venerdì, Novembre 22, 2024
DirittiEconomia

I ricchi, i poveri e il Covid-19

di Maurizio Franzini

Di fronte al Covid-19 non si è tutti uguali. Si può certamente dire che il virus è cieco o, magari, che agisce sotto quel velo di ignoranza che spesso è indicato come la condizione indispensabile per ‘fare le cose giuste’. Ma sotto quel velo ci sono situazioni diseguali che rendono diseguali, talvolta drammaticamente diseguali, gli effetti del virus.

Fuor di metafora, la probabilità di restare contagiati dal virus e, nello sventurato caso in cui questo accadesse, di andare incontro a un esito fatale sono molto diverse. Così come sono molto diverse le sofferenze economiche e le deprivazioni che possono scaturire dalla pandemia e dalle risposte che ad essa danno le varie istituzioni.

Tra i fattori responsabili di queste eterogeneità, se così vogliamo chiamarla, un posto preminente spetta alle pre-esistenti disuguaglianze economiche e, più in generale, alle disuguaglianze di benessere che risentono, naturalmente, anche delle caratteristiche e del funzionamento delle istituzioni che del benessere dovrebbero preoccuparsi, ad iniziare dai sistemi di welfare.

I fatti e gli argomenti che possono dare sostegno a questa tesi sono numerosi. Ne scelgo alcuni1. Il primo è la comprovata correlazione tra disuguaglianze di reddito e disuguaglianze di salute. I ‘poveri’, per diverse ragioni, sono in misura assai maggiore dei ‘ricchi’ esposti alle malattie; in particolare, contraggono quelle malattie croniche che spesso si rivelano fatali in caso di contagio (diabete, problemi cardiovascolari, ecc.) ad un’età che è mediamente inferiore di 15 anni rispetto a coloro che vivono in condizioni più agiate. Dunque, anche a parità di rischio di contagio, il tasso di esito letale molto probabilmente sarà assai più elevato, a parità di età, per i ‘poveri’. Le esperienze di altre pandemie lo confermano e così anche i primi dati disponibili per quella in corso. Ad esempio, nelle città americane – complice, probabilmente, il ben poco universale sistema sanitario degli Stati Uniti – il tasso di mortalità dei neri è enormemente più alto di quello dei bianchi. A Chicago è 5 volte superiore. Tra non molto avremo dati per esprimerci in modo più attendibile su questo problema, anche nel nostro paese.

Anche la probabilità di restare contagiati non sembra, però, indipendente dalle condizioni economiche. Infatti, redditi bassi sono largamente associati a lavori precari e scarsamente tutelati. Ciò vuol dire che chi si trova in queste condizioni difficilmente potrà rinunciare – finché non gli verrà impedito – a lavorare e, d’altro canto, in moltissimi casi non potrà svolgere il proprio lavoro da casa. È questa la ragione per la quale il rischio di contagio cresce. Alcuni studi riferiti al comportamento di segmenti di lavoratori deboli nelle passate epidemie confermano la rilevanza di questo fenomeno. E c’è anche il terribile grido che si è sentito risuonare in alcuni angoli del pianeta in queste settimane: ‘meglio restare contagiati che morire di fame’. Da ciò può trarsi un’implicazione tutt’altro che irrilevante: la ‘povertà’ di alcuni può diventare causa di contagio (anche interclassista) per molti altri. Un esempio inedito di costi sociali della disuguaglianza.

Quanto precede si riferisce all’influenza della disuguaglianza economica sulla disuguaglianza nell’esposizione ai rischi sanitari di cui il Covid-19 è portatore. Ma la disuguaglianza economica pre-esistente incide anche – e largamente – sulla intensità della sofferenza economica e della deprivazione conseguente alla pandemia e alla misure adottate per contrastarla. Il caso estremo è quello di coloro che inizialmente si trovavano nelle seguenti tre condizioni: a) perdono tutto o quasi il loro già ridotto reddito; b) non hanno accesso a misure significative di sostegno del reddito, perché il sistema di Welfare non le prevedeva e, magari, anche perché gli interventi di emergenza adottati dopo la pandemia non riescono a raggiungerli; c) si trovano in condizioni di vulnerabilità finanziaria, non hanno cioè un risparmio sufficiente per fronteggiare questa drammatica emergenza.

I dati ci dicono che, in Italia, le persone che si trovavano, anche di recente, nell’ultima delle condizioni elencate erano un numero tutt’altro che irrilevante. D’altro canto, la moltiplicazione delle forme contrattuali, e l’assenza di tutele da parte del Welfare per alcune di esse, rendono piuttosto popolato, nel nostro paese, il mondo di coloro che rischiano forme gravi di deprivazione in assenza di consistenti e ben indirizzate misure straordinarie. Quelle messe finora in campo dal governo vanno in gran parte nella direzione giusta, ma vi sono ancora segmenti di persone ‘deboli’ da raggiungere, in particolare i lavoratori irregolari e varie tipologie di lavoratori autonomi. Occorre aggiungere che la rapidità e la natura degli eventi è stata tale che possono trovarsi senza reddito adeguato anche alcuni di coloro che godevano di entrate elevate e quindi non potevano essere collocati tra i ‘poveri’. La pandemia può, cioè, avere colpito anche soggetti in precedenza forti nel mercato, almeno in termini di capacità di reddito. Per costoro la ‘retrocessione’, almeno quella temporanea, può essere molto netta anche se la probabile maggiore resilienza finanziaria consente loro di non varcare la soglia della deprivazione.

