domenica, Dicembre 22, 2024
DirittiEconomia

L’emergenza da coronavirus nei rapporti tra privati: una visione d’insieme

di Roberto Natoli

 

1. Niente più sarà come prima

La pandemia da Covid-19 ha accelerato vari processi in corso (digitalizzazione con tutti i suoi corollari: smart working, commercio on line, processo telematico e amministrazione digitale, ecc.) e ne ha probabilmente avviati di nuovi (così, ad esempio, la galoppante de-urbanizzazione e il crollo del mercato immobiliare nei centri delle grandi città del mondo).

Il 2019, ultimo anno prima della pandemia, sarà probabilmente ricordato come l’ultimo anno del mondo di ieri. Anche oggi, a distanza di un secolo dalla fine della prima guerra mondiale – e dalla pandemia da influenza spagnola, che colpì milioni di giovani vite – viviamo un nuovo tornante della Storia; una stagione in cui, come un secolo fa, mutano le strutture profonde della società.

Un secolo fa quelle strutture in mutazione erano scolpite nella pietra del codice civile del 1865: il codice della borghesia, teso a stabilire le regole del gioco affinché la volontà sovrana dell’individuo (quella volontà che, tramite la rivoluzione francese, gli aveva consentito di sciogliersi dal giogo dei vincoli feudali) potesse liberamente espandersi. Il codice della proprietà — terribile diritto! — e della libertà contrattuale: qui dit contractuelle, dit juste, nell’adagio di Fouillée. Il codice del ‘65 era (come gli altri codici dell’Europa continentale) un codice “costituzionale”: che non dettava solo congegni tecnici, ma esprimeva una filosofia politica.

Quel che merita notare è che, prima di essere riscritto dal fascismo, quel codice fu riscritto dalla legislazione post-bellica. Non a caso, parlando delle conseguenze della prima guerra mondiale, un raffinato giurista ha scritto che «la bufera investe le vecchie strutture sociali, trascina e confonde milioni di uomini sui campi di battaglia, solleva problemi di entità e di dimensione imprevedibili»; aggiungendo che lo Stato «interviene nell’economia, limita i poteri negoziali dei privati, assume (…) la figura e la responsabilità dell’imprenditore. La storia subisce così un’improvvisa accelerazione»1.

 

2. Il necessario sguardo interdisciplinare

Di accelerazioni si inizia a discutere sempre più spesso, tra ricercatori di varie discipline, giuristi compresi. Di questi ultimi, molti hanno provato ad analizzare i confusi tentativi del nostro legislatore di dare risposte all’ennesima fuga in avanti di una Storia che, al cospetto della pandemia, non si è davvero fermata davanti a un portone ma è entrata dentro le nostre case fino al punto di chiuderci lì dentro per mesi, perché fuori urgeva l’ignoto.

Proprio perché oggi, come cent’anni fa, il diritto si trova a fare i conti con la Storia, l’analisi non può restare confinata negli angusti recinti settoriali di ciascuna disciplina, ognuno dei quali frappone un ostacolo all’analisi dei problemi – sociali, economici, sanitari – squadernati con violenza dalla pandemia.

Ciascuno di questi problemi dà vita, anzitutto, a un problema giuridico. Mentre chi si è ammalato, o ha temuto di ammalarsi, si è rivolto ai medici e agli infermieri, tutti si sono rivolti al diritto: al quale hanno chiesto, giorno dopo giorno, risposte alle loro pressanti esigenze di vita.

Mai, come nell’ultimo anno, nessun cittadino è rimasto insensibile alla cogenza (vera o presunta: si pensi ai famigerati D.P.C.M.) della regola giuridica: da ciascuno quotidianamente compulsata già solo per sapere se fosse possibile, e a quali condizioni, esercitare la libertà di movimento. Una libertà che i più giovani, in virtù di un altro fondamentale tornante della Storia, ritenevano estesa a tutti i paesi del cosiddetto spazio Schengen, all’interno del quale, per la loro intera vita di ieri, pensavano fosse naturale circolare senza neppure esibire il documento d’identità.

Un’analisi giuridica che voglia affrontare gli enormi problemi sollevati dalla pandemia deve necessariamente essere ad ampio raggio e guardare al diritto civile così come al diritto del lavoro, al diritto commerciale così come al diritto amministrativo e al diritto tributario; ciascuno di questi settori non solo illumina un aspetto, ma dà un senso diverso e più compiuto all’enorme mosaico che nei prossimi anni tutta la comunità scientifica si troverà a comporre e studiare. Certamente, e auspicabilmente, talune tessere scompariranno con l’emergenza sanitaria; altre, invece, daranno colore all’ordinamento giuridico del tempo che verrà.

