sabato, Aprile 27, 2024
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Senegal: il “caso Sonko” e la rinuncia di Macky Sall a un terzo mandato

di Amadou Makhtar Mbodj 

Il Senegal vive una fase di forti tensioni politiche e sociali. A due anni di distanza dalla prima udienza, è stato riaperto e rapidamente chiuso tra la fine di maggio e l’inizio di giugno il caso noto come Sweet Beauty, che ha visto imputato Ousmane Sonko, leader del PASTEF e candidato alle elezioni presidenziali senegalesi del 2024. La notizia della condanna – per “corruzione di giovani”, non per stupro – ha suscitato tra i sostenitori di Sonko forti proteste, duramente represse dalle forze dell’ordine e accompagnate da limitazioni nell’accesso a internet e ai social. 

A distanza di un mese dalla sentenza, lunedì 3 luglio, il Presidente in carica Macky Sall ha annunciato di rinunciare a correre per un terzo mandato nel 2024. La prospettiva di una sua ricandidatura aveva suscitato le forti critiche delle opposizioni e il sospetto che il “caso Sonko” fosse politicamente motivato, ossia che l’incriminazione del leader dell’opposizione avesse lo scopo di escludere un candidato temibile dalla competizione elettorale. 

Con l’annuncio di Sall, ma con Sonko condannato e in attesa di essere arrestato, la crisi democratica in Senegal può dirsi conclusa? Quali sono stati gli eventi più significativi di questo ultimo mese? E quali sono le cause profonde del disagio che periodicamente ha spinto migliaia di giovani senegalesi a protestare? 

La condanna di Sonko e le proteste dei suoi sostenitori 

Ousmane Sonko era stato accusato nel 2021 di violenza sessuale e minacce ai danni di Adji Sarr, dipendente di un centro massaggi chiamato appunto Sweet Beauty. Prosciolto dall’accusa di stupro, Sonko è stato alla fine dichiarato colpevole di “corruzione dei giovani”, ossia di un “comportamento immorale nei confronti di una persona di età inferiore ai 21 anni”, e condannato a 2 anni di reclusione e a 20 milioni di franchi CFA (circa trentamila euro) di risarcimento alla donna. La condanna lo rende formalmente incandidabile alle prossime elezioni presidenziali. 

Il dispositivo della sentenza è stato reso pubblico lo scorso 1. giugno. L’arresto non è ancora avvenuto, ma potrebbe aver luogo nelle prossime settimane. Sonko si trova attualmente nella sua abitazione a Zuiguinchor, protetto dalla cittadinanza e dalle sue guardie personali. Si è sempre dichiarato innocente, denunciando il processo come una “cospirazione governativa” contro di lui. 

Il Ministro della Giustizia, Ismaila Madior Fall, è intervenuto pubblicamente sulla questione: Sonko non è stato ancora stato arrestato perché la decisione del tribunale deve essere ancora trascritta e pubblicata. “Abbiamo ricevuto soltanto l’estratto della sentenza. I giudici devono ancora scrivere per esteso la loro decisione. Quando il mandato d’arresto non viene emesso, il condannato sta nel proprio domicilio, finché non intervengono le autorità incaricate di eseguire l’ordine del tribunale”. 

Quando si è diffusa la notizia della condanna e dell’imminente arresto di Sonko, la risposta dei suoi sostenitori, soprattutto giovani e disoccupati, non si è fatta attendere: a centinaia si sono riversati nelle strade di Dakar e del paese in segno di protesta, sostenendo che la condanna fosse “politica”, finalizzata a bloccare la corsa del loro leader alla presidenza contro Macky Sall, attualmente in carica.  

Dopo che la polizia ha sparato gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti, le proteste si sono fatte più violente, così come la reazione delle forze dell’ordine. Secondo le dichiarazioni ufficiali del governo, i morti sarebbero stati 16; secondo Amnesty International, invece, le persone uccise sarebbero almeno 23. Ci sarebbero, inoltre, stati oltre 350 feriti e 500 arresti. “Le persone arrestate erano principalmente soggetti armati e pericolosi”, ha dichiarato Ibrahima Diop, commissario responsabile della pubblica sicurezza, aggiungendo che alcuni degli arrestati erano in possesso di coltelli, armi da fuoco e bombe molotov. 

