzi

 

Il nuovo piano per coordinare l’aumento della spesa militare tra i paesi membri dell’Unione Europea, in risposta alla guerra della Russia all’Ucraina, non riguarda solo il rafforzamento della difesa comune, ma anche il potenziamento dell’industria militare del continente: la corsa è aperta per decidere chi beneficerà dei miliardi di euro che sono improvvisamente a disposizione. In molti casi, ciò si riduce a una semplice domanda: comprare armi statunitensi o europee?

Nonostante l’UE rimanga aperta alla concorrenza globale, mercoledì 15 maggio 2022 è stato avanzato dalla Commissione europea un pacchetto di proposte a favore di nuovi investimenti nella difesa, con l’ulteriore scopo di favorire le industrie europee. Presentando il piano a Bruxelles, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha dichiarato: “Dobbiamo ridurre la nostra dipendenza [militare] dai paesi che non fanno parte dell’UE”, poiché attualmente l’Unione acquista circa il 60% delle sue risorse militari al di fuori dell’Europa.

Il commissario europeo per il Mercato interno, Thierry Breton, ha affermato che “dobbiamo davvero garantire che questi investimenti, finanziati dai contribuenti europei […] siano un beneficio, ove possibile e in primo luogo per l’industria europea”. Uno degli obiettivi del piano è quello di convincere i governi europei a collaborare su appalti congiunti, offrendo incentivi finanziari a tal fine. Borrell e la Commissione hanno affermato, in una comunicazione congiunta ad altri organismi dell’UE, che mirano a convincere i paesi a investire “insieme”, “meglio” e in ambito “europeo”.

Il piano dovrà, come banco di prova, trovare approvazione dei vari governi membri dell’UE, alcuni dei quali in passato si sono mostrati diffidenti nei confronti di tali proposte in materia di difesa comune, ritenendo che fossero pensate principalmente per rafforzare l’industria militare francese, la più grande del blocco. Le proposte si allineano alla prospettiva delineata dal Presidente francese Emmanuel Macron che punta sull'”autonomia strategica” dell’Unione, così da renderla capace di agire in modo indipendente sulla scena globale in un’ampia gamma di settori, incluso quello della difesa.

“L’idea [dietro il piano] è quella di incrementare il consenso europeo [intorno alla difesa comune], in buona parte anche il consenso francese”, ha detto un diplomatico.

Sebbene i trattati dell’UE vietino al blocco di utilizzare il proprio bilancio per operazioni militari, i funzionari insistono che la proposta sia giuridicamente valida in quanto si concentra su questioni come gli appalti e lo sviluppo industriale. I funzionari della Commissione, che da tempo spingono per un approccio più congiunto agli appalti europei sulla difesa, sostengono che l’attuale mercato dell’UE è troppo frammentato. Mentre gli Stati Uniti hanno un solo tipo di carro armato, l’UE ne ha 12, osservano. Temono che la fretta di spendere di più per la difesa possa portare a una frammentazione ancora maggiore.

Una delle idee contenute nella proposta avanzata dalla Commissione e da Borrell riguarda la creazione di una Defence Joint Procurement Task Force, una task force per gli appalti congiunti della difesa. Il progetto prevede un lavoro comune tra gli stati membri, con l’obiettivo di arrivare a un coordinamento comune, ed evitare così una gara tra le industrie europee per accaparrarsi gli ordini, scenario che “comporterebbe un aumento vertiginoso dei prezzi”.

La Commissione propone di stanziare 500 milioni di euro in due anni per sostenere l’appalto congiunto di armi, chiedendo anche alla Banca europea per gli investimenti di finanziare economicamente l’industria della difesa del continente. Questa cifra, hanno fatto notare i diplomatici, è esigua rispetto al livello di ambizione su cui si sta puntando. Per esempio, un singolo jet da combattimento francese Dassault Rafale costa circa 115 milioni di dollari.

I funzionari insistono sul fatto che il programma è solo un progetto pilota e sperano che il suo finanziamento possa essere ulteriormente potenziato nel prossimo futuro. Contando anche sul fatto che ingenti risorse saranno destinate dai bilanci nazionali ad alimentare la spesa militare. La guerra ha spinto, infatti, molti governi dell’UE ad annunciare aumenti della spesa per la difesa, per un importo di 200 miliardi di euro in più “nei prossimi anni”, secondo la Commissione. Inoltre, molti governi dell’UE, in particolare nell’Europa orientale, hanno inviato in Ucraina le loro scorte di armi risalenti al periodo dell’Unione Sovietica, il che significa che ora sono sul mercato per rifornire i loro arsenali con armi e attrezzature più moderne.

Grandi questioni restano comunque aperte: chi trarrà vantaggio dall’imminente e sfrenata corsa europea agli acquisti militari? Quante di queste armi verranno all’Europa dal gigantesco settore della difesa degli Stati Uniti? Non si tratta di domande retoriche, dato che molti governi vedono l’acquisto di armamenti statunitensi anche come un modo per garantirsi una protezione militare aggiuntiva da parte di Washington.

I funzionari insistono che ai paesi esterni è stato a lungo permesso di prendere parte ai progetti di difesa dell’UE. Citano ad esempio il patto Permanent Structured Cooperation (Cooperazione strutturata permanente – PESCO), istituito nel 2017 tra 25 stati membri dell’UE, a cui gli Stati Uniti hanno aderito nel 2021, per un progetto di mobilità militare del PESCO, che prevede misure per consentire uno spostamento più rapido delle truppe in tutta Europa.

“Non escludiamo la partecipazione di paesi terzi…ma ci sono delle regole” per tale partecipazione, ha affermato un alto funzionario dell’UE. Ma il funzionario ha anche avvertito che l’Europa non dovrebbe dipendere eccessivamente da fornitori esterni. “Abbiamo bisogno di sicurezza per la fornitura [di armamenti], questa è la questione-chiave per tutti gli stati membri. Dobbiamo, però, anche avere la libertà di agire. Non possiamo dipendere da nessun paese geograficamente esterno all’UE”, ha affermato il funzionario.

Al tempo stesso, molti funzionari hanno sottolineato che senza una politica estera comune, la libertà di agire militarmente rimane in gran parte teorica per l’Unione Europea. “Costruire una difesa comune deve essere accompagnato da una politica estera unitaria e da meccanismi decisionali efficaci”, ha infatti dichiarato di recente il Presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, al Parlamento europeo.

 

[Traduzione, con modifiche, di Maria Antonietta Abate e Valeria Spezia]

 

Fonte: Politico, 18 maggio 2022.