martedì, Aprile 8, 2025
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Rifiutarsi di partecipare al genocidio: intervista a un’obiettrice transgender israeliana

Il 19 marzo 2025 Ella Keidar Greenberg, attivista transgender diciottenne, è stata incarcerata per essersi rifiutata di prestare servizio nell’esercito israeliano, dichiarandosi obiettrice di coscienza. Il suo gesto si inserisce in un contesto politico e sociale segnato da crescenti tensioni, violenze sistemiche e repressione delle voci di dissenso. La sua scelta pubblica di rifiutare l’arruolamento, accompagnata da un’esplicita condanna delle operazioni militari condotte da Israele nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, ha fatto emergere nuove forme di resistenza che coniugano attivismo pacifista, lotta queer e impegno anticoloniale. La vicenda di Keidar Greenberg mette in luce anche il fenomeno del pinkwashing, ovvero la strumentalizzazione dei diritti LGBTQ+ da parte dello Stato israeliano per promuovere un’immagine internazionale di apertura e progresso, celando al contempo le pratiche di discriminazione e oppressione nei confronti della popolazione palestinese. In tale quadro, l’identità transgender dell’attivista assume una doppia valenza: da un lato, incarna la condizione di vulnerabilità e di esclusione all’interno di un sistema repressivo; dall’altro, diventa l’emblema di una soggettività politica che rifiuta la normalizzazione della violenza e che si oppone attivamente alla militarizzazione della società.

La detenzione di Keidar Greenberg – che condivide la sorte riservata a tutti i refusenik, ossia coloro che decidono di fare obiezione di coscienza alla leva militare obbligatoria – ha sollevato un ampio dibattito pubblico, anche a causa delle condizioni di detenzione a cui è stata sottoposta, tra cui il temporaneo diniego dei trattamenti ormonali e l’isolamento. Diversi osservatori e organizzazioni per i diritti umani hanno denunciato il trattamento punitivo riservato agli obiettori e, in particolare, alle persone trans, evidenziando l’assenza di protocolli adeguati e il persistere di discriminazioni sistemiche all’interno delle strutture militari israeliane. Nell’articolo che segue, pubblicato su +972 Magazine, il giornalista e fotoreporter israeliano Oren Ziv, noto per il suo lavoro su tematiche sociali e diritti civili, ha intervistato Keidar Greenberg prima del suo incarceramento: la sua vicenda offre uno specchio attraverso cui comprendere criticamente il funzionamento della società israeliana attuale, ma anche l’odio virulento che le destre mondiali riservano alle persone trans.

 

di Oren Ziv

Alcune settimane fa Ella Keidar Greenberg, 18 anni, è stata condannata a 30 giorni di prigione militare per essersi rifiutata di arruolarsi nell’esercito israeliano. Prima obiettrice di coscienza apertamente transgender in un decennio, Keidar Greenberg ha dichiarato il suo rifiuto al centro di reclutamento militare di Tel Hashomer, nei pressi di Tel Aviv, il 19 marzo, argomentando la sua opposizione ideologica all’occupazione e all’attacco di Israele a Gaza. La donna è stata accompagnata da attivisti della rete degli obiettori di Mesarvot e della Lega dei Giovani Comunisti (nota con l’acronimo ebraico “Banki”), che hanno tenuto una protesta di solidarietà vicino all’ingresso della base.

“Di fronte a una realtà di sterminio di massa, di abbandono sistematico, di negazione dei diritti, di guerra – l’imperativo è l’obiezione”, ha affermato Keidar Greenberg leggendo la sua dichiarazione pubblica, prima di essere portata in prigione. “Quando i nostri nipoti ci chiederanno cosa abbiamo fatto durante il genocidio di Gaza, se ci siamo arresi o se abbiamo combattuto, come rispondereste? Io so cosa risponderò: che ho scelto di resistere! È per questo che mi oppongo”.

Riflettendo sul legame tra la sua identità di genere e la sua visione politica, Keidar Greenberg ha spiegato: “Affinché lo status quo continui a funzionare, le persone devono svolgere ruoli determinati all’interno del sistema, come gli ingranaggi di una macchina ben oliata. Dobbiamo lavorare, arruolarci nell’esercito, uccidere, sposarci, mettere su famiglia e avere figli che continuino l’occupazione, il capitalismo e il patriarcato. Questa è la logica che le persone trans, [proprio] come i refuseniks, compromettono. Per questo facciamo così paura, perché il sistema esistente e la sua riproduzione sono assicurati da noi, il popolo, che resta disciplinato e obbediente”.