Per contrastare le proteste, il giorno stesso della sentenza il governo ha sospeso le trasmissioni dei canali Walfadjri, SenTv e WalfTv, che stavano diffondendo notizie sugli sconti. Nei giorni successivi il Ministro dell’Interno, Antoine Felix Abdoulaye Diome, ha confermato che anche i social media e le applicazioni di messaggistica erano state bloccate in molte regioni del paese per “limitare la diffusione di fake news” e di “messaggi sovversivi incitanti all’odio e alla violenza”. Secondo i dati divulgati da Netblocks, un osservatorio indipendente sulla libertà in rete, dopo avere limitato dal 1. giugno l’uso dei social, le autorità senegalesi hanno effettivamente imposto dal 4 giugno anche l’interruzione di internet da telefonia mobile. 

Il 15 giugno scorso il Ministro della Giustizia ha tentato di giustificare la scelta del governo di limitare l’accesso alla rete: “Internet è uno spazio aperto, dove ci sono molti pericoli a cui possono essere esposti gli utenti, soprattutto quelli più vulnerabili come i minori. La sospensione di internet può essere un modo per garantire la sicurezza di un paese. Il nostro obiettivo è garantire la sicurezza e la pace. E, comunque, si tratta di una misura temporanea”. 

Una lunga stagione di proteste e di polemiche 

Il Senegal è uno dei paesi africani in cui, finora, la democrazia è stata sostanzialmente garantita. Il “caso Sonko” e le repressioni delle proteste seguite alla sua condanna, potrebbero costituire un punto di svolta, mettendo a rischio la tenuta democratica del paese? Come si è arrivati a questa situazione di crisi? E come se ne potrà uscire in modo pacifico? Una breve ricostruzione degli eventi, soprattutto delle proteste di piazza e delle loro motivazioni, può aiutare a fornire qualche risposta. 

Ousmane Sonko si era già presentato alle elezioni nel 2019, guadagnando da subito l’attenzione pubblica come il più giovane politico della storia senegalese a correre per la carica di Presidente. Ha perso le elezioni, arrivando terzo dopo Idrissa Seck e dopo l’attuale presidente, Macky Sall. Nonostante la sconfitta, è stato chiaro che si trattava di una candidatura credibile per una futura presidenza. Sonko ha conquistato, infatti, un forte sostegno popolare, in particolare tra i giovani e nelle fasce sociali meno privilegiate, portando avanti una piattaforma politica basata sulla lotta alla corruzione, sulla promozione della giustizia sociale ed economica, sulla difesa degli interessi dei lavoratori e delle lavoratrici. 

All’inizio del 2020, il Presidente Sall ha messo in discussione la riforma costituzionale, da lui stesso proposta e approvata nel corso del primo mandato, con cui si fissava il limite massimo di due mandati presidenziali: Sall ha iniziato a sostenere di avere diritto a un ulteriore mandato, in quanto era già Presidente quando la riforma è entrata in vigore, considerando quello in corso come il suo primo mandato.  

La possibilità di una ricandidatura da parte di Sall è stata da subito oggetto di forti critiche da parte dell’opposizione politica e della piazza. Non era la prima volta che un caso del genere suscitava proteste in Senegal. Nel gennaio 2011 la Corte costituzionale aveva stabilito che il Presidente allora in carica, Abdoulaye Wade, eletto nel 2000, potesse ricandidarsi per un terzo mandato. Lo stesso Wade aveva fatto cambiare la Costituzione, introducendo un limite di due mandati ma, essendo la norma entrata in vigore durante il suo primo anno in carica, riteneva anche lui di potersi ricandidare. 

