Il diritto all’educazione al tempo del Coronavirus: in bilico fra rischi e opportunità
di Aldo Fortunati
Il lavoro prova a ripartire lasciando nell’ombra i bambini
Si sente parlare da qualche settimana di riaperture. Voci non sempre coordinate, che fanno percepire che chi spinge è soprattutto il mondo della produzione e dell’impresa, mentre non si vede con chiarezza un progetto che tenga conto delle necessarie garanzie. Viene da sorridere a pensare che – come in realtà tutti sanno, sebbene alcuni facciano finta di non saperlo – una riapertura senza garanzie è solo il preludio di un nuovo scivolone molto doloroso.
Gli ultimi dati sui contagi e i decessi ci dicono, infatti, che siamo semplicemente sullo spiovente del tetto dalla parte della discesa e non più dalla parte della salita, come fino a qualche settimana fa. Ma non ancora in una tranquilla pianura, confortata dalla conquistata “immunità di gregge” o almeno da un valore stabilmente soddisfacente del cosiddetto “indice di riproduzione del contagio”. E se in tutto questo siamo certamente contenti del fatto che i reparti di terapia intensiva non siano saturi, speriamo sia condivisa l’idea che questo non è un buon motivo per allentare le briglie: sarebbe come superare con impudente tranquillità i limiti di velocità perché tanto c’è l’airbag.
Ci si può augurare che siano i tecnici e gli scienziati a riflettere e a proporre, integrando il lavoro di ricerca sul vaccino con quello (per loro meno consueto, ma oggi determinante) di capire se e soprattutto come si può entrare in un’orbita di selettivo e organizzato rientro in condizioni di diminuita emergenza, con la ripresa di alcune attività.
In ogni caso, nella circostanza si conferma che si pensa a come organizzare i luoghi di produzione o in generale di lavoro senza pensare che i lavoratori e le lavoratrici sono innanzitutto persone. E così – come quando si pensa all’utilità di manodopera straniera per lavori che “gli italiani non vogliono più fare”, ma ci si mostra infastiditi dal vedere gli stranieri che, dopo il lavoro, abitano le nostre comunità – si pensa alla ripresa delle attività senza pensare all’impatto di questa decisione in un contesto che vede nidi e scuole chiuse.
Ma nello stesso momento in cui si spinge perché gli adulti tornino al lavoro, le disposizioni emergenziali della “fase 2” offrono ai bambini la possibilità di uscire di casa solo nel caso in cui si vada a fare visita a un congiunto, o di andare al parco ma non di utilizzare le aree giochi, il che la dice lunga sul fatto che i bambini sono stati concepiti negli ultimi due mesi come se fossero fantasmi.
Non ne siamo stupiti, ben sapendo che quando il tema dei diritti dei bambini resta nell’ombra lunga della macchina dell’economia e delle sue esigenze di conciliazione, chi vince in genere è il mondo della produzione, subito dopo si collocano i diritti dei lavoratori (e, in subordine, delle lavoratrici) e solo in fondo, se ne rimane un po’, c’è anche spazio per i bambini.
Il ruolo fondamentale dei nidi e delle scuole dell’infanzia
Sta di fatto che la forzata pausa di questi ultimi due mesi ha reso evidente a tutti il ruolo dei nidi e delle scuole dell’infanzia come indispensabili luoghi di opportunità, benessere ed equilibrio per i bambini e per le famiglie. Ognuno potrà mettere in evidenza di più il fatto che si tratta di luoghi che interpretano concretamente l’idea del diritto all’educazione dei bambini, con la correlata necessità di assumere l’educazione come una responsabilità sociale, da non scaricare solo sulle spalle delle famiglie; o il fatto che solo i servizi educativi e le istituzioni scolastiche (abbiamo riscoperto che vale anche per le scuole elementari e medie) consentono di tenere in equilibrio le responsabilità di cura e di lavoro che – per fortuna – quasi nessuno più pensa di poter ricondurre a una divisione di ruoli fra donne (cura) e uomini (lavoro).