Il servizio militare è obbligatorio per israeliani e israeliane di età superiore ai 18 anni, con coscrizione di due anni per le donne e di quasi tre per gli uomini. I cittadini palestinesi sono esonerati, mentre è in corso una disputa politica e legale sull’esonero di lunga data degli ebrei ultraortodossi.

L’obiezione di coscienza è estremamente rara e spesso l’esercito condanna i renitenti a diversi periodi di incarcerazione, come forma di punizione, prima di rilasciarli. Keidar Greenberg è la decima giovane israeliana a essere imprigionata per aver rifiutato pubblicamente la leva per motivi ideologici dal 7 ottobre [2023, ndr]. In questo lasso di tempo risulta che l’esercito abbia aumentato il tempo di detenzione imposto agli obiettori; Itamar Greenberg, il prigioniero detenuto più a lungo durante la guerra a Gaza, è stato rilasciato all’inizio di questo mese dopo 197 giorni di prigione – la pena più lunga in oltre dieci anni.

Dopo l’inizio della detenzione di Keidar Greenberg, Yadin Elam, suo avvocato, ha dichiarato a +972 Mag che l’esercito ha impedito alla sua assistita di portare con sé i suoi farmaci, compresi gli ormoni. “È detenuta da sola in una cella dell’unità femminile senza televisione, senza porta del bagno e con il tetto che perde”, ha detto Elam. “Preferirebbe essere in una cella condivisa con altre detenute”.

 

Ella Keidar Greenberg con una folla di amici, familiari e attivisti fuori dal centro di reclutamento Tel Hashomer, prima della sua dichiarazione di obiezione alla leva, 19 marzo 2025 (©Oren Ziv).

 

Keidar Greenberg ha deciso di diventare obiettrice di coscienza in giovane età. Negli ultimi anni ha partecipato attivamente alle proteste contro la riforma giudiziaria del governo di estrema destra, insieme ad altre ragazze e ragazzi che si oppongono all’occupazione. Ha partecipato alla redazione della lettera di rifiuto “Youth Against Dictatorship” nel 2023, che collegava la revisione del sistema giudiziario al dominio militare di Israele sui palestinesi. È attiva anche nel Banki e Mesarvot. L’organizzazione esiste dal 2015 e ha partecipato alle proteste contro la transfobia, i ricatti dell’esercito alla cominità LGBTQ+ palestinese e il pinkwashing alle marce del gay pride israeliano.

In un’intervista rilasciata prima della sua incarcerazione, Keidar Greenberg ha parlato a +972 Mag del suo percorso verso l’obiezione di coscienza, del suo attivismo contro l’occupazione israeliana, della sua solidarietà con la comunità LGBTQ+ palestinese e del suo messaggio alla comunità queer di Israele.

 

Puoi descrivere il processo che ti ha portata a opporti al servizio militare?

Fin da piccola sapevo che non avrei mai impugnato un’arma o fatto del male alle persone. Avevo un’avversione alla violenza. Ma per lo più ho accettato quello che mi dicevano gli adulti presenti nella mia vita: che ci sono altri modi per servire [nell’esercito israeliano], che ci sono tutti i tipi di ruoli da non combattente.

A 14 anni ho fatto coming out [come persona trans] e poi ho trovato Il manifesto del Partito Comunista nella biblioteca di mia nonna. Questo è successo durante la quarantena del COVID-19. Non avevo contatti con i compagni di liceo online e non avevo molti amici, quindi ciò che facevo – tutto il giorno, tutti i giorni, per due anni – era leggere.

Questo ha aggravato il mio sconforto, sia personale che politico. Ero consumata da quanto il mondo fosse incasinato e provavo un’immensa frustrazione, come se non avessi il potere di cambiare nulla.

Poi, all’inizio del 2023, sono iniziate le proteste contro il colpo di stato giudiziario e improvvisamente ho avuto uno sbocco per incanalare la mia frustrazione in azione. Ho incontrato altri ragazzi e ragazze e insieme abbiamo formato il Youth Bloc Against Occupation. Da lì ho continuato ad andare avanti. In seguito, io e i miei amici abbiamo organizzato una protesta contro il lancio di Irreversible Damage [un libro contro le persone trans, scritto da un autore statunitense e tradotto per essere poi pubblicato in ebraico].

