



A una settimana dall’alluvione che ha devastato la città libica di Derna, dopo che l’uragano Daniel ha fatto crollare due dighe a monte, la situazione resta molto grave.
Non c’è accordo sul numero delle vittime. Mentre le fonti ufficiali hanno annunciato 3.252 morti, le Nazioni Unite hanno parlato di circa 11.300 morti e almeno 10.100 dispersi. Le ricerche delle persone scomparse proseguono, anche in mare. Una volta recuperati, i corpi vengono ormai sepolti in fosse comuni.
Più di 30.000 persone sono senza casa. Dei 1.500 edifici danneggiati sui 6.100 totali, 891 sono completamente distrutti, 211 parzialmente distrutti e 398 sono sommersi dal fango. In tutta la città manca l’acqua potabile e almeno 55 bambini sono rimasti intossicati dopo aver bevuto acqua inquinata. Si teme l’esplosione di focolai di colera. Numerose organizzazioni umanitarie, da InterSOS a Medici Senza Frontiere, sono già mobilitate per portare sollievo alla popolazione. L’Unione Europea ha stanziato 5,2 milioni di euro in aiuti.
L’alto numero di vittime ha molte cause. Le autorità locali hanno sottovalutato i rischi connessi all’uragano (a sua volta collegato al cambiamento climatico) e non hanno predisposto un’evacuazione generale. Le dighe che hanno ceduto non erano oggetto di manutenzione da quasi due decenni: la guerra civile e la divisione di fatto della Libia, seguite all’intervento della NATO che nel 2011 ha messo fine al regime di Gheddafi, hanno ridotto gli investimenti pubblici nelle infrastrutture e nei sistemi di emergenza.
L’alluvione ha colpito una città già duramente segnata dalla violenza armata negli anni precedenti. Tradizionalmente ritenuta la capitale culturale della Cirenaica, tra il 2014 e il 2015 Derna è stata occupata dai miliziani di Daesh, per essere poi assediata fino al 2019 dalle truppe del generale Khalifa Haftar, di cui non voleva riconoscere l’autorità.
Fonti: Reuters, The Independent, Associated Press.