Sri Lanka: le elezioni presidenziali premiano la coalizione progressista
di Giovanni Rota
Breve inquadramento storico e demografico
Lo Sri Lanka, isola nell’Oceano Indiano situata a sud-est dell’India, ha una storia ricca e complessa che ha visto il contributo e l’interazione di popoli diversi, per lingue, culture, confessioni religiose.
I primi abitanti dell’isola sono stati i Vedda, comunità paleolitica risalente a 18.000 anni fa. I Singalesi sono giunti nel tardo VI secolo a.C., mentre il buddhismo è stato introdotto per la prima volta durante la metà del III secolo a.C. L’isola ha poi subito influenze significative da parte dei Tamil, provenienti dall’India meridionale, e dai commercianti arabi, che vi hanno introdotto la religione musulmana. Dall’inizio del XVI secolo, infine, si sono affacciate nel paese varie potenze coloniali europee, nella fattispecie portoghesi, olandesi e britannici.
Sono stati i portoghesi, che vi sono arrivati nel 1505, a chiamare l’isola Ceilão, nome da cui, per traslitterazione inglese, è derivato Ceylon: il nome assunto dal paese una volta ottenuta l’indipendenza dal Regno Unito, nel 1948. Nel 1972 il nome del paese è stato cambiato in “Repubblica libera, indipendente e sovrana dello Sri Lanka”. Il nome attuale deriva dalla parola sanscrita laṃkā, che significa “isola risplendente”, termine che compare già negli antichi racconti epici indiani Mahābhārata e Rāmāyaṇa.
Dall’indipendenza, la storia del paese è stata segnata da ricorrenti tensioni etniche e religiose, in particolare tra la maggioranza singalese (circa il 75% della popolazione) e la minoranza Tamil (circa il 15%), concentrata soprattutto nel nord e nell’est del paese (Cartina 1), cui si aggiungono altre due minoranze di dimensioni più piccole: una proveniente dall’India Occidentale, i Parsi; l’altra costituita dai discendenti degli aborigeni dell’isola, i Vedda. Le principali religioni attualmente professate nel paese includono i buddisti (prevalentemente Singalesi) e gli induisti (in gran parte Tamil). Altre minoranze religiose comprendono i musulmani, di lontana origine araba, e i cosiddetti burghers, discendenti dei coloni europei.
Cartina 1 – La composizione etnica dello Sri Lanka
Attualmente la popolazione ammonta a circa 22 milioni di abitanti (Grafico 1) su di una superficie di soli 65.610 km2 , dunque con un’elevata densità, di 325 ab/km2.
Grafico 1 – Andamento della popolazione dello Sri Lanka dal 2014 al 2023 (Fonte: Trading economics)
La crisi economica e politica del 2022
La lunga guerra civile tra il governo e le “Tigri Tamil”, che ha avuto luogo dal 1983 al 2009, ha lasciato profonde conseguenze negative sullo Sri Lanka, sia sul piano economico che sociale.
Ma è soprattutto negli ultimi anni che il paese ha vissuto la peggiore crisi economica dalla sua indipendenza. I problemi sono esplosi nel 2022 per effetto di una serie di fattori concatenati, tra cui una cattiva gestione della finanza pubblica, un pesante debito pubblico, le conseguenze della pandemia da Covid-19 soprattutto sul turismo, importante fonte di reddito per una parte consistente della popolazione.
Il governo del presidente Gotabaya Rajapaksa, col fratello Mahinda Rajapaksa come Primo ministro, ha subito pressioni crescenti, culminate in proteste di massa sfociate nel crollo dell’establishment politico. Il default del paese e l’intervento del Fondo Monetario Internazionale (FMI), con l’applicazione di misure anti-popolri di “aggiustamento strutturale” di stampo neoliberista, ha determinato l’inasprimento delle condizioni di vita: mancanza di beni essenziali, scarsità di carburante e blackout energetici prolungati hanno alimentato le proteste, ma hanno anche spinto alcune centinaia di migliaia di singalesi all’emigrazione (Grafico 1).
Il PIL procapite, che aveva raggiunto il suo massimo nel 2018 con un valore intorno ai 4.500 dollari, da quel momento ha iniziato a diminuire fino a precipitare sotto i 4.000 dollari nel 2023 (Grafico 2), nonostante i flussi migratori in uscita.
Grafico 2 – Andamento del PIL pro capite in Sri Lanka nel periodo 2014-2023 (Fonte: Trading economics).