 

Israeli protesters during an anti-government demonstration, Tel Aviv, July 20, 2023. (Oren Ziv)
Manifestanti israeliani protestano contro il governo, Tel Aviv, 20 luglio 2023 (©Oren Ziv)

 

Infine sono stato coinvolta in Mesarvot dopo aver incontrato Einat [Gerlitz, che ha scontato 87 giorni di prigione per aver rifiutato la leva nel 2022] durante una protesta a Gerusalemme. In realtà ci conoscevamo già, eravamo nella Israel Gay Youth quando avevo 13 anni. Dopodiché, sono stata coinvolta in Banki e poi in Youth Against Dictatorship. Il mio percorso verso l’attivismo si è svolto in concomitanza con l’aumento delle proteste contro la riforma del sistema giudiziario. All’età di 16 anni sapevo che mi sarei opposta a prescindere.

 

Sei stata coinvolta anche nell’attivismo contro l’occupazione in Cisgiordania. Che effetto ha avuto su di te?

Ho trascorso circa metà dell’estate tra l’undicesimo e il dodicesimo anno scolastico a Masafer Yatta e in varie proteste a Beit Dajan, Farkha [un villaggio agricolo comunista in Cisgiordania] e Sheikh Jarrah. Queste esperienza hanno avuto un particolare impatto su di me. L’attivismo sperimentato a Masafer Yatta, così come il nostro lavoro a Farkha, ha cambiato il mio modo di vivere e affrontare l’ingiustizia politica.

Non ha cambiato di molto la mia decisione rispetto alla leva. Tuttavia successivamente, quando mio zio discuteva con me durante le cene di famiglia, ha rafforzato la mia convinzione di oppormi all’occupazione. Mi ha anche resa più emotivamente coinvolta; ho avuto modo di conoscere e interagire con persone colpite dalla situazione, come ne ero colpita io stessa.

Penso che se prima avevo un’opposizione di principio, oggi provo anche risentimento, rabbia e collera nei confronti dell’IDF e della polizia, a causa della realtà che ho vissuto in prima persona.

 

Come hanno reagito le persone intorno a te alla tua decisione di fare obiezione di coscienza?

Fino ad ora la maggior parte delle persone non lo sapevano, mentre alcuni di loro lo scopriranno quando vedranno articoli su di me. Mia madre – la persona più importante – condivide pienamente le mie idee, ma non era d’accordo con l’idea che andassi in prigione. Le ho detto chiaramente che l’avrei fatto, a prescindere da tutto, e la questione era se mi avrebbe appoggiata o meno. Poi è stato molto chiaro per lei [che lo avrebbe fatto].

 

Conscientious objector Ella Keidar Greenberg says goodbye to friends and family as she enters the Tel Hashomer recruitment center, March 19, 2025. (Oren Ziv)
Ella Keidar Greenberg saluta amici e familiari prima di entrare nel centro di reclutamento Tel Hashomer, 19 marzo 2025 (©Oren Ziv)

 

Hai detto di aver preso la tua decisione molto tempo fa. Come ha influito su di essa la guerra su Gaza?

Prima della guerra, c’era qualcosa di molto simbolico in questo [rifiuto]: ci rifiutiamo di servire un regime che fa questo e quello, e lo facciamo pubblicamente. Dopo l’inizio della guerra, è diventato molto più semplice: c’è un genocidio in corso, non ci si arruola in un esercito che sta commettendo un genocidio.

Tutto sembra allo stesso tempo più urgente e più disperato, ma è politicamente molto più chiaro e richiede meno discussioni. È molto evidente quale sia la cosa giusta da fare di fronte a un genocidio: opporsi.

 

Sei stata molto attiva durante le proteste contro la riforma giudiziaria. All’epoca si aveva la sensazione di poter parlare con la gente di qualsiasi cosa, anche dell’occupazione, e molti manifestanti erano aperti a questi messaggi. Ora le cose sono diverse. Come vedi la possibilità di discutere di questi temi con i giovani adesso?

Durante le proteste c’era un incredibile senso di speranza. Ogni settimana, sempre più persone si univano al blocco giovanile, e alcune di loro diventavano anche più attive. Azioni come la Youth Against Dictatorship – una lettera di studenti dell’ultimo anno delle scuole superiori, che normalmente non avrebbe ottenuto molta attenzione – hanno avuto grande copertura dai media israeliani. Vedere le persone che ho conosciuto in quegli spazi diventare attive in altri movimenti è stato molto stimolante e incoraggiante.

