venerdì, Aprile 26, 2024
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È un momento complicato

Sogni, promesse volano…
Ma poi cosa accadrà?
Che ognuno avrà il futuro
che si conquisterà.

Gianni Rodari, Il futuro

 

Shamsia Hassani, The pianist (ottobre 2020)

Il Covid-19 sta mettendo a dura prova governi, istituzioni, economie, sistemi sanitari, scuole, università, trasporti, persone, rivelando insufficienze, inefficienze, incompetenze, incapacità di previsione, alimentando rabbia sociale e disperazione, producendo disagio fisico e mentale.

L’intera dimensione relazionale che ci caratterizza come esseri umani è stravolta. Le persone più giovani stanno accumulando un serio ritardo nella scolarizzazione e nella formazione della loro identità, con importanti ripercussioni sullo sviluppo futuro delle società. Le persone più anziane, e tutte le soggettività più fragili, risentono del crescente isolamento e delle carenze nei modelli di gestione della cura. Eppure, le criticità messe a nudo dalla diffusione del virus non devono frenarci, ma spingerci a prendere coraggio e operare trasformazioni profonde.

La resilienza e la creatività della fase 1, con gli applausi e i cori dai balconi, la sorprendente disponibilità di una popolazione che si è scoperta seria e scrupolosa nel momento dell’emergenza, hanno lasciato il posto a comunità stanche e preoccupate, angosciate e tristi, percorse da uno strisciante senso di abbandono generato da una sensazione amara: la solitudine che, come cittadini e cittadine, avvertiamo di fronte a istituzioni pubbliche e private incapaci di comprendere le cause profonde della pandemia, di assumersi le proprie responsabilità e di agire in modo conseguente.

Questo sentimento rispecchia anche il cambiamento intervenuto nella “logica di governo” del virus. Presi alla sprovvista, la scorsa primavera abbiamo adottato come approccio il lockdown generale. Poi, a fronte dell’acquisizione “sul campo” di maggiori conoscenze sul virus, dei costi economici e sociali del lockdown, delle rimostranze di strati della popolazione e degli interessi organizzati, si è scelto piuttosto di procedere a chiusure graduali, cercando di proporzionare le misure alle evidenze (il famoso indice Rt).

In ogni caso, “contenere” il virus non può essere sufficiente. Occorre prendere atto della natura sistemica della crisi sanitaria e dei suoi nessi con la crisi ecologica: entrambe affondano le radici nell’assenza di senso del limite, in primo luogo delle risorse naturali, che affligge le nostre società e per essere affrontate richiedono entrambe un cambio di paradigma, nel senso della giustizia ambientale e sociale e della sostenibilità. Occorre abbandonare le politiche sanitarie che, nel corso degli ultimi vent’anni, hanno quasi smantellato la medicina territoriale e fortemente depotenziato il sistema sanitario pubblico, complice la regionalizzazione della sanità che alcune regioni hanno usato per privatizzare le cure. Occorre conferire maggiore efficacia ed equità alle politiche di welfare, oggi troppo categoriali e poco universalistiche, sottofinanziate dalla parte dei lavoratori e sovrafinanziate dalla parte delle imprese, incapaci di dare effettivo sostegno a chi non percepisce reddito a causa della crisi. Occorre ridurre le diseguaglianza globali, a partire da nuove forme di cooperazione internazionale verso i paesi più poveri o meno sviluppati, dove la pandemia rischia di vanificare gli obiettivi dell’Agenda 2030.

Ma, soprattutto, occorre immaginare e condividere una visione alternativa di futuro, in cui ciascuno/a possa fare la propria parte in base alle proprie responsabilità: istituzioni, attori economico-sociali, cittadini e cittadine. Anche perché il momento complicato che stiamo vivendo non è destinato a esaurirsi rapidamente.

Ancora si sente la frase “quando tutto questo sarà finito e torneremo alla normalità…”: come se la fase che stiamo vivendo fosse una parentesi. Se e quando tutto questo sarà finito, noi saremo comunque diversi: come singoli e come collettività. E allora non dovremmo sprecare ancora tempo nell’attesa (che si torni alla “normalità”) e nell’illusione (che sia possibile riprendere le nostre vite da dove le avevamo lasciate). Stare nell’accadimento è l’unica cosa che possiamo fare. Dovremmo starci al cento per cento delle nostre possibilità, mettendo in campo tutte le nostre risorse intellettuali ed emotive, di analisi e di immaginazione, e la nostra cura. E dovremmo riconoscere e valorizzare la nostra interdipendenza, “scoperta” di fronte al virus, per farne occasione di nuovi saperi, dedizione, solidarietà, sviluppo personale e collettivo.

