Oltre alla volontà di stringere nuovi rapporti con paesi al centro della maggiore rotta migratoria verso l’Europa, uno dei principali obiettivi politici perseguiti dall’Italia con Takuba “ è sicuramente anche quello di rafforzare relazioni commerciali in termini di esportazioni di armi per il tramite di un’azienda strategica”. Il ricercatore dell’Ispi Casola si riferisce ai potenziali contratti di cooperazione militare e sbocchi commerciali per l’industria bellica italiana, ventilati da Macron a Conte durante il vertice Italia-Francia organizzato a Napoli il 27 febbraio scorso.

Dal 2017 ad oggi l’Italia ha già stipulato accordi militari bilaterali con Niger, Burkina Faso e Ciad ed è attivamente interessata, come tutte le potenze straniere implicate in questo teatro, allo sfruttamento delle ricchezze del sottosuolo del Sahel. Non è un caso, dunque, che Roma negli ultimi due anni abbia aperto ben tre ambasciate nella zona (in Guinea, Niger e Burkina Faso) e che a breve ne inaugurerà una quarta proprio in Mali, annunciata in calce alla partecipazione alla task force Takuba.

“Creare guerre per vendere armi e usarle per creare ancora guerre è storia troppo conosciuta per stupirsene e per meravigliarsi che certi conflitti armati siano perenni”, scrive Mauro Armanino su Avvenire. Vivendo in Niger da diversi anni, questo prete di frontiera osserva e racconta gli sviluppi di quella che sembra, a tutti gli effetti, una partita a Risiko: “Le forze in campo si sono via via moltiplicate in modo proporzionale ai soldi, ai militari e ai gruppi armati. Si prospetta una guerra di lunga durata che oltre a migliaia di morti sta producendo centinaia di migliaia di sfollati, rifugiati e intere zone abbandonate dallo stato. Il panmilitarismo continua a proporsi come profezia che si (auto)avvera: chi di spada ferisce di spada perisce, sta scritto”.