L’elezione di Anura Kumara Dissanayake come svolta potenzialmente storica
Anura Kumara Dissanayake, noto nel paese con l’acronimo AKD, si è da poco insediato ufficialmente come nuovo presidente dopo aver vinto le elezioni presidenziali il 22 settembre scorso, con il 42,31% dei voti, corrispondenti a 5,7 milioni di preferenze. Il leader della coalizione progressista chiamata “Partito Nazionale del Popolo” (NPP) ha sconfitto il suo principale avversario, Sajith Premadasa, leader della coalizione centrista “Potere del Popolo Unito” (SJB), che ha ottenuto il 32,76% dei voti. Ranil Wickremesinghe, presidente uscente e veterano della politica singalese, si è fermato al terzo posto con il 17,3%. Quest’ultimo era stato designato Presidente ad interim dal Parlamento nel 2022, dopo le dimissioni di Gotabaya Rajapaksa, fuggito dal paese a causa delle violente proteste contro il suo governo, accusato di nepotismo e corruzione, e soprattutto di incapacità nella gestione della grave crisi economica.
Dissanayake, 55 anni, è il primo presidente di sinistra nella storia dello Sri Lanka: un fatto che segna un cambiamento politico significativo. La sua vittoria è stata possibile anche grazie al sistema elettorale a preferenze multiple, che consente agli elettori di indicare anche una seconda e una terza scelta. Oltre a essere in testa nella prima preferenza, Dissanayake ha raccolto un ampio sostegno anche nelle seconde preferenze, consolidando così la sua vittoria. Tra l’altro la partecipazione elettorale è stata alta, raggiungendo il 79%, a dimostrazione della profonda mobilitazione politica in un momento cruciale del paese.
Dal 2014 Dissanayake è leader del Fronte di Liberazione del Popolo (JVP), un partito in origine di matrice marxista-leninista, che ha attraversato una profonda trasformazione ideologica dopo la netta sconfitta alle elezioni del 2019, nelle quali aveva raccolto appena il 3% dei consensi. Il JVP, che negli anni Ottanta e Novanta è stato protagonista di due tentativi di insurrezione, ha gradualmente abbandonato la lotta armata e il suo programma rivoluzionario per abbracciare l’economia di mercato e un approccio riformatore di stampo socialdemocratico. Questo cambiamento, avvenuto in risposta alle sfide politiche del paese, ha portato alla scissione delle correnti più radicali del partito, ma ha anche reso il JVP una forza politica più inclusiva e pragmatica.
Durante la campagna elettorale, Dissanayake ha puntato molto sulle nuove generazioni, promettendo profonde riforme sociali, politiche ed economiche per rilanciare lo Sri Lanka e migliorare le condizioni di vita della popolazione. Tra le priorità del suo programma riformatore figurano il potenziamento del sistema educativo pubblico, il rafforzamento del welfare, la digitalizzazione del paese e la lotta alla corruzione. Sul piano istituzionale, ha espresso la volontà di abolire il sistema presidenziale in favore di una democrazia parlamentare.
In ambito economico, ha promesso il rilancio del settore agricolo, manifatturiero e tecnologico: un piano ambizioso, che dovrà confrontarsi con una realtà finanziaria molto complessa. Il debito estero dello Sri Lanka ammonta a circa 51 miliardi di dollari e il paese ha dichiarato “bancarotta” nel 2022 a causa dell’esaurimento delle riserve di valuta estera. L’isola si trova ancora in una crisi economica pesante, aggravata dalle politiche economiche fallimentari dei governi precedenti e dalle conseguenze della pandemia di Covid-19: uno dei settori più colpiti è stato il turismo, che rappresentava una delle principali fonti di valuta estera. La scarsità di risorse aveva portato nel 2022 a razionamenti di beni essenziali come il carburante, l’elettricità e i farmaci, spingendo una parte importante della popolazione sotto la soglia della povertà.
Nel marzo 2023 il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha concesso un prestito di tre miliardi di dollari al paese, ma finora ne è stato erogato solo un terzo. Dissanayake ha dichiarato di voler rinegoziare l’accordo con l’FMI per ridurre l’impatto sulla popolazione delle misure di austerity, che includevano un drastico taglio della spesa pubblica.
Il governo uscente, guidato da Wickremesinghe, era riuscito a ridurre l’inflazione dal 70% a meno dell’1% e aveva riportato il PIL a crescere, ma a costo di sacrifici enormi per le fasce più povere della popolazione, come l’aumento delle tasse, il taglio dei servizi pubblici e il razionamento dei beni essenziali.
