Una proposta africana per ripensare il mondo dopo la pandemia
Con la sola eccezione della Cina, dove il Covid-19 ha fatto la sua comparsa, i nostri media mainstream guardano alla pandemia con gli occhi rivolti all’Occidente sviluppato. Ancora una volta l’Africa viene tenuta nell’ombra e nel silenzio. La società africana invece sta dimostrando, nel difficile contesto della crisi, la volontà di reagire e di utilizzare la situazione come una opportunità per avviare cambiamenti radicali. Lo testimonia la lettera aperta che numerosi studiosi, intellettuali, politici, artisti africani hanno indirizzato ai leader dei loro paesi, di cui dà conto Andrea De Georgio in questo articolo pubblicato su Internazionale. “L’Africa – affermano gli autori della lettera, tra cui il premio Nobel per la letteratura Wole Soyinka – deve svegliarsi e riprendere in mano il proprio destino, alla luce delle enormi risorse materiali e umane di cui dispone. Le diverse forme di resilienza e creatività messe in campo in questi giorni da tanti giovani scienziati e ricercatori africani sono la prova delle enormi potenzialità del nostro continente”. La sfida è grande: dall’Africa possono venire proposte per costruire altro mondo, dopo la pandemia.
di Andrea de Georgio
“È arrivato il momento di agire”. Ne sono convinti, oggi più che mai, movimenti cittadini e intellettuali africani che, mentre il mondo è alle prese con la “fase due” della pandemia di covid-19, stanno cercando di trasformare la crisi in opportunità, proponendo un’utopia panafricana che spinga a ripensare profondamente il continente. E forse l’intera umanità.
A lanciare l’idea di un necessario cambiamento di paradigma nel contratto sociale è una lettera rivolta ai leader africani che, pubblicata online, nelle ultime settimane sta facendo il giro del mondo. Sottoscritta da più di cento intellettuali africani, è stata ripresa inizialmente da alcuni mezzi d’informazione francofoni e anglofoni, poi ampiamente commentata e condivisa sui social network di tutto il continente. “Non ci saremmo mai aspettati tanto interesse e partecipazione”, confessa Ndongo Samba Sylla, economista senegalese della Fondazione Rosa Luxemburg di Dakar che, insieme alla docente di relazioni internazionali della Wits university di Johannesburg Amy Niang e al professore di diritto pubblico dell’Università Paris Nanterres Lionel Zevounou, è autore del documento. Fin dalle prime battute la lettera è molto chiara: “È una questione seria. Non si tratta di porre rimedio all’ennesima crisi umanitaria ‘africana’, ma di contenere gli effetti di un virus che sta scuotendo l’ordine mondiale mettendo in discussione le basi della convivenza sociale. La pandemia di nuovo coronavirus sta mettendo а nudo quello che le classi medie e ricche delle principali megalopoli del continente hanno fatto finora finta di non vedere”.
Tra i firmatari ci sono importanti intellettuali (primo fra tutti il nigeriano Wole Soyinka, premio Nobel per la letteratura nel 1986), politici (come l’ex ministro della cultura senegalese Makhily Gassama), professori universitari, scrittori, filosofi e artisti. Un’élite culturale che cerca di uscire dalla torre d’avorio incarnando gli ideali della giovane, dinamica e, come ama ripetere Ndongo Samba Sylla, “radicale” società civile africana, una fonte d’ispirazione sempre più forte anche per il resto del mondo. “Per evitare che la crisi, non solo sanitaria, legata alla pandemia di covid-19 degeneri chiediamo ai nostri politici di agire con compassione, intelligenza e tatto in questa situazione straordinaria con cui tutto il mondo si sta confrontando”, sostiene Sylla, parafrasando la lettera. “Per fare ciò, però, dobbiamo ristrutturare i nostri sistemi politici dalle fondamenta”.
Rimettere al centro l’essere umano
“L’Africa deve svegliarsi e riprendere in mano il proprio destino, alla luce delle enormi risorse materiali e umane di cui dispone. Le diverse forme di resilienza e creatività messe in campo in questi giorni da tanti giovani scienziati e ricercatori africani sono la prova delle enormi potenzialità del nostro continente”. Se le conseguenze sanitarie (per ora contenute) dell’epidemia sono le più evidenti, le sue ripercussioni in termini di sicurezza e socioeconomici sembrano preoccupare di più gli intellettuali africani, a cui contrappongono una visione marcatamente anticapitalista, antineoliberalista e antineocoloniale. “Bisogna rimettere al centro il valore di ogni essere umano, a prescindere dall’identità o dall’appartenenza, dalla logica del profitto, del dominio e della monopolizzazione del potere”, continua il documento.
Mentre i paesi occidentali sono alle prese con il rilancio dell’economia e con la graduale abolizione delle misure di contenimento dei cittadini dopo un isolamento durato più di due mesi, i dirigenti delle ex colonie africane sembrano seguire pedissequamente l’esempio europeo. “Fin dall’inizio della pandemia i nostri politici si sono limitati a copiare le misure prese dai governi occidentali senza tener conto delle specifiche realtà dei nostri paesi”, sostiene Ndongo Samba Sylla, autore di L’arma segreta della Francia in Africa. Una storia del franco Cfa (Fazi 2019). In Senegal, come nel resto dell’Africa occidentale francofona, il governo ha atteso il primo discorso pubblico del presidente francese Emmanuel Macron per annunciare misure contro il virus molto simili, tra cui il distanziamento sociale, la chiusura delle frontiere e lo stop parziale delle attività produttive. La realtà africana, però, è differente e, secondo i firmatari della lettera, le sue specificità andrebbero prese in considerazione per trovare soluzioni “endogene” alla pandemia. Innanzitutto bisognerebbe tener conto della centralità del settore informale – secondo la Banca mondiale, impiega più dell’85 per cento della forza lavoro africana – che rende insostenibili le forme di quarantena “all’occidentale”.
