venerdì, Dicembre 6, 2024
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La moralità nella guerra in Ucraina è molto incerta

La guerra in corso in Ucraina viene spesso affrontata da un punto di vista morale. In questo articolo pubblicato di recente su Foreign Policy, Stephen M. Walt, docente di Relazioni internazionali “Robert e Renée Belfer” all’Università di Harvard, fa emergere tutte le difficoltà connesse a questo approccio, facendo riflettere sui dilemmi etici sollevati dalla guerra e dalle posizioni dei diversi attori coinvolti. Sebbene la situazione sembri chiara dal punto di vista morale, oltre che giuridico, con l’Ucraina vittima di un’aggressione illegale da parte della Russia e, come tale, meritevole di solidarietà e sostegno, l’autore suggerisce che l’effettiva valutazione etica di una situazione complessa come questa deve andare oltre i principi astratti e “calcolare” gli effetti di determinate decisioni. Vengono così esplorate diverse prospettive, inclusi i costi potenziali, le probabilità di successo e le implicazioni a lungo termine delle diverse linee d’azione. In conclusione: la moralità di una determinata politica, specialmente se prevede l’uso massiccio di armi e dunque mette in conto un elevato numero di vite umane, non può prescindere da queste considerazioni. Si tratta anche di trarre, se possibile, insegnamenti dalla storia recente dei rapporti tra la NATO e la Federazione Russa (quella storia che ha portato allo scoppio delle ostilità armate alla fine di febbraio 2022) e di evitare azioni che possano danneggiare l’Ucraina nel lungo periodo e rendere sempre più difficile l’avvio di una trattativa per una pace equa e sostenibile nel tempo.

di Stephen M. Walt

Qual è la linea d’azione moralmente preferibile in Ucraina? A prima vista sembra ovvio. L’Ucraina è vittima di una guerra illegale, il suo territorio è occupato da truppe straniere, i suoi cittadini hanno sofferto molto per mano dell’invasore e il suo avversario è un regime autocratico con tutta una serie di caratteristiche sgradevoli. A parte i calcoli strategici, la linea morale corretta è certamente quella di sostenere l’Ucraina fino in fondo. Come ha affermato il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky alla riunione della Yalta European Strategy svoltasi a Kiev tra l’8 e il 9 settembre scorso: “Quando parliamo di questa guerra, parliamo sempre di moralità”. Non sorprende che abbia trasmesso lo stesso messaggio durante la sua visita a Washington lo scorso 22 settembre.

Se solo il calcolo morale fosse così semplice…

Sin dall’inizio della guerra, coloro che sono favorevoli a concedere all’Ucraina “tutto ciò che serve” [whatever it takes] per tutto il tempo necessario hanno cercato di rappresentare la guerra nella modalità comune per gli Stati Uniti: come una semplice competizione tra il Bene e il Male. Dal loro punto di vista, la Russia è l’unica responsabile della guerra e la politica occidentale non ha assolutamente nulla a che fare con la tragedia che ne è derivata. Ritraggono l’Ucraina come una democrazia in difficoltà, ma coraggiosa, che è stata brutalmente attaccata da una dittatura corrotta e imperialista. Considerano la posta in gioco morale quasi infinita, perché l’esito della guerra avrà presumibilmente un impatto di vasta portata sul futuro della democrazia, sul destino di Taiwan, sulla conservazione di un ordine mondiale basato su regole, e così via. Non sorprende che siano pronti a condannare chiunque contesti questa visione come un ingenuo acquiescente, un lacchè russo o qualcuno privo di senso morale.

Nessuna di queste affermazioni dovrebbe essere accettata senza riserve. Non c’è dubbio che la Russia abbia iniziato la guerra e che meriti di essere condannata per questo, ma l’affermazione che la politica occidentale non abbia nulla a che fare con essa è risibile, come ha recentemente riconosciuto lo stesso Segretario Generale della NATO, Jens Stoltenberg. Sì, l’Ucraina è una democrazia, ma anche una democrazia che contiene ancora alcuni elementi sgradevoli, anche se la rappresentazione che ne offre il Presidente russo Vladimir Putin come un “regime nazista” è decisamente esagerata. L’idea che l’esito di questo conflitto avrà un impatto profondo sul mondo è ancora meno convincente: la guerra di Corea si è conclusa con uno stallo e un armistizio negoziato e le guerre in Vietnam, Iraq e Afghanistan sono state chiare sconfitte degli Stati Uniti, ma le conseguenze geopolitiche di questi fallimenti sono state prevalentemente locali; è probabile che lo stesso avvenga in Ucraina, qualunque sia l’esito finale della guerra. Lo stesso vale anche al contrario: la schiacciante vittoria dell’Occidente nella prima guerra del Golfo e la sconfitta della Serbia nella guerra del Kosovo non hanno dato vita a una rinascita democratica duratura. La democrazia è in difficoltà in molti luoghi – compresi gli Stati Uniti – ma le battute d’arresto militari all’estero non ne sono la ragione principale, così come una vittoria decisiva dell’Ucraina non riporterebbe il Partito Repubblicano statunitense alla ragione, né farebbe abbandonare i programmi politici illiberali di Marine Le Pen in Francia e Viktor Orban in Ungheria.

