venerdì, Dicembre 6, 2024
CulturaDiritti

Il contributo al diritto dell’obiezione di coscienza alla leva militare

di Fabio Giglioni
 
La lotta per il diritto

In uno scritto della seconda metà dell’Ottocento, che ebbe molta fortuna anche nel pubblico non specializzato, Rudolf Von Jhering rappresentava il diritto e i diritti non come l’esito di meccanismi spontanei, avulsi dalle dinamiche sociali, ma al contrario come l’esito di una lotta per il diritto, che intende modificare ciò che viene considerato illegale. In qualche modo, il processo che porta alla legge è la conclusione di vicende che guadagnano alla legalità comportamenti fin lì giudicati come illegali. La tensione tra dovere morale per il giusto e legge che consacra il diritto è il motore delle trasformazioni giuridiche che sono necessarie per incontrare i bisogni mutevoli della società.

Nella storia che riguarda la parabola evolutiva del diritto all’obiezione di coscienza alla leva militare, consacrata con la legge n. 772 del 1972, il pensiero dell’illustre giurista tedesco risuona quanto mai attuale. Dalle prime attestazioni giurisprudenziali che tutelano il diritto alla libera manifestazione del pensiero a sostegno dell’obiezione di coscienza (Corte costituzionale, sentenza n. 65/1970) al diritto soggettivo del servizio civile universale, si delinea un percorso in cui l’esercizio dei doveri di solidarietà diventa fonte di un diritto, segnando un inestricabile legame tra doveri e diritto.

Si è soliti pensare, infatti, che il mondo del diritto viva di contrapposizioni simmetriche tra chi ha posizioni di diritto da rivendicare e chi, all’opposto, è in una condizione obbligata di doverosità. In qualche modo, affinché un diritto possa essere goduto concretamente, si deve trovare qualche altro soggetto che versi in una condizione obbligata, cosicché il diritto del primo possa trovare soddisfazione nell’obbligo gravato su altri. Come fenomeno sociale che si occupa di relazioni, il diritto ha l’ambizione di ordinare questi rapporti in modo da assicurare una pacifica convivenza. Questa schematizzazione è, tuttavia, troppo semplicistica. 

 

Il percorso che ha portato al riconoscimento dell’obiezione di coscienza

L’azione umana non è guidata solo dalle regole giuridiche, ma innanzitutto dall’esercizio delle proprie libertà. In quanto libera la volontà umana può indirizzarsi in tanti sensi diversi, alcuni dei quali sono indifferenti al diritto, altri – viceversa – sono rilevanti dal punto di vista giuridico. In particolare quando la libertà è utilizzata per adempiere a un dovere morale di cui beneficia la comunità, l’esercizio di questo dovere spontaneo potrebbe essere valorizzato, dando vita a varie forme di reazione giuridica. I doveri di solidarietà possono diventare fonti di diritto, perché – se si realizzano certe condizioni – quella libertà esce dalla sfera meramente privata di chi l’ha compiuta per diventare un’acquisizione di carattere generale e raggiungere una dimensione pubblica. Ciò accade sicuramente quando la libera azione solidale incontra i valori affermati dalla Costituzione.

Tale conquista culturale di civiltà trova, nella vicenda dell’obiezione di coscienza alla leva militare, una chiara esemplificazione. Già a partire dal 1967, la Corte costituzionale – con la sentenza n. 53 – ebbe occasione di precisare che tra tutti i doveri, quello di difendere la Patria ha una sorta di primato, perché costituisce il presupposto materiale per l’esercizio di tutti gli altri diritti e, in questo modo, finiva per assegnare a tale valore un significato più ampio della difesa militare. Mentre, infatti, la difesa della Patria è dovere “sacro” di ogni cittadino, la coscrizione militare è prevista nei limiti e nei modi stabiliti dalla legge, secondo  quanto prescrive l’art. 52 della Costituzione. Da quella sentenza si ricavava che la leva militare rappresentasse non il modo di difendere la Patria, ma uno dei tanti possibili modi. La precisazione in Costituzione dell’obbligo di leva si deve proprio al fatto che, essendo relativa a un obbligo – peraltro particolarmente gravoso, perché si sostanzia in un’imposizione personale – deve trovare sede in una fonte legislativa, mentre i modi alternativi di adempiere a tale obbligo – proprio perché fondati sull’esercizio di libertà – non necessitano di tali garanzie.