A questo riguardo può essere opportuna un considerazione che riguarda non quello che accade nella parte più bassa della distribuzione dei redditi ma le complessive distanze di reddito, cioè la disuguaglianza in senso proprio. Le distanze tra chi sta in basso, chi sta nel mezzo e chi sta in alto nella scala dei redditi (ed eventualmente della ricchezza) in che direzione si stanno muovendo? Rispondere a questa domanda non è possibile, anche perché non si dispone ancora di dati. Si può, però, ricordare quello che è accaduto in occasione di fenomeni diversi dalla pandemia ma in qualche modo ad essa assimilabili. Mi riferisco ai disastri naturali di varia natura. Numerosi studi dimostrano che, al loro verificarsi, la disuguaglianza cresce e tra i responsabili di questo esito vi è anche l’insieme delle politiche adottate dai governi per far fronte all’emergenza.

Questo fenomeno può verificarsi malgrado gli aiuti destinati ai più deboli. Infatti, anche dopo questi aiuti i loro redditi possono essere inferiori rispetto a quelli di prima della pandemia e, in termini relativi, la loro riduzione può eccedere quella dei redditi più elevati, con effetto di ampliamento delle disuguaglianze. Se si hanno a cuore le disuguaglianze occorre prestare molta attenzione anche a questo aspetto nel decidere le politiche di contrasto alle emergenze.

Le pandemie possono, inoltre, avere effetti di aggravamento di una delle disuguaglianze meno accettabili: quella nelle opportunità. Uno degli esempi più rilevanti riguarda la didattica a distanza. Come è stato ripetutamente osservato essa tende a creare discriminazioni nelle possibilità di apprendimento, a danno dei bambini e dei ragazzi con condizioni familiari svantaggiate, che non si verificano nel caso della didattica in aula. I problemi riguardano la mancanza di dispositivi informatici, ma non soltanto. C’è anche il problema della capacità di fruizione e dei costi (in senso lato) che questa forma di apprendimento pone a carico della famiglia in funzione delle sue condizioni, nelle quali rientra anche il contesto familiare e abitativo. Queste discriminazioni rischiano di aggravare un problema già grave nel nostro paese e cioè quello della disuguaglianza nelle opportunità, in particolare delle opportunità rispetto all’efficace apprendimento da cui dipende in larga misura l’intero profilo di vita a cui si ha accesso.

Un esame più completo dei rapporti tra Covid-19 e disuguaglianze dovrebbe considerare numerosi altri aspetti. Tra di essi vi è anche quello dei probabili lasciti permanenti della pandemia sotto l’aspetto che qui interessa. Limitando al minimo le riflessioni, si può, naturalmente, dire che non è facile fare previsioni, ma è certo che non possiamo attenderci effetti automatici di segno positivo, come, invece, sembra essere stato il caso in altre storiche pandemie. Allora la fortissima riduzione della popolazione, dovuta alla mortalità, permise ai lavoratori sopravvissuti di spuntare redditi da lavoro più elevati grazie, appunto, alla loro relativa ‘scarsità’.

A determinare il futuro saranno certamente le scelte politiche che verranno compiute. In fondo, sono state le politiche adottate (o non adottate) in vari ambiti la causa delle disuguaglianze alte o crescenti degli ultimi decenni. Ci si può augurare che anche grazie alle tragiche vicende di questi mesi, le politiche prendano una direzione diversa dal passato e assegnino alle disuguaglianze – naturalmente, con la necessaria ragionevolezza – un peso maggiore. E vorrei concludere con un esempio che considero particolarmente rilevante. Se si fosse dato maggior peso alle disuguaglianze e si fossero tenute presenti le sofferenze, soprattutto per i più deboli, che una pandemia può causare (e quante risorse in più occorre impegnare per limitare i suoi tragici effetti se ci si fa cogliere totalmente impreparati), forse si sarebbe prestata maggiore attenzione ai segnali che da qualche tempo provenivano dal mondo scientifico sul rischio di una pandemia e si sarebbe cercato di dare concreta attuazione a quel principio di precauzione2 che, pur essendo iscritto nel Trattati europei, non sembra incidere sulle scelte e i comportamenti politici.

 

Maurizio Franzini è professore ordinario di Politica Economica all’Università di Roma “La Sapienza” e coordinatore del Menabò di Etica e Economia. Email: maurizio.franzini@uniroma1.it

 

Note

1 Per una analisi più ampia di alcune dei temi trattati in queste note, rinvio ai miei: “Il Covid19 e le disuguaglianze economiche”, Questione Giustizia, 8 aprile 2020 http://questionegiustizia.it/stampa.php?id=2443 e “La pandemia non è uguale per tutti” Menabò di Etica e Economia, n. 124/2020, https://www.eticaeconomia.it/la-pandemia-non-e-uguale-per-tutti-covid19-e-disuguaglianze/

2 Qualche riflessione in più su questo tema si trova nel mio “Le pandemie come fallimento istituzionale”, Menabò di Etica e Economia, 121/2020 https://www.eticaeconomia.it/le-pandemie-come-fallimento-istituzionale/