Le proteste erano esplose nel giugno 2011 contro un ulteriore emendamento costituzionale, voluto dal Presidente Wade, per creare la carica di Vicepresidente: l’opposizione ha subito denunciato questa proposta come un tentativo di Wade, allora ottantacinquenne, per preparare la successione per il figlio Karim. Proprio le proteste di piazza avevano portato al ritiro di quella proposta

Nella primavera 2021 il paese aveva vissuto un’altra stagione di proteste popolari giovanili. Sonko, membro del Parlamento, era stato privato dell’immunità parlamentare e arrestato con l’accusa di stupro e minacce ai danni di Adji Sarr, per fatti avvenuti tra il dicembre del 2020 e il febbraio del 2021 nel salone di bellezza Sweet Beauty. Alla notizia dell’arresto, i sostenitori di Sonko si erano riversati nelle strade di Dakar in protesta contro il presidente Sall e contro la polizia. 

In quella prima ondata di manifestazioni i giovani sostenitori di Sonko hanno preso di mira vari edifici pubblici, come municipi e stazioni di polizia, sfidando le forze dell’ordine e assaltando lo stesso palazzo in cui era detenuto il leader dell’opposizione. I manifestanti hanno preso di mira anche le sedi di alcune società francesi, come Auchan e Total, accusando il governo di Parigi di colludere col Presidente senegalese per colpire il suo principale avversario politico e garantirgli un terzo mandato. Le proteste hanno suscitato una dura repressione da parte della polizia, criticata dalle organizzazioni per i diritti umani, mentre il Ministro dell’Interno giustificava l’intervento affermando che non meglio specificate “forze occulte” si erano infiltrate nelle manifestazioni giovanili. Il bilancio finale è stato di 14 morti e un centinaio di feriti. 

Le manifestazioni della primavera 2021 hanno dato voce alle frustrazioni delle giovani generazioni senegalesi. Esposti a crescenti difficoltà socio-economiche, i più giovani hanno perso progressivamente la fiducia nel governo e nei leader politici tradizionali. Sullo stato di tensione giovanile ha certamente influito anche la pandemia di Covid-19, che ha peggiorato la precaria situazione del paese, soprattutto per quanto riguarda l’occupazione e la qualità dell’istruzione. Già prima delle proteste a sostegno di Sonko, nel gennaio 2021, erano state organizzate proteste contro la reintroduzione del coprifuoco notturno, mentre la somministrazione dei vaccini procedeva a rilento. Le interruzioni del normale funzionamento dell’attività economica, dovute alle misure anti-Covid, hanno colpito in modo particolarmente duro il settore informale, ma le misure compensative del governo Sall sono state giudicate insufficienti. 

A essere messa in questione dall’opposizione e dai giovani in piazza è stata soprattutto l’indipendenza della magistratura: molti sostenitori di Sonko erano – e restano – convinti che i magistrati siano al servizio del partito di governo e del Presidente in carica. Come prova adducono il caso di Seydina Fall, membro del Parlamento e stretto alleato di Sall, che dopo essere stato condannato per traffico di banconote false è stato liberato solo pochi mesi dopo, senza scontare integralmente la pena. 

In quegli stessi mesi, la dipendente di Sweet Beauty Adji Sarr è stata oggetto di attacchi mediatici molto pesanti e la veridicità della sua testimonianza è stata contestata. Ada Hagne Dia, vicepresidente dell’associazione degli avvocati senegalesi, è intervenuta pubblicamente per portare l’attenzione sul “massacro mediatico” a cui è stata esposta l’accusatrice di Sonko, che ha richiamato l’attenzione sul fatto che nel paese sia ancora molto acerba la cultura politica e giuridica che criminalizza lo stupro.  

Anche un gruppo di femministe senegalesi ha recentemente preso parola sul caso, criticando le dichiarazioni di Sonko volte a denigrare la sua accusatrice utilizzando stereotipi razzisti, sessisti e abilisti: “paragonare Adji Sarr a una “scimmia” – scrivono – è uno stereotipo misogino, un’etichetta che è stata storicamente utilizzata dai suprematisti razzisti per degenerare e disumanizzare i neri in tutto il mondo. Usare un tale espressione per una donna senegalese è degradante: è il peggior insulto in un momento in cui i neri di tutto il mondo stanno ancora combattendo per la nostra umanità contro il pregiudizio razziale e la violenza razzista”. 