La scuola – soprattutto quella secondaria superiore, come pure l’università, meno la secondaria inferiore e meno ancora la primaria – può tollerare, e persino beneficiare, di espandere la didattica a distanza, restringendo le attività in presenza, sia nei prossimi mesi di necessaria pausa che forse anche dopo. Ma questo non può funzionare di certo per lo 0-6, sia perché la didattica – meglio chiamarla, in questo caso, progetto educativo – è fatta essenzialmente di relazione e di fare. Di una cura della relazione e del fare che non si adatta alla distanza o alle dimensioni virtuali, ma che necessita di condivisione reale.
Per queste ragioni sarebbe opportuno riflettere sul fatto che sostenere economicamente le famiglie affinché possano organizzare situazioni di cura per i loro figli mentre riprendono le attività di lavoro dei genitori – cosa fondamentale, intendiamoci, pur nella congiuntura dell’emergenza sanitaria – non può funzionare di per sé senza il complemento di azioni di rafforzamento del sistema delle opportunità educative. Altrimenti il rischio, reale, è triplice: che i genitori (dicasi, le madri) restino a casa, scambiando i sostegni economici con il proprio desiderio di lavorare; che si alimenti un mercato del lavoro educativo sostitutivo e parzialmente sommerso (le baby sitter) e, anche per questo, sotto-qualificato e sotto-pagato; che anche i bambini finiscano per restare a casa, esclusi da quella dimensione di socialità fra pari che rappresenta la naturale cornice per le loro esperienze di relazione, conoscenza e apprendimento.
Ma, al di là di tutto, quel che sembra mancare all’attenzione è la messa a fuoco di come potranno riaprire proprio quelle attività educative e scolastiche che non solo rispondono a un diritto fondamentale dei bambini e dei ragazzi, ma costituiscono al tempo stesso un ingrediente fondamentale per l’equilibrio conciliativo dei genitori fra responsabilità di lavoro e di cura.
Per un futuro migliore, partendo dai bambini e dall’educazione
Condivido qui cinque punti di riflessione, su cui provare a costruire insieme nuove progettualità, evitando quella possibile regressione del pensiero e delle azioni che, oggi, rischia di far scomparire i diritti dei bambini nel tema della conciliazione vita-lavoro. Si tratta, invece, di assumere consapevolmente la necessità di nuovi patti intergenerazionali, che vadano oltre la frettolosa e improvvida riproduzione di modelli di sviluppo evidentemente dannosi e iniqui.
Vado con ordine, come se scorressi le dita della mano.
1. Una sicurezza realistica
Abbiamo capito che il termine “sicurezza” non si può applicare al presente, almeno fino alla disponibilità di un vaccino, cioè non a breve termine. Così dobbiamo entrare nella dimensione del rischio ragionevole, che sembra voler dire tre cose: azioni diffuse di diagnosi sulla popolazione e isolamento dei casi di contagio; sanificazione ricorrente degli ambienti (anche attraverso i noti dispositivi di protezione, come mascherine e guanti); distanziamento sociale.
Nell’attesa che il punto di vista sanitario definisca le soglie degli indicatori di contesto al di sotto delle quali diventa possibile aprire e quali verifiche anamnestiche e diagnostiche fare nei confronti di bambini, famiglie e educatori, noi possiamo solo dire che guanti e mascherine le potranno indossare gli adulti – non i bambini – e che dunque il distanziamento sociale dovrà essere perseguito attraverso una diminuzione programmata della densità sociale. Il che ci conduce al punto successivo.
2. Nuovi assetti organizzativi
Dunque, controlli sanitari preventivi e diminuzione della densità sociale per ricondurre il rischio a un livello ragionevolmente basso. Ora però ogni regione ha regole proprie rispetto agli standard ambientali dei nidi, ma nessuna normativa prevede meno di 5 metri quadrati per bambino, mentre la scuola dell’infanzia ne prevede 7, sebbene non tutti per le attività didattiche. Inoltre, lo spazio esterno disponibile non è mai inferiore a quello interno, spesso molto più ampio. Ora, se si dimezzasse il numero di bambini compresenti e si integrasse in un’organizzazione unitaria lo spazio interno e quello esterno, per ogni bambino ci sarebbero almeno 20 metri quadrati e non accadrebbe mai che un adulto sia in relazione con più di 5 bambini, talvolta anche solo 3. Tutto sommato, non male.
