Obbligo vaccinale: il dibattito in Austria e in Germania
di Fernando D’Aniello
Con una percentuale di vaccinati tra le più basse dell’Europa occidentale, Austria e Germania hanno deciso di correre ai ripari. L’Austria ha già approvato due settimane fa una legge per l’obbligo vaccinale, mentre il Bundestag della Repubblica Federale di Germania ha avviato la discussione che dovrebbe portare entro marzo all’introduzione di un obbligo vaccinale. È forse il caso di analizzare più da vicino queste due esperienze e provare a evidenziarne alcuni limiti.
Il caso austriaco è al momento quello più chiaro, proprio perché la legge è stata già discussa e approvata, permettendo così qualche prima, assolutamente sommaria, valutazione di merito. Si tratta di un obbligo, per tutte le persone che abbiano compiuto diciotto anni e risiedano sul territorio austriaco, di sottoporsi a una vaccinazione contro il Covid-19. Nella relazione di accompagnamento della Commissione salute del Parlamento si legge che i minori sono esclusi perché “non sono ancora nella condizione di comprendere significato e portata di un trattamento medico”.
La legge austriaca precisa che l’Impfpflicht, l’obbligo vaccinale, non può essere realizzato in modo coercitivo, introducendo una distinzione carica di conseguenze tra obbligo e coercizione. La violazione dell’obbligo è connessa a una sanzione pecuniaria (fino a 3600 euro), il cui mancato pagamento non determina, però, una pena detentiva (articolo 10).
Sono esclusi dall’obbligo (articolo 3) le donne in stato di gravidanza, le persone che hanno contratto un’infezione da Sars-CoV-2 (ma solo per i sei mesi successivi) e quelle con particolari patologie che ne mettano in pericolo la vita se vaccinate, le persone dalle quali non c’è da attendere una risposta immunitaria oppure quelle già vaccinate che, tuttavia, non hanno sviluppato una significativa immunizzazione. In quest’ultimo caso le eccezioni sono stabilite da medici di ospedale, ufficiali sanitari o medici individuati ad hoc (Epidemieärtze).
Alcuni aspetti della legge austriaca mi sembra richiedano particolare attenzione.
Innanzitutto, la legge non definisce espressamente il contenuto dell’obbligo, ma prevede sia un decreto del Ministro della salute a determinare (articolo 4, comma 4) tra le tante altre cose anche la quantità di vaccinazioni da somministrare, l’intervallo di tempo tra un vaccino e l’altro e le possibili combinazioni tra i vaccini. Questo è un punto critico, perché introducendo un obbligo sarebbe stato forse più opportuno, visto anche lo stato del dibattito scientifico, evitare di attribuire a un semplice decreto la determinazione del numero di vaccini a cui sottoporsi per adempiere all’Impfpflicht. Già alcuni paesi valutano la possibilità di una quarta dose. Biontech e Pfizer hanno annunciato l’avvio di studi per un vaccino ad hoc contro la variante Omicron ed è ormai chiaro come sia necessario attendersi la comparsa di nuove varianti. Definire in cosa (cioè in quante e quali dosi) consista l’obbligo vaccinale è una questione di particolare rilevanza, proprio perché le vaccinazioni attualmente disponibili assicurano una copertura solo temporanea e a questo proposito la soluzione austriaca mi pare consegni una delega troppo ampia al governo.
Inoltre, sulla differenza tra obbligo e coercizione, Impfpflicht e Impfzwang, per come è stata codificata in Austria mi sembra opportuno fare qualche considerazione. In base alla legge, sembra che l’obbligo costituisca una pretesa “minore” dello Stato rispetto alla più considerevole “coercizione”, vale a dire a una vaccinazione che viene effettuata anche contro il consenso del paziente. Indubbiamente, questa scelta serve a tranquillizzare la popolazione e la stessa relazione di accompagnamento torna più volte su questo aspetto.
Ma nel tentativo di ridimensionare gli effetti della legge, non posso negare di trovare francamente preoccupante questa impostazione del dibattito: declassare l’obbligo perché esso non si traduce in una coercizione – con l’implicita ammissione che a quest’ultima, prima o poi, si possa far ricorso – contribuisce a confondere i piani del dibattito. Introducendo l‘obbligo, il legislatore prevede un’ammenda che è esattamente la sanzione in caso di comportamento difforme da quello previsto. Potrebbe prevedere perfino una limitazione della libertà personale. Imporre, anche con la forza, un trattamento medico è, invece, questione completamente diversa.
Questa distinzione è funzionale a relativizzare l’obbligo vaccinale, facendone un intervento sul corpo dei cittadini da parte dello Stato tutto sommato accettabile perché, appunto, non imposto forzatamente. Si tratta, a mio avviso, di una relativizzazione non condivisibile, che non può servire a legittimare l’introduzione dell’obbligo: introdurre una simile distinzione sembra, invece, funzionale proprio a permettere all’obbligo di superare il test della proporzionalità, rendendola una misura adeguata e opportuna rispetto a una più invasiva coercizione.