Tuttavia, è comprensibile il motivo per cui quasi tutti in Occidente – me compreso – pensano che il le ragioni morali in questo caso siano a favore dell’Ucraina. Qualunque siano state le paure o le rimostranze di Mosca prima della guerra, la Russia ha iniziato una guerra preventiva illegale. Ciò non rende la Russia unica ad agire contro le regole (che dire dell’Operazione Iraqi Freedom del 2003?), ma l’Ucraina è comunque la vittima in questo caso. La Russia ha deliberatamente attaccato obiettivi civili e ha commesso altri crimini di guerra di dimensioni che superano di gran lunga le violazioni delle leggi di guerra da parte dell’Ucraina (anche se la decisione degli Stati Uniti di fornire a Kiev munizioni a grappolo rende il quadro meno netto). È difficile vedere molte virtù morali in un regime russo che avvelena gli esiliati e rifiuta i principi fondamentali dei diritti umani e in cui gli oppositori cadono da finestre elevate o subiscono altri “incidenti” mortali con una frequenza statisticamente improbabile. Queste e altre caratteristiche spiegano perché la maggior parte di noi prova una sincera simpatia per l’Ucraina e vorrebbe che Kiev “vincesse”.

Ciò che manca in questa visione, tuttavia, è il riconoscimento che la moralità di una determinata politica dipende anche dai costi potenziali delle diverse linee d’azione e dalle probabilità di successo di ciascuna di esse. Se stiamo parlando di vite umane, dobbiamo guardare oltre i principi astratti e considerare le conseguenze reali delle diverse scelte. Non basta proclamare che i buoni devono vincere; bisogna anche pensare seriamente a quanto costerà produrre quel risultato e se sarà effettivamente possibile raggiungerlo. Anche se non c’è modo di essere certi al 100% dei costi o delle probabilità di successo, rifiutarsi di prendere in considerazione questi aspetti significa abdicare alla propria responsabilità morale. (Per un raro tentativo di effettuare il tipo di analisi che sto sostenendo qui, rimando alla lettura del rapporto della RAND Corporation).

La lunga guerra in Afghanistan offre un’illustrazione eloquente di questo genere di problema. Sebbene alcuni osservatori sperassero che i Talebani avrebbero moderato le loro posizioni con il passare del tempo, quasi tutti si rendevano conto che una loro vittoria sarebbe stata una calamità morale per la maggior parte degli afghani, soprattutto per le donne. Chi di noi era favorevole al ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan non lo faceva perché era indifferente alle sofferenze degli afghani, ma perché riteneva che una permanenza più lunga non avrebbe alterato il risultato finale in modo significativo. Coloro che volevano mantenere la rotta continuavano a insistere sul fatto che la NATO e i suoi partner governativi afghani erano prossimi a una “svolta” e che un altro anno, due o tre avrebbero portato a una vittoria; ma non hanno mai identificato una strategia plausibile per raggiungere questo obiettivo (e le valutazioni interne erano molto più pessimistiche rispetto al risultato finale). Qualunque fossero le intenzioni originarie degli Stati Uniti, gli afghani morti mentre Washington era intenta a prender tempo sono morti senza scopo alcuno.

Temo che qualcosa di simile si stia verificando in Ucraina. L’argomentazione morale per perseguire la pace – anche se le prospettive sono improbabili e i risultati non sono quelli che preferiremmo – consiste nel riconoscere che la guerra sta distruggendo il paese e che più dura, più i danni saranno estesi e duraturi. Sfortunatamente per l’Ucraina, chiunque lo faccia notare e offra un’alternativa seria rischia di essere attaccato e condannato a gran voce e, quasi sicuramente, ignorato dai leader politici di riferimento.

