venerdì, Aprile 19, 2024
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I diritti sono indivisibili

Esiste un legame stretto tra il riconoscimento della parità di genere e il riconoscimento della comunità Lgbtiq+ e ha le sue radici nell’imposizione dell’egemonia maschile, che pone in contrapposizione alla mascolinità forte sia la femminilità resistente che la mascolinità omosessuale. Questo è la tesi che viene approfondita nell’articolo pubblicato da InGenere, in cui si sottolinea un elemento ricorrente: là dove le donne godono di maggiori diritti si semplifica il riconoscimento della comunità Lgbtiq+, proprio perché i ruoli di genere vengono messi in questione e gradualmente superati. La tesi è sostenuta tramite una ricerca portata avanti in Tunisia, dove l’omosessualità è criminalizzata da un articolo del codice penale e dove sussistono pratiche che violano i diritti umani della comunità. In conclusione, si può affermare che i diritti sono davvero indivisibili: se vengono riconosciuti a un gruppo discriminato, tutti gli altri posti in posizioni subalterne potranno beneficiarne.

 

di Antonella Cariello

 

Molte autrici femministe sostengono che il patriarcato sia la causa non solo della disuguaglianza di genere, ma anche della mancata accettazione dei diversi orientamenti sessuali e identità di genere. Secondo la sociologa Silvia Walby, infatti, l’imposizione dell’eterosessualità come unica forma di orientamento sessuale possibile è in realtà uno dei prodotti della struttura patriarcale della società, un modo per definire e categorizzare i ruoli di genere.

La visione eteronormativa ha sicuramente influito sul modo in cui l’identità binaria maschile e femminile è stata definita negli anni e ha contribuito a creare ruoli di genere fissi. Connell, nel suo studio sulla mascolinità, mostra come nella gerarchia del genere il potere più basso sia rappresentato dalla mascolinità omosessuale che si oppone all’idea di “uomo vero” che si trova invece all’apice della gerarchia. Alla base di questa gerarchia, infatti, sono poste la femminilità resistente e la mascolinità omosessuale, entrambe identità intese come in opposizione all’egemonia maschile e che, di conseguenza, detengono meno potere.

Il legame teorico esistente tra l’emancipazione femminile e l’accettazione della comunità Lgbtiq+ è dunque evidente. Questo legame però si è dimostrato valido anche nello sviluppo storico delle questioni di genere. Se consideriamo la maggior parte degli stati europei, i diritti delle donne hanno di gran lunga anticipato il riconoscimento dei diritti umani della comunità Lgbtiq+ e, a oggi, i paesi dove le donne hanno maggiore uguaglianza sono anche i paesi dove le persone queer godono di più riconoscimenti. Il movimento femminista è, quindi, un fondamentale apripista per l’accettazione della comunità Lgbtiq+, poiché l’affermazione delle pari opportunità delle donne dimostra l’inconsistenza dei ruoli di genere socialmente e culturalmente imposti.

 

Una