La privazione dell’acqua come arma: il rapporto Oxfam su Gaza
a cura di Chiara Crivellari
Oxfam ha pubblicato un’analisi dettagliata, intitolata Water War Crimes, su come l’esercito israeliano utilizzi in modo sistematico la privazione dell’acqua come arma contro la popolazione palestinese, nel corso dell’attuale “assedio totale” alla Striscia di Gaza. Il rapporto, realizzato da Lama Abdul Samad in collaborazione con Martin Butcher e Bushra Khalidi, esprime forte preoccupazione per questa pratica, denunciandola come una violazione del diritto internazionale umanitario e delle norme internazionali in materia di diritti umani.
La mancanza di acqua potabile incide pesantemente sulle condizioni di vita dei più di 2,3 milioni di persone che abitano nella Striscia, esposte dall’inizio di ottobre a bombardamenti continui e indiscriminati su aree residenziali, ospedali, scuole, università e luoghi di culto, ma anche al blocco del cibo, del carburante, delle medicine e di altri beni di prima necessità: si tratta di pratiche contrarie al principio di umanità, che configurano una forma di punizione collettiva per l’intera popolazione di Gaza per gli attacchi compiuti il 7 ottobre nel Sud di Israele da Hamas ed altre formazioni militari palestinesi.
L’analisi di Oxfam rivela che, dall’inizio dell’attuale offensiva israeliana, la popolazione di Gaza ha avuto a disposizione in media solo 4,74 litri d’acqua a persona al giorno per tutti gli usi. Questo dato è significativamente inferiore allo standard minimo stabilito a livello internazionale, che è di 15 litri d’acqua a persona al giorno per la sopravvivenza di base in situazioni di emergenza.
Dall’inizio del blocco della Striscia di Gaza, nel 2007, il governo di Israele ha ripetutamente sottoposto l’approvvigionamento di acqua come di altri beni di prima necessità a severissime e arbitrarie restrizioni. A titolo d’esempio: la stessa Oxfam ha impiegato diversi mesi per ricevere la “pre-autorizzazione” israeliana per installare tre unità di desalinizzazione e per far entrare nella Striscia le tubature necessarie a riparare le infrastrutture danneggiate, ma anche questo non garantisce l’ingresso. A oggi, queste forniture non sono potute entrare a Gaza e la “pre-autorizzazione” per altre tre unità di desalinizzazione e pezzi di ricambio è ancora in sospeso.
L’acqua a Gaza viene fornita principalmente attraverso le tre condutture della società idrica israeliane Mekorot. Dal 7 ottobre ha fornito acqua solo al 22% della capacità totale di fornitura, mentre fino a maggio 2024, le linee che rifornivano Khan Younis e Gaza sono state completamente interrotte per l’81% e il 95% del tempo, rispettivamente.
Secondo la FAO e l’ONU, il 97% delle falde acquifere di Gaza non è potabile. A parte l’acquedotto israeliano, le altre fonti d’acqua per usi domestici sono gli impianti di desalinizzazione e gli impianti di depurazione a osmosi inversa. Filtrando l’acqua che proviene dalla falda acquifera inquinata di Gaza, queste tecnologie creano ulteriori fonti d’acqua potabile. Tuttavia, senza elettricità e senza carburante per funzionare, gli impianti di desalinizzazione e di depurazione non sono più operativi da poco dopo il 7 ottobre.
Gli attacchi aerei israeliani hanno danneggiato i sistemi di acque reflue, riducendo ulteriormente l’accesso all’acqua pulita e causando una maggiore contaminazione della poca acqua disponibile. Inoltre, l’esercito isrtaeliano ha distrutto i due laboratori principali per l’analisi della qualità dell’acqua, il 100% di tutti i depositi idrici di Gaza e Khan Younis, il 70% di tutte le pompe per le acque reflue e il 100% di tutti gli impianti di trattamento delle acque reflue a Gaza.
Per tutte queste ragioni, in base ai dati dell’inizio di giugno 2024, la produzione di acqua da fonti all’interno dell’intera Striscia di Gaza si è ridotta dell’84% e tende ulteriormente a ridursi. I continui spostamenti della popolazione, che cerca in questo modo di sottrarsi ai bombardamenti sperando che le “zone sicure” stabilite da Israele siano effettivamente tali, peggiorano la situazione: si stima che, a seconda dei luoghi di maggior concentramento della popolazione, si arriverà a fornire in media 2,5 litri d’acqua a persona al giorno.
La mancanza di acqua e il blocco del sistema fognario, oltre a costituire un problema in sé, costituiscono la causa di ulteriori e gravi probematiche sanitarie: negli ultimi mesi si è registrato un brusco aumento dei casi di malattie trasmesse dall’acqua impura. L’analisi dei dati sanitari di Oxfam mostra che più di un quarto della popolazione si è ammalata gravemente a causa di malattie legate alla cattiva qualità dell’acqua e alla mancanza di servizi igienici, nonostante queste malattie siano facilmente prevenibili con acqua potabile e servizi igienici sufficienti e sicuri.
Il rapporto di Oxfam, oltre a ricostruire le cause e le conseguenze umaniterie della carenza di acqua potabile a Gaza, riflette sull’uso della privazione idrica come impropria e inaccettabile arma di guerra. Le dichiarazioni dei vertici del governo e dell’esercito, come ad esempio l’annuncio dell’“assedio totale” da parte del Ministro della Difesa Yoav Gallant il 9 ottobre 2023, possono costituire una prova di questo uso dell’acqua come arma di guerra, in violazione del diritto internazionale umanitario.
Le fonti raccolte e verificate da Oxfam fanno ritenere che gli attacchi sistematici alle infrastrutture idriche e igienico-sanitarie, uniti alla forte riduzione delle linee idriche di Mekorot e gli effetti dei bombardamenti indiscriminati, facciano parte di una strategia deliberata per rendere Gaza invivibile, riducendo al minimo l’acqua disponibile per la popolazione palestinese costituita, in maggioranza, da donne e bambini.
È urgente e necessario concordare subito un cessate il fuoco permanente. Il governo di Israele deve togliere l’assedio a Gaza e porre fine al blocco per consentire un accesso libero e sostenibile all’assistenza umanitaria, compresa l’acqua potabile, e deve sostenere i costi di riparazione e ricostruzione delle infrastrutture idriche e igienico-sanitarie danneggiate durante l’operazione militare partita l’8 ottobre.
La comunità internazionale deve, secondo Oxfam, imporre un embargo sulla vendita di armi letali al governo di Israele, che possono essere utilizzate per distruggere infrastrutture civili essenziali, incluse quelle per l’approvvigionamento e la distribuzione dell’acqua potabile e per lo smaltimento corretto delle acque reflue. Tale embargo dovrà proseguire fino a che non entri in vigore il cessate il fuoco e il governo di Israele non rispetti gli obblighi di protezione della popolazione civile palestinese che gli incombono, ai sensi del diritto internazionale umanitario, in qualità di potenza uccupante.
Oxfam invita, infine, le istituzioni internazionali a condurre un’indagine indipendente sulle violazioni del diritto internazionale legate, tra le altre cose, all’uso del razionamento idrico come arma di guerra, ai sensi delle Convenzioni di Ginevra e della Convenzione sul genocidio. L’accesso all’acqua e ai servizi igienico-sanitari deve restare una priorità tematica per la Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite su Gaza e sugli altri territori occupati, garantendo sul punto aggiornamenti costanti nei rapporti al Consiglio di Sicurezza.
Chiara Crivellari svolge il Servizio Civile Universale presso il Centro Interdisciplinare “Scienze per la Pace” dell’Università di Pisa.