C’è anche un altro aspetto: la differenza tra l’obbligo e la coercizione sembra essere rappresentata dalla pena pecuniaria, associata al primo in caso di mancato adempimento. Come ha scritto molto efficacemente Ute Sacksofsky, professoressa di diritto pubblico all’Università di Francoforte sul Meno, si tratta di una valutazione tipica degli economisti: l’obbligo giuridico non è da concepire come vincolo a un determinato comportamento, ma semplicemente come valutazione e bilanciamento tra i vantaggi (che derivano dall’adeguarsi all’obbligo) e i costi (di una eventuale sanzione pecuniaria). Questa idea presuppone esattamente la possibilità che si possa “acquistare” un’alternativa all’obbligo, con un evidente carattere discriminatorio: “Per chi non può permettersi di pagare la sanzione, l’obbligo diventa una coercizione” conclude Sacksofsky. Tuttavia, anche tra i giuristi, il dibattito è aperto e le valutazioni di merito divergono, come nel caso di Klaus Ferdinand Gärditz, professore di diritto pubblico all’Università di Bonn.
Mi sembra, comunque, innegabile come l’obbligo così formulato segnali di per sé la possibilità che questo non sia rispettato: ciò conduce al problema, certo non nuovo, di statuizioni alle quali non viene dato seguito, confermando la sensazione di un obbligo inutile perché privo di efficacia. In questo modo, nel caso di una recrudescenza della pandemia, si rischia di produrre un ulteriore effetto polarizzante nella popolazione, una parte della quale potrebbe chiedere prima o poi di ricorrere a misure ancor più radicali (cioè coercitive) o alla messa in discussione del principio di universalità del sistema sanitario (con l’esclusione dalle cure per i non vaccinati).
In Germania lo stato della discussione mi sembra molto simile. Lo scorso dicembre il Consiglio etico tedesco (Deutscher Ethikrat) ha pubblicato un parere sull’obbligo vaccinale. Non è possibile non segnalare come, con il cambio di governo e di cancelliera da Angela Merkel a Olaf Scholz, i toni sull’obbligo vaccinale siano cambiati, con il nuovo Bundeskanzler decisamente a favore della sua introduzione.
La questione ha condotto a una divisione nel Consiglio etico: dei ventiquattro membri, tredici si sono detti a favore di un obbligo generalizzato a partire dai diciotto anni (sul modello austriaco, per ragazzi e bambini la vaccinazione resterebbe solo consigliata), sette per un obbligo per determinate fasce d’età e categorie a rischio e quattro contrari a ogni ipotesi di obbligo.
Il parere, però, è in larga parte una compilazione di argomenti generali, a sostegno dell’obbligo o contro una sua introduzione. Sono estremamente sintetizzati gli argomenti che hanno spinto i tredici e i sette membri a indicare un obbligo (generalizzato o limitato) di vaccinazione: risulta perciò difficile capire come gli autori abbiano affrontato la verifica costituzionale della proporzionalità dell’obbligo, che deve risultare idoneo, necessario e opportuno (geeignet, erforderlich e angemessen), così come le questioni etiche che pure sono elencate nella parte iniziale del parere.
La motivazione dell’obbligo generalizzato è contenuta in meno di una pagina e non risponde a domande decisive: quante dosi, ad esempio, dovrebbero essere rese obbligatorie. Oppure, se una volta introdotto l’obbligo, possano essere considerate compatibili con la Costituzione ulteriori limitazioni della libertà personale, come ad esempio nuove restrizioni, la cui necessità appare, ad esempio nel caso di quest’ultima ondata determinata dalla variante Omicron, non direttamente connessa al numero dei vaccinati. O, ancora, se l’indispensabilità del vaccino è stabilita dalla necessità di salvaguardare la capacità di intervento degli ospedali, appare evidente che l’esigenza di un obbligo vaccinale potrebbe essere ridimensionata (anche se non sparire del tutto) da un sistema sanitario più efficiente e capace di fronteggiare anche emergenze pandemiche: è del tutto sparita dalla discussione pubblica la questione di come garantire, oggi, il diritto universale alla salute, a partire proprio dalla capacità di rendere il sistema capace di rispondere a stress rilevanti, come quelli di una pandemia.
Va pure segnalato che i quattro membri del Consiglio etico contrari a ogni ipotesi di obbligo abbiano motivato sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung il loro disaccordo, tra i quali merita di essere segnalata questa domanda: “Come si può stabilire la proporzionalità di un obbligo vaccinale, se ancora non sappiamo quanto a lungo e ogni quanto dovrebbe essere realizzato?”.
L’accelerazione data da Austria e Germania all’introduzione dell’obbligo mi sembra risponda più a ragioni di opportunità politica che a una vera discussione sulla necessità della misura per fronteggiare la pandemia. In questo modo, il rischio di ricorsi alle Corti costituzionali è sempre presente e si finirebbe per trasferire una scottante questione politica ai “giudici delle leggi”. È forse il caso di chiedersi se sia davvero indispensabile e anche utile utilizzare, in questa fase della pandemia, uno strumento così radicale. Nel farlo, non è secondario chiedersi se sia possibile correggere alcune criticità emerse nel modello austriaco.
Fernando D’Aniello è dottore di ricerca in “Giustizia costituzionale e diritti fondamentali” all’Università di Pisa. Vive e lavora a Berlino. Email: fernando.daniello@gmail.com