Naturalmente bisogna riorganizzare gli spazi, dimezzare il numero delle sedie, arredare meglio gli spazi esterni, distribuire nello spazio punti per sanificare spesso le mani. E poi, forse, semplificare la mensa con un piatto unico che ogni bambino può consumare seduto da qualche parte, con accanto un adulto e qualche altro bambino. Modalità da sviluppare con cura, ma non impossibili da realizzare.
3. Condivisione con le famiglie
È un punto assolutamente fondamentale e estremamente delicato. In questo momento sono aperte le iscrizioni ai nidi e si stanno definendo le classi delle scuole dell’infanzia, ma non sembra realistico poter riaprire accogliendo tutti i bambini iscritti contemporaneamente. Diminuire la densità sociale senza abbassare la copertura vuol dire differenziare le possibilità di frequenza e, alla fine, la cosa più semplice è forse prevedere una frequenza al mattino, compreso il tempo del pranzo, e una al pomeriggio per un minor numero di ore. Il tutto da decidere con le famiglie.
Ma se poi non si realizzasse spontaneamente la distribuzione dei bambini nelle due possibilità offerte, potrebbero entrare in campo criteri selettivi tali da privilegiare l’utilizzazione del servizio più lungo al mattino da parte dei bambini con genitori entrambi impegnati in attività di lavoro in presenza (senza possibilità di smartworking). Equilibri delicati e non semplici da far quadrare, ma teoricamente del tutto possibili.
4. Rafforzamento dell’offerta e della diffusione
Gli adattamenti organizzativi di cui abbiamo parlato richiedono interventi sulle strutture dei nidi e delle scuole dell’infanzia attuali. Però ci sono interventi che possono – e dovrebbero – essere programmati anche per rafforzare il sistema dell’offerta, intervenendo in particolare nelle scuole dell’infanzia che hanno perso sezioni negli ultimi anni (2.500 negli ultimi cinque anni, in tutta Italia). In questo modo sarebbe anche possibile adeguare parte dello spazio resosi disponibile all’accoglienza dei più piccoli, attraverso micro-nidi che consentano di alzare le percentuali di copertura dei nidi ancora troppo basse in tante parti del paese.
Non sfugge che, per tutto questo, occorrono risorse finanziarie ma anche progettuali. Pensiamo alle possibili, virtuose sinergie fra comuni e cooperative sociali qualificate e, probabilmente, anche un potenziamento del personale impegnato. Ma in ogni caso si tratterebbe di investimenti utilissimi, anzi fondamentali, per ripartire più forti. Viceversa, è evidente che, se non si utilizzano bene i prossimi mesi in questo senso, il sistema 0-6 ripartirà più fragile e impoverito di prima.
5. Diritto e gratuità
In una fase nella quale sono in via di definizione spese straordinarie per mantenere in vita – e anche vitale – il sistema economico, sembra davvero attualissima e centrale la riflessione su come alcuni investimenti mirati al rafforzamento del sistema 0-6 potrebbero assumere il valore di offrire nuove energie strutturali al “sistema paese”. Alcune centinaia di milioni di euro occorrono per qualificare e rafforzare il sistema dell’offerta; alcune centinaia di milioni di euro occorrono per rafforzare la spesa ordinaria per la gestione dei servizi; alcune centinaia di milioni di euro occorrerebbero per cancellare le rette di tutti i nidi pubblici e anche di quelli privati autorizzati.
Non è poco. Ma non sono certamente oltre la portata delle cose che possiamo e dobbiamo fare in questo momento. Teniamo conto che si tratta non solo spese necessarie per superare l’emergenza, ma soprattutto di un investimento fondamentale per la ripresa e per il futuro. Dobbiamo essere consapevoli che il rafforzamento dell’offerta diffusa di opportunità educative di qualità per l’infanzia non vuol dire solamente riconoscere i diritti dei bambini, ma anche concretizzare politiche inclusive e di pari opportunità quali motori di un progresso culturale, civile ed economico di cui la nostra comunità ha – ora come non mai – assolutamente bisogno.
Aldo Fortunati è Presidente della “Bottega di Geppetto”, il Centro internazionale di ricerca e documentazione sull’infanzia “Gloria Tognetti”, San Miniato.
Le fotografie che fanno da corredo al testo sono del Centro internazionale di ricerca e documentazione sull’infanzia “Gloria Tognetti”.