Macky Sall rinuncia a tentare un terzo mandato presidenziale 

La rabbia sociale giovanile provocata dal “caso Sonko” mostra, da un lato, le fragilità del sistema politico senegalese, ma anche la reattività della cittadinanza e delle giovani generazioni rispetto alle minacce, anche solo percepite, al sistema democratico. 

Il caso Sweet Beauty ha sollevato accese discussioni perché la condanna definitiva renderebbe il leader dell’opposizione incandidabile alle elezioni presidenziali del 2024. Non sarebbe, per altro, la prima volta che il presidente in carica Sall viene accusato di ostacolare le candidature degli oppositori: nel 2019 una situazione simile tagliò fuori dalla corsa alla presidenza il quotato Karim Wade, figlio dell’ex presidente Abdoulaye Wade

Le proteste scaturite dal “caso Sonko” hanno sempre avuto sullo sfondo l’intenzione di Sall di ricandidarsi per un terzo mandato. Da questo punto di vista, l’annuncio a sorpresa del Presidente in carica, la sera del 3 luglio, di non candidarsi alle prossime elezioni può essere interpretata come una vittoria della piazza e delle opposizioni.  

“Miei cari concittadini. La mia decisione, dopo una lunga riflessione, è di non candidarmi alle elezioni del 25 febbraio 2024. E questo anche se la Costituzione me ne dà il diritto”, ha detto Sall nel suo discorso televisivo, facendo riferimento a una decisione del Consiglio costituzionale del 12 febbraio 2016. “Il Senegal è più di me ed è pieno di leader capaci di portare avanti lo sviluppo del paese”, ha aggiunto, promettendo di impegnarsi fino all’ultimo giorno del suo mandato per lo sviluppo e il benessere del paese, “in un momento di difficoltà e incertezze socio-economiche”. 

Sall ha parlato molto di sicurezza e pace nel suo discorso. Definite “insostenibili” e “imperdonabili”, le violenze di piazza “hanno messo alla prova la nostra coesione sociale”, “causando morti e feriti e la massiccia distruzione di beni pubblici e privati”, ha affermato il presidente. “L’obiettivo disastroso dei mandanti era chiaro”: “seminare il terrore e fermare il Paese”, ha anche detto, parlando di una “criminalità organizzata contro la nazione senegalese, contro lo Stato, contro la repubblica”. 

Diverso il tono delle opposizioni. La vicepresidente del partito PASTEF, Yassine Fall, si è congratulata con il popolo senegalese per la sua determinazione nel protestare contro la possibilità di un terzo mandato di Sall. Il giorno prima del discorso, lo stesso Ousmane Sonko aveva esortato i suoi sostenitori a promuovere manifestazioni di massa per fermare la ricandidatura del presidente uscente. Particolarmente severo il giudizio dell’ex capo del governo, Aminata Touré: “Non è un favore che il presidente Macky Sall fa al Senegal, annunciando di non correre per un terzo mandato; è di fronte al clamore generale (…) che ha dovuto fare marcia indietro. Avrebbe potuto risparmiarci questi momenti difficili e in particolare la morte di 16 manifestanti. Rimaniamo vigili perché vogliamo organizzare elezioni inclusive, libere e trasparenti”, ha dichiarato. Déthié Fall, presidente del Partito Repubblicano per il Progresso, infine ha invitato il presidente a liberare tutti i prigionieri politici nel paese, compreso Sonko. 

Se la fase più acuta delle proteste sembra al momento passata, resta aperta proprio la questione del leader dell’opposizione, ancora chiuso nella sua casa a Zuiguinchor. È molto improbabile che le forze dell’ordine eseguiranno il suo arresto: il rischio di arrivare a uno scontro molto sanguinoso con la popolazione di una delle città più importanti del paese appare troppo elevato, specialmente per il Presidente uscente che vuole accreditarsi come l’uomo della pacificazione nazionale. E preparare la sua successione. 

La speranza di una parte importante del popolo senegalese resta comunque quella che il caso Sonko venga riesaminato e che il giovane leader dell’opposizione possa candidarsi alle prossime elezioni. 

Amadou Makhtar Mbodj studia Informatica all’Università di Pisa e collabora attualmente con il Centro Interdisciplinare “Scienze per la Pace” e in particolare con Scienza & Pace Magazine.