Nonostante ciò, l’assenza di espliciti riconoscimenti alternativi validi per l’adempimento della difesa della Patria, anziché essere considerata la logica conseguenza dell’esaltazione della libertà personale solidale, è stata letta come mancanza di alternative alla leva militare per soddisfare quel dovere. Così hanno fatto fatica quei ragazzi che, con la propria obiezione di coscienza, reclamavano il riconoscimento di un altro modo di adempiere alla difesa della Patria, fondato sulla collaborazione civile nonviolenta e non armata. Da lì è cominciata, per stare al libro di Von Jhering citato all’inizio, la lunga “lotta per il diritto”.

 

Il servizio civile oggi

Il legislatore ha, però, dovuto tener conto delle indicazioni della Corte costituzionale, peraltro ribadite anche successivamente (ad esempio nelle sentenze n. 164 del 1985 e n. 228 del 2004), riconoscendo la legittimità dell’obiezione di coscienza alla leva militare, anche se il percorso di una piena parificazione è stato ancora lungo: si dovrà attendere il 1998 perché si assista, effettivamente, all’istituzione del servizio civile alternativo alla leva militare. 

In realtà questi passaggi, per quanto importanti e meritevoli, si situano ancora lungo un sentiero che restringe la libertà a partire dall’obbligo di leva: in fondo, la libertà si materializza solo in un diritto di scelta tra servizio civile e servizio militare. Con la legge n. 64 del 2001 e poi, soprattutto, con la sospensione della leva militare si sancisce definitivamente il pieno distacco dei due servizi e, dunque, il riconoscimento di un diritto a servire la Patria che è altro dalla leva militare: è volontario, garantito a una fascia specifica di giovani, più ampia di quella prima sottoposta all’obbligo militare, finalmente aperto alle donne e finanche possibile da esercitare all’estero, come forma di solidarietà civile alle popolazioni in difficoltà. In questo senso si conclude una parabola che finisce per sancire un diritto, a partire dalla libera scelta, di adempiere al dovere di difendere la Patria.

 

Gli avanzamenti ulteriori in termini di diritto

L’insegnamento giuridico prodotto da questa storia però non si arresta qui, ma avanza ulteriormente. La genesi dei diritti a partire dall’esercizio di doveri conosce altri progressi sul servizio civile: è proprio facendo leva sull’adempimento della difesa della Patria come “sacro dovere” che il giudice costituzionale giunge a dichiarare l’incostituzionalità dell’esclusione dei cittadini stranieri dal servizio civile (cfr. sentenza n. 119 del 2015). Di nuovo il ragionamento che conduce la Corte a questa conclusione è lo stesso: l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà del cittadino straniero, al di là dello status civitatis formale, contribuisce anch’esso al raggiungimento dei valori protetti dalla Costituzione, cosicché è compito dell’ordinamento tenerlo in considerazione e favorire chi volontariamente si impegna per la comunità. È interessante notare che la cittadinanza è riconosciuta a partire dai doveri: mentre ancora oggi il legislatore non riconosce agli stranieri nati in Italia la cittadinanza formale, la Corte costituzionale ha prontamente riconosciuto la cittadinanza di queste persone se concorrono alla difesa civile della Patria.

In un certo senso questa acquisizione costituzionale di diritti a partire da doveri risulta ancor di più enfatizzata dal riconoscimento del principio di sussidiarietà orizzontale, che oggi è sancito nell’articolo 118, comma 4, della Costituzione. In quella norma, quanto fin qui descritto assume un chiaro indirizzo generale e la Repubblica è tenuta a favorire sempre i cittadini quando, singolarmente o collegialmente, si adoperano per svolgere attività di interesse generale. Benché inizialmente l’introduzione di questo principio nel 2001 avesse sollevato interpretazioni controverse, appare oramai chiaro, soprattutto dopo l’approvazione della riforma sugli enti del terzo settore, che il principio non è altro che l’ennesima prova di quel cambiamento che permette all’ordinamento di riconoscere diritti al mero esercizio dei doveri. Con l’introduzione del principio di sussidiarietà orizzontale in Costituzione l’avanzamento culturale in termini di diritto è pienamente riconosciuto.