Dopo il 7 ottobre c’è stato il caos. All’inizio le reazioni sono state molto emotive: rabbia e trauma. Ma ora siamo in un momento in cui, dopo che la crisi ha mandato in frantumi il vecchio sistema di valori, lo Stato sta cercando di stabilirne e cementarne rapidamente uno nuovo, manipolando queste emozioni nella propaganda nazionalista. Credo che sia proprio questo il momento di reagire, per evitare che tutto ciò si normalizzi e per impedire che questo tipo di violenza si inserisca in modo permanente nel discorso pubblico.

La gente continua a venire [a protestare]. Ci sono più refuseniks di prima, e a ogni azione con Banki ci sono nuove persone. C’è ancora speranza.

 

A crowd of friends, family, and activists holds a solidarity protest in support of Ella Keidar Greenberg outside the Tel Hashomer recruitment center, before she declares her refusal to enlist in the Israeli army, March 19, 2025. (Oren Ziv)
Proteste fuori Tel Hashomer in supporto di Ella Keidar Greenberg, prima del suo rifiuto all’arruolamento. 19 marzo 2025 (©Oren Ziv).

 

Il tuo rifiuto ha anche una motivazione queer o trans?

Il collegamento più evidente è che i sistemi contro cui lottiamo sono gli stessi. Come persone trans, sfidiamo lo stesso sistema di ruoli rigido, patriarcale e binario che ci impone di servire queste strutture di uomini e donne, padri e madri, che producono una nuova generazione di soldati e lavoratori. Sconvolgiamo questo sistema, ed è per questo che spaventiamo così tanto il regime e siamo un facile capro espiatorio a cui continuano a ricorrere.

Penso che chi rifiuta la leva sfidi la narrazione militare israeliana in modo simile, perché non soddisfiamo il ruolo che ci è stato assegnato. Non credo sia una coincidenza che io sia stata portata a mettere in discussione sempre più assunti fondamentali dopo aver infranto uno dei più elementari. E sì, per me, come persona trans, voglio la libertà: per me e per tutti. Non sono interessata a un “uguale diritto” di opprimere gli altri [prestando servizio nell’esercito] o a un chiaro lasciapassare per entrare nel sistema esistente – per essere nelle file dello Stato, invece di opporsi ad esso.

Penso che la lotta per essere inclusi nelle strutture di potere piuttosto che smantellarle sia sbagliata. Abbiamo visto per anni come questo sia fallito ripetutamente – e in particolare all’interno del movimento queer.

 

Qual è il tuo messaggio alla comunità LGBTQ+ mainstream, molti dei quali sostengono l’esercito e la guerra?

Alle Forze di difesa israeliane non interessano le persone trans, né i gay, le lesbiche o i queer. All’IDF interessano il potere e il capitale. Può sembrare progressista su questi temi per i soldati che ne fanno parte, ma ovviamente questo non vale per i palestinesi queer che opprime.

 

Attivisti protestano contro il pinkwashing durante il pride di Tel Aviv, 8 giugno 2023 (©Oren Ziv)

 

L’esercito offre alle persone trans una sorta di sicurezza: condizioni migliori di quelle che possono ottenere nelle loro famiglie, nelle loro città di origine o sul mercato del lavoro. Questo è voluto. Serve a promuovere l’immagine dell’IDF e il suo ruolo all’interno dello Stato. E questo gli permette di neutralizzare la comunità LGBTQ+ – di trasformarci in omo-nazionalisti per evitare che diventiamo queer anti-nazionalisti. Disprezzo tutto questo. Penso che sia cinico e disgustoso.

 

Hai partecipato anche a proteste contro il trattamento riservato dall’esercito ai palestinesi LGBTQ+. Puoi dirci di più?

Ad aprile 2023, un uomo palestinese è stato ucciso [da membri del gruppo militante Lion’s Den a Nablus] quando si è scoperto che era un informatore dell’IDF, dopo che [l’esercito] lo aveva ricattato con video che lo ritraevano con un altro uomo. Abbiamo organizzato una manifestazione davanti alla base militare di Glilot [a nord di Tel Aviv]. Mi sono presentata travestita e abbiamo urlato slogan.