La sanificazione di una strada a Dakar, Senegal, 1 aprile 2020 (John Wessels, Afp).
Il Senegal invece sta seguendo il modello tracciato dalla Francia – per esempio sulla riapertura delle scuole e sulla ripresa in blocco delle attività economiche – senza tener conto dei casi di “trasmissione comunitaria” che, impossibili da tracciare, sembrano crescere pericolosamente nelle zone rurali dove vive la maggioranza della popolazione africana. In un contesto simile i rischi di vanificare gli sforzi fatti finora appaiono elevati.
La lettera critica il sistema geopolitico contemporaneo che rende i paesi in via di sviluppo schiavi degli aiuti umanitari e delle logiche del mercato globale. Senza contare che, secondo l’analisi di molti economisti africani come Sylla, per tendere verso una rapida e sostanziale ripresa economica ci vogliono soluzioni basate su uno stato forte, che possa garantire la liquidità necessaria per la ripresa. “Non potendo monetizzare il deficit, gli stati africani saranno costretti ad aumentare il debito pubblico, peggiorando la situazione di forte indebitamento (per esempio verso la Cina, ndr) che è già insostenibile”.
I leader africani sembrano essere consapevoli dei rischi di tenuta strutturale dei loro paesi, già fragili. Non sono mancati, perciò, i proclami di un cambio di passo, come quello auspicato a inizio marzo dal presidente senegalese Macky Sall in un commento pubblicato sul quotidiano Le Soleil dal titolo “L’Africa e il mondo di fronte al covid-19: il punto di vista di un africano”: “È necessario un nuovo ordine mondiale che rimetta l’essere umano e l’umanità al centro delle relazioni internazionali: l’agricoltura, le fonti di energia rinnovabili, le infrastrutture, la formazione e la salute”.
“Si tratta di pura retorica, afroliberalismo truccato da panafricanismo”, ribatte Sylla, lamentando il perpetuarsi del nepotismo e della corruzione in seno ai governi africani. Il recente scandalo in Senegal sulla presunta malversazione di fondi pubblici nella distribuzione di aiuti alimentari per il nuovo coronavirus da parte del ministro dello sviluppo comunitario e dell’equità sociale e territoriale Mansour Faye, cognato del presidente, non è che il più recente esempio di quanto denunciano da anni i movimenti sociali panafricani come Afrikki Mwinda.
Esprimere il dissenso
Negli ultimi mesi l’emergenza causata dal covid-19 è stata usata come giustificazione per numerosi gravi casi di violenze della polizia da Dakar a Città del Capo, che sono state denunciate dalle vittime su Facebook e Twitter. Con il divieto di assembramenti pubblici anche il diritto a manifestare pacificamente il dissenso è venuto meno, immolato sull’altare della salute pubblica. In momenti come questo i movimenti antagonisti, in Africa come nel resto del mondo, sono chiamati a reinventarsi attraverso nuove forme di attivismo.
“Alla luce del contesto attuale le derive autoritarie che abbiamo tristemente constatato soprattutto nei primi giorni dell’isolamento potrebbero avere effetti controproducenti, come causare rivolte di massa, che porterebbero con sé gravi rischi di diffusione dei contagi”, sostiene Ndongo Samba Sylla. È il caso dell’acceso dibattito sulla chiusura delle moschee durante il mese di Ramadan che, in Senegal come in molti paesi a maggioranza musulmana, contrappone le influenti élite religiose ai governi intenzionati a far rispettare il distanziamento sociale anche nei luoghi di culto.
Quello che il virus sembra aver messo in evidenza è la distanza incolmabile tra le élite al potere e i cittadini, trattati come sudditi di pseudodemocrazie finalizzate allo spoglio delle risorse naturali da parte di multinazionali e gruppi finanziari. Anche su questo punto il manifesto degli intellettuali è chiaro: “L’Africa deve riconquistare la libertà intellettuale e la capacità di creare senza le quali non è possibile rivendicare una sovranità. Deve smettere di subappaltare le nostre prerogative, riconnettersi con le realtà locali, abbandonare l’imitazione sterile, adattare la scienza, la tecnologia e i programmi di ricerca ai nostri contesti storici e sociali, ripensare le istituzioni in funzione delle peculiarità che ci accomunano e di ciò che possediamo, considerare nuove forme di governo inclusive e di sviluppo endogeno, per creare valore in Africa e ridurre la nostra dipendenza sistemica”.
“Per esempio, la malaria ha ucciso e continua a uccidere più del covid-19 in Africa, ma non c’è ancora stata una risposta continentale a questo problema. Come cittadini non possiamo più accettare il lassismo e l’inadeguatezza dei nostri leader, che quando hanno problemi di salute vanno a farsi curare all’estero”, conclude caustico Sylla.
L’ora di agire, (non solo) in Africa, sembra ormai arrivata.
Fonte: Internazionale, 13 maggio 2020.