Le sfide del nuovo governo
Lo Sri Lanka ha debiti significativi con diversi paesi, tra cui 4,3 miliardi di dollari con la Cina, 2,7 miliardi con il Giappone e 1,6 miliardi con l’India. La Cina, in particolare, ha fornito finanziamenti a lungo termine per numerosi progetti infrastrutturali, ma molti di questi sono rimasti incompiuti o non sono stati in grado di generare i ritorni economici sperati. Pechino ha adottato in passato una linea dura nelle trattative sui debiti, chiedendo risarcimenti immediati: una richiesta che lo Sri Lanka, in stato di default, non ha potuto finora soddisfare.
La prima e forse più impegnativa delle sfide che Dissanayake dovrà affrontare, dunque, riguarda proprio questa crisi del debito: il nuovo presidente dovrà trovare un equilibrio tra le richieste dei creditori internazionali e la necessità di proteggere i diritti fondamentali e il benessere della popolazione, il 25% della quale vive al di sotto della soglia di povertà estrema.
Oltre a Cina, Giappone e India, lo Sri Lanka deve affrontare la pressione di creditori privati e istituzioni finanziarie come il consorzio Ad-Hoc Group, responsabile della ristrutturazione di una parte del debito pregresso, pari a 17 miliardi di dollari.
Sul piano più strettamente politico, Dissanayake dovrà affrontare un Parlamento, eletto nel 2022, in cui la coalizione da lui guidata ha solo tre seggi. Durante il suo discorso inaugurale, il nuovo presidente ha affermato che scioglierà il Parlamento e indirà appena possibile nuove elezioni, per ottenere una maggioranza stabile e coerente con il suo orientamento politico: una condizione essenziale per attuare il suo ambizioso programma di riforme progressiste.
L’ascesa al potere di Dissanayake segna la fine definitiva della “dinastia” dei Rajapaksa, che ha dominato la scena politica singalese per quasi due decenni. La famiglia Rajapaksa ha accumulato nel corso del tempo grande potere ed enormi ricchezze, ma è stata alla fine travolta dalle proteste popolari scatenate dalla crisi economica, nonché dalle accuse di corruzione. Gotabaya Rajapaksa, presidente dal 2019, e suo fratello Mahinda, rispettivamente primo ministro e presidente per molti anni, sono stati costretti a dimettersi e a fuggire dal paese. La loro caduta ha segnato un momento cruciale nella storia recente dello Sri Lanka, dopo che la popolazione aveva letteralmente preso d’assalto il palazzo presidenziale nel luglio 2022, chiedendo un cambiamento radicale.
Il successo di Dissanayake esprime per la maggioranza del paese una speranza di rinascita dopo anni di cattiva gestione economica, dilagante corruzione e frequenti crisi politiche. Tuttavia, le sfide economiche e sociali restano proibitive: se vuole mantenere le promesse fatte in campagna elettorale, il nuovo presidente dovrà elaborare una strategia articolata, capace di gestire sia il “fronte interno” che quello internazionale.
La svolta dello Sri Lanka, con le dovute differenze, può essere messa a confronto con quella che si è verificata nei mesi passati in Argentina, di cui costituisce per molti aspetti l’esatto opposto: nel paese latino-americano, in un contesto di grave crisi economica e di inflazione fuori controllo, il paese ha virato decisamente a destra con l’elezione dell’economista “ultraliberista” Javier Milei che, in campagna elettorale, aveva promesso l’abolizione della banca centrale, la dollarizzazione dell’economia, massicce privatizzazioni e drastiche riduzioni alla spesa pubblica. In quel contesto, anche una parte della popolazione colpita dalla crisi e dalle politiche draconiane imposte dal FMI, a seguito del prestito di ben 45 miliardi di dollari acceso nel 2018 dal presidente liberista Macri, ha sostenuto questa svolta in mancanza di alternative credibili.
In Sri Lanka, invece, Dissanayake ha convinto la maggioranza dell’elettorato proprio con un programma progressista, fondato sulla giustizia sociale, sul rafforzamento del welfare e dell’istruzione pubblica, e su una maggiore cura per i settori più vulnerabili della società, invertendo la tendenza verso le privatizzazioni e le politiche di austerità.
Mentre l’Argentina ha scelto di affidarsi a un modello sociale ed economico di puro mercato che, al momento, sta ulteriormente aggravando le già drammatiche condizioni di una buona parte della società, lo Sri Lanka ha optato per una direzione opposta. I due esiti elettorali evidenziano come paesi molto diversi, accomunati da una medesima crisi del debito, con inflazione fuori controllo ed elevata povertà, in presenza di governi uscenti ricorsi entrambi a onerosi prestiti del Fondo Monetario Internazionale, possano adottare soluzioni politiche diametralmente opposte, in base all’esistenza o meno di credibili alternative a difesa delle fasce sociali più deboli.
Giovanni Rota è membro del Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati (GIGA).