Qualche giorno fa, sulle pagine di un quotidiano, è stato ricordato da Riccardo Luna il concerto di Keith Jarrett a Colonia del 24 gennaio 1975. Gli fecero trovare un pianoforte non solo diverso da quello che aveva chiesto, ma per di più piccolo, scordato e con i pedali fuori uso. Se ne andò offeso, poi tornò, salì sul palco e su quel pianoforte scassato e frettolosamente riaccordato alla meno peggio “letteralmente creò musica per circa un’ora. Suonò in modo incredibile, forse proprio perché sapeva che il pianoforte non era adatto, ci mise una energia e una intensità mai viste, dicono, prima e dopo. Il suo manager registrò l’esibizione e quel concerto è diventato il disco di piano solo più venduto della storia del jazz. Avrebbe potuto non suonare, quella sera, Keith Jarrett: ne aveva tutte le ragioni. E invece ha suonato e ne è venuto fuori il più bel concerto della sua vita. A volte anche noi nella vita non abbiamo il pianoforte adatto e tutto sembra andare storto: ma se abbiamo qualcosa di bello da raccontare, se abbiamo qualcosa di unico dentro, è il momento di dimostrarlo. Da sempre le cose cambiano, le migliori innovazioni succedono, quando usciamo dalla zona di comfort e ci mettiamo a suonare davvero”.

È quello che intendiamo fare con il nostro Magazine (che è indubbiamente già meglio di un pianoforte malandato): renderlo ancora più efficace e stimolante. Continueremo a parlare di Covid-19, ma sempre facendo attenzione a includere nel nostro orizzonte le tante altre sfide che ci troviamo ad affrontare: prime fra tutte la crisi climatica e la necessità di impostare una transizione ecologica socialmente sostenibile. Cercheremo di accogliere nel Magazine voci innovative e critiche, con la speranza di poter dare e approfondire anche buone notizie.

Come quella che viene da un piccolo Stato, l’Honduras, capace di riscattare la sua fama di paese con percentuali altissime di violenza e criminalità compiendo un atto di straordinaria importanza per tutta l’umanità: avendo depositato la cinquantesima firma di ratifica del Trattato di proibizione delle armi nucleari, ne consentirà l’entrata in vigore il 22 gennaio 2021. Da questa data in poi saranno esplicitamente illegali l’uso, lo sviluppo, i test, la produzione, la fabbricazione, l’acquisizione, il possesso, l’immagazzinamento, il trasferimento, la ricezione, la minaccia di usare, lo stazionamento, l’installazione o il dispiegamento di armi nucleari.

Come quella che viene dal Cile, dove lo scorso 26 ottobre si è svolto un referendum di portata storica per la democratizzazione del paese. Indetto in risposta alle forti proteste popolari del 2019, contro le ineguaglianze sistemiche che colpiscono la società in ambito educativo, sanitario e abitativo, il referendum ha chiesto alla cittadinanza di esprimersi sulla modifica della Costituzione adottata ai tempi di Pinochet, e sul corpo politico che avrebbe dovuto scrivere un nuovo testo costituzionale. Una larghissima maggioranza, circa l’80% dei votanti, si è espressa per una nuova costituzione, che sarà scritta da delegati eletti direttamente dalla popolazione.

O, ancora, come quella che viene dalla Spagna, dove il governo ha scelto di finanziare la sanità pubblica e le politiche di sostegno al reddito tassando i redditi più alti, invece che indebitandosi attraverso gli strumenti finanziari dell’Unione Europea.

Altri segnali di cambiamento vanno colti e valorizzati. Come il nuovo governo neozelandese guidato dalla strepitosa Jacinda Arden, che ha da poco nominato un vice dichiaratamente gay, Grant Robertson, e ministra degli esteri la maori Nanaia Mahuta.

O come Kamala Harris, la nuova vicepresidente – la prima donna non bianca – della storia degli Stati Uniti. “La prima ma non l’ultima”, come lei stessa – in abito totalmente bianco in omaggio alle suffragette – ha sottolineato, scandendo: “because every little girl watching tonight sees that this is a country of possibilities”.

Non dimentichiamo che il nuovo Senato vede per la prima volta tra i suoi banchi una donna transgender, Sarah McBride, mentre il Congresso vede la riconferma e l’elezione di diverse donne di origine non bianca. Alexandra Ocasio-Cortez, Ilhan Omar, Ayanna Pressley e Rashida Tlaib, espressione dell’area più progressista del partito democratico e dei movimenti per i diritti civili, sono state rielette con maggioranze molto ampie nei rispettivi distretti. Lo stato del New Mexico ha eletto per la prima volta solo women of colourDeb Haaland Teresa, Leger Fernandez e Yvette Herrell – come proprie rappresentanti al Congresso. Cori Bush è la prima donna afroamericana a essere eletta al Congresso per il Missouri. Il significato di questi risultati, in termini di rappresentanza e democrazia, non può che riportare al centro del dibattito pubblico italiano la necessità di riformare la legge sulla cittadinanza: occorre garantire il diritto di candidarsi e di eleggere i propri rappresentanti a tutte le persone, soprattutto giovani che, sebbene nate o cresciute in Italia, sono riconosciute dalla legge come italiane solo al prezzo di gran fatica, a causa delle origini dei loro genitori.

Se anche potrebbe esserci una lunga battaglia legale prima che lo sconfitto Donald Trump accetti il verdetto delle urne (e del voto postale), intanto milioni di cittadini e cittadine negli Stati Uniti e nel mondo salutano con sollievo Joe Biden nuovo Presidente eletto. E tornano a respirare. Perché – come ha detto, commuovendosi, l’attivista e scrittore nero Van Jones – “ricordate le parole non posso respirare di George Floyd? Ecco, non solo lui, ma molte persone in questi quattro anni non hanno potuto respirare, ogni giorno”.