Coloro che credono che la risposta a lungo termine sia quella di inviare all’Ucraina armi più avanzate e di farla entrare nella NATO e nell’Unione Europea il più rapidamente possibile – come ha sostenuto lo scorso fine settimana l’editorialista del New York Times Thomas Friedman – comprendono la situazione esattamente il contrario. Putin è entrato in guerra principalmente per precludere questa possibilità e continuerà la guerra sia per evitare che ciò accada sia per assicurarsi che ciò che resta dell’Ucraina sia di scarso valore. Ha senso dare all’Ucraina un sostegno sufficiente affinché la Russia non possa imporre la propria pace, ma tale sostegno dovrebbe essere legato a un serio sforzo per portare a termine la guerra.

Gli “integralisti” avanzano un’obiezione ovvia a queste argomentazioni. “L’Ucraina vuole continuare a combattere”, insistono riportando correttamente un fatto, “e quindi dovremmo darle tutto ciò di cui ha bisogno”. La determinazione dell’Ucraina è stata straordinaria e i suoi desideri non dovrebbero essere ignorati, ma questo argomento non è decisivo. Se un amico vuole fare qualcosa che tu ritieni sconsiderato o pericoloso, non hai alcun obbligo morale di aiutare i suoi sforzi, a prescindere dal suo forte impegno. Al contrario, saresti moralmente colpevole se lo aiutassi ad agire come desidera e il risultato fosse disastroso.

Naturalmente, il peso di queste argomentazioni morali cambia in modo significativo se si crede che l’Ucraina possa vincere a un costo accettabile e che questo risultato avrà un profondo impatto positivo in tutto il mondo. Come già detto, questo è l’argomento centrale del “partito della guerra”. Visti i risultati fin qui deludenti (se non disastrosi) della controffensiva estiva dell’Ucraina, tuttavia, questa posizione è sempre più difficile da difendere. Gli integralisti sperano ora che armi più avanzate (sistemi missilistici ATACMS con con gittata da 140 a 300 km, aerei F-16, fucili M-1, grandi quantità di droni e così via) facciano pendere la bilancia militare a favore dell’Ucraina, ipotizzando anche che la Russia stia esaurendo le riserve e che presto sarà in difficoltà. Spero che abbiano ragione, ma è indicativo il fatto che questi “falchi” tacciano per lo più sulla questione delle perdite subite dall’Ucraina. Per essere precisi: quanti ucraini sono stati uccisi o feriti e per quanto tempo Kiev potrà continuare a rimpiazzarli? Questo aspetto è fondamentale per qualsiasi tentativo di valutazione delle prospettive militari dell’Ucraina, ma è quasi impossibile ottenere informazioni affidabili al riguardo.

A oggi, nessuno di noi sa con certezza come si svolgerà il resto della guerra. La nostra ignoranza collettiva suggerisce che tutti i partecipanti a questi dibattiti dovrebbero mostrare un po’ più di umiltà. È possibile che io stia sottovalutando le possibilità di Kiev e le conseguenze negative di un accordo negoziato. Se dovessi sbagliarmi, sarò felice di ammetterlo e mi consolerò del successo dell’Ucraina. Ma vorrei che gli “integralisti” riconoscessero che il loro approccio intransigente alla guerra potrebbe danneggiare maggiormente l’Ucraina nel lungo periodo. Non perché questo sia ciò che gli “integralisti” vogliono, ma perché questo è ciò che le loro raccomandazioni politiche potrebbero produrre.

Un ultimo punto da tenere a mente. Se abbiamo ancora voglia di attribuire la responsabilità morale della guerra, la colpa non è di chi tra noi ha messo in guardia dai pericoli di un’espansione NATO senza limiti, ha avvertito i rischi di un’interferenza troppo aperta nella politica interna dell’Ucraina e ha sostenuto che gli sforzi per armare l’Ucraina avrebbero potuto avere effetti controproducenti. Putin è responsabile dell’inizio della guerra e del modo in cui la Russia l’ha condotta, ma una parte della colpa di questa tragedia è da attribuire a coloro che in Occidente hanno rifiutato di vedere tutti gli avvertimenti precedenti, rispetto alla direzione che le loro politiche avrebbero potuto prendere. Dato che molte di queste stesse persone sono tra le voci più forti che oggi chiedono di continuare la guerra, di alzare la posta in gioco e di aumentare il sostegno dell’Occidente, è lecito chiedersi se i loro consigli danneggeranno l’Ucraina oggi come hanno fatto in passato.

Fonte: Foreign Policy, 22 settembre 2023.