Ogni anno al Pride, questo messaggio [contro il ricatto dell’esercito ai palestinesi queer] viene ripetuto dal blocco anti-pinkwashing. Penso che questo tema sia particolarmente rilevante quando si risponde ad accuse come “Cosa vi succederebbe a Gaza?” o “Provate ad andare a Gaza vestiti così”, o che siamo “Polli per KFC” [riferendosi al commento di Netanyahu al Congresso degli Stati Uniti che paragona i “Gay per Gaza” a “Polli per il Kentucky Fried Chicken”].

È una forma di vittimismo che si concentra solo sul conservatorismo che esiste in alcune parti della società palestinese e dipinge la cultura palestinese come monolitica, riducendola a questo unico aspetto per giustificare tutto ciò che facciamo loro. Se l’establishment, i media o l’opinione pubblica israeliana si preoccupassero davvero dei bisogni, delle paure e dell’oppressione dei palestinesi queer, parlerebbero con loro, li aiuterebbero e chiederebbero loro di cosa hanno bisogno: non distruggerebbero le loro città e non le userebbero come strumento retorico a buon mercato.

Ma alla fine, la questione principale è che stiamo assistendo a un genocidio e a uno sterminio di massa; anche i conservatori e gli omofobi subiscono queste atrocità, e noi [siamo ancora al loro fianco] di fronte a tali atrocità.

 

Come hanno reagito i tuoi amici palestinesi alla tua decisione?

Sono molto preoccupati per me. Credo che per gli amici di Farkha, che vivono nell’Area C della Cisgiordania, l’idea di prigione militare significhi qualcosa di molto specifico. C’è voluto un po’ per chiarire che la prigione militare in cui dovrò andare non è la stessa delle prigioni di massima sicurezza in cui sono detenuti i prigionieri politici.

 

Ella Keidar Greenberg enters the Tel Hashomer recruitment center to declare her refusal to enlist in the Israeli army, March 19, 2025. (Oren Ziv)
Ella Keidar Greenberg entra a Tel Hashomer, 19 marzo 2025. (©Oren Ziv)

 

Quando vado in posti nuovi [nella Cisgiordania occupata], in villaggi in cui non sono mai stata prima e dove la gente non mi conosce, le conversazioni [tra palestinesi e attivisti israeliani] spesso portano a una domanda chiave: “Cosa hai fatto nell’esercito? Dove hai prestato servizio?”. Queste parole hanno un immenso peso umano, politico e interpersonale nella nostra lotta comune. Penso che [rifiutare] mi permetta di impegnarmi con molti attivisti palestinesi su un piano di maggiore parità.

 

Hai paura di andare in prigione?

È sicuramente snervante. Non so quanto riuscirò a inserirmi socialmente; dal momento che tutti i miei amici sono di sinistra e faccio costantemente attivismo, vivo in una bolla che mi permette di ignorare, a livello quotidiano e interpersonale, quanto la società israeliana stia subendo un processo di radicalizzazione fascista. Ciononostante, credo che ce la farò: potrò stare con me stessa, leggere, scrivere e ascoltare musica tutto il giorno. Onestamente, sembra un’ottima pausa.

La vera paura riguarda ciò che accade fuori dal carcere. In carcere c’è un pericolo sociale, soprattutto nel mio caso, perché sono trans e gli uomini tendono a essere violenti nei nostri confronti. Ma in generale, il carcere militare è un ambiente molto controllato, non c’è molta violenza fisica. Fuori, però, dopo un’intervista come questa, ciò che preoccupa è che persone della mia scuola o del mio passato, che già mi conoscono, possano far trapelare qualcosa, o che la gente mi riconosca per strada o alle proteste, o che venga a cercarmi.

 

Quali libri e musica porterai con te in prigione?

Sto cercando un libro che ho iniziato a leggere in PDF, ma che non riesco a trovare: Homo Sacer di Giorgio Agamben. Porterò anche Pensieri sulla pace durante un’incursione aerea di Virginia Woolf e Narciso e Boccadoro di Hermann Hesse. Ho bisogno di narrativa, non posso leggere sempre e solo teoria. Adoro la filosofia, ma immagino che lì avrò bisogno di una fuga maggiore. [Elam, avvocato di Keidar Greenberg, ha raccontato a +972 che, dopo l’ingresso di Ella in carcere, le guardie le hanno confiscato i libri in inglese, sostenendo che sono ammessi solo libri in ebraico, e la sua copia in ebraico di Nostra signora dei fiori di Jean Genet, a causa del sedere nudo del bambino sulla copertina].


Fonte: +972 Magazine, 24 marzo 2025 (traduzione di Elisa Veltre).