 

Il legame con gli enti del terzo settore

Proprio questi ultimi riferimenti permettono di sottolineare un ulteriore aspetto di interesse: la vicenda legata al riconoscimento dell’obiezione di coscienza alla leva militare non ha prodotto riflessi solo in termini di diritti individuali, ma ha generato anche un ridisegno complessivo dell’impegno sociale e delle politiche connesse. La necessità di organizzare l’impegno per la difesa della Patria alternativo a quello militare ha spinto a definire un sistema convenzionale tra istituzioni e soggetti sociali del terzo settore che, dapprima, era riservato solo al Ministero della difesa e si sviluppava in forma piuttosto sporadica, per poi raggiungere un livello che ora è diffuso sul territorio, plurale, multiforme e reticolare. La collaborazione, che oggi si registra prevalentemente tra enti locali ed enti del terzo settore, è divenuta una modalità riconosciuta a disposizione delle istituzioni per realizzare politiche pubbliche di ordine sociale, sanitario e ambientale. Ne è derivata, pertanto, un’innovazione che riguarda anche le politiche pubbliche, che superano tanto la pretesa onniscienza delle autorità pubbliche quanto la supponente autosufficienza delle organizzazioni sociali, per fondare su un sistema più solido forme di partecipazione attiva della società civile.

In qualche modo, la costruzione del servizio civile universale è (o dovrebbe essere) anche il tentativo di uscire da una logica ancora troppo frammentaria, per entrare in una prospettiva di programmazione e di coordinamento complessivo di esperienze di rinnovamento della difesa della Patria, che non va intesa solo come protezione da un nemico esterno ma come costruzione organizzata di legami civili e sociali che resistono alle insidie che indeboliscono le comunità (nazionali e non), quali le diseguaglianze, la povertà, l’esclusione e la precarietà. 

 

Gli obiettivi ancora da raggiungere

A dispetto di questi importanti risultati, raggiunti nel corso della storia dell’obiezione di coscienza, restano ancora condizionamenti e ostacoli importanti per un pieno riconoscimento della libertà solidale per la difesa della Patria alternativa a quella militare. Innanzitutto, dopo essere caduti i limiti dovuti al collegamento con la leva militare, al genere e alla cittadinanza, potrebbero venir meno quelli legati all’età, rendendo davvero universale il servizio. Le trasformazioni sociali in atto e l’età media di vita rendono obsoleti ormai i limiti di età, sia nei minimi sia nei massimi. Ciò, naturalmente, non implicherebbe l’impossibilità di graduare la disciplina del servizio in relazione a chi fa domanda, ma se il presupposto del riconoscimento del diritto soggettivo al servizio universale è l’adempimento dei doveri, questo non può conoscere limiti anagrafici.

Tale estensione, però, deve essere accompagnata dall’abbattimento di un altro condizionamento che rende il diritto soggettivo al servizio civile ancora fortemente limitato e che, in qualche modo, deve precedere quello indicato prima se non si vogliono penalizzare i giovani, ovvero il contingentamento del servizio. Tale passaggio, che sul piano teorico sarebbe assolutamente sostenibile, deve essere però collegato a una riflessione più ampia di armonizzazione e ridefinizione degli strumenti di sostegno di ordine sociale, affinché non si produca una confusione che finisca per disperdere il patrimonio specifico della difesa della Patria alternativa a quella militare. Se, da un lato, questo è il rischio da fugare, dall’altro, appare poco accettabile che in nome di una difficoltà di separare gli strumenti di sostegno alla cittadinanza da quelli di welfare si rinunci in partenza a rendere davvero universale il servizio civile. È un percorso che richiede ancora affinamenti, ma nondimeno è opportuno il suo avvio affinché le conquiste di civiltà giuridica fin qui acquisite non smettano di produrre ancora risultati.

 

Fabio Giglioni è obiettore di coscienza al servizio militare con servizio civile svolto presso la Comunità Capodarco di Roma, Professore ordinario di Diritto amministrativo all’Università di Roma “Sapienza”, nonché membro del direttivo di Labsus. Email: fabio.giglioni@uniroma1.it