 

3. Cosa resterà di questi anni ‘20

Tra le tante, vorrei soffermarmi su alcune accelerazioni provocate dalla pandemia che, probabilmente, ad essa sopravvivranno, elencando in particolare cinque snodi.

1) Nel tempo che verrà il contratto non basterà più a sé stesso. La mutevolezza del contesto economico e sociale entro il quale opera farà sempre più sì che non nel solo testo si potranno trovare le risposte ai problemi sollevati dal contesto. Da qui, per un verso, il riespandersi delle grandi direttive generali del sistema, non solo costituzionale: e dunque il problema della Drittwirkung orizzontale, ossia dell’efficacia diretta dei princìpi fondamentali nei rapporti privati, e della sua gestione da parte di giudici, non sempre culturalmente attrezzati, ma sempre più chiamati a maneggiare strumenti che implicano una robusta dose di creazione giudiziale delle regole del caso concreto. Sotto questo profilo, occorrerà riflettere sullo stile delle motivazioni giudiziarie, sintetiche sì, ma tanto più argomentate quanto più faranno appello non a norme puntuali ma direttamente a princìpi generali, poiché il rischio di scivolare dalla discrezionalità all’arbitrio è, in questi modelli decisori, ancor più accentuato.

2) Nel tempo che verrà vi sarà sempre meno spazio per accademici chiusi nelle loro confortevoli torri d’avorio, e sempre più si sentirà il bisogno di studiosi che abbiano voglia di sporcarsi le mani attraverso lo studio del modo in cui il diritto, da regola astratta, si invera nel concreto. Siccome la prevedibilità delle decisioni giudiziarie è una condizione necessaria di funzionamento del sistema economico non meno della loro rapidità, il compito della dottrina sarà di prestare molta più attenzione al cosiddetto diritto vivente e di raggruppare le decisioni fondate su princìpi in Fallgruppen (gruppi di casi) che condensino con intelligenza le varie fattispecie in ragione di comuni rationes decidendi.

3) Nel tempo che verrà, così come accaduto nel primo dopoguerra, la mano pubblica si farà sempre più presente e persino invasiva. Non è un caso che, negli ultimi anni e in particolare negli ultimi mesi, i libri di Keynes abbiano ritrovato sede sulle scrivanie degli studiosi, dopo esser stati per troppo tempo assisi sugli scaffali delle loro librerie. Per questo, l’importante afflusso di denaro pubblico destinato a rilanciare gli investimenti e, con essi, l’economia, non potrà che passare per procedure competitive meno caotiche e complesse delle attuali, ormai ostaggio di presunzioni di corruzione e di malaffare: la vera semplificazione dovrà dunque essere semplificazione delle procedure, non del numero di concorrenti, senza per questo rinunciare alla dovuta vigilanza su pratiche illegali.

4) Nel tempo che verrà sempre più si comprenderà che la crisi di un operatore economico può produrre, per usare un termine divenuto comune in tempi di pandemia, uno spill over dannoso per la collettività, perché quanto minore è la ricchezza prodotta, tanto minore è il gettito fiscale (e dunque maggiore, a parità di servizi, l’indebitamento pubblico); ci si accorgerà del fatto che se la crisi è figlia di imprevedibili (e dunque non imputabili) circostanze, la selezione naturale del mercato provoca distorsioni gravi non solo nell’attuale, ma anche nel futuro, ponendo un pressante problema di equità intergenerazionale.

5) Nel tempo che verrà non si potrà più ignorare la nuova fisionomia già assunta di fatto dal rapporto di lavoro. Al di là degli enormi problemi di sicurezza sul luogo di lavoro e delle conseguenti eventuali responsabilità che la pandemia ha fatto sorgere, sarà inevitabile riscriverne lo statuto generale alla luce dell’evoluzione tecnologica e del decentramento conseguente al c.d. smart working: che di “smart”, almeno stando alle prime applicazioni, ha ben poco, rassomigliando invece assai più al telelavoro o, forse, al vecchissimo lavoro a domicilio e al contempo sollevando un’esigenza di protezione dei diritti fondamentali del lavoratore oggi straordinariamente più accentuata del passato proprio per l’invasività delle nuove tecnologie.

Si tratta, ovviamente, di un elenco appena abbozzato; altre, certamente, sono le scosse provocate dalla pandemia e altre saranno le accelerazioni che ne conseguiranno. Ma certo è che, finita la tempesta, non pochi proveranno la sensazione che provò Stefan Zweig quando, in un giorno di marzo del 1919, alla stazione di confine tra la Svizzera e l’Austria, vide passare in treno l’erede dell’imperatore, come un uomo qualunque. E, in quell’attimo, si accorse che era passata la Storia.

 

Roberto Natoli è Professore ordinario di Diritto dell’economia presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Palermo.

 

Nota

1 N. Irti, L’età della decodificazione, Milano, IV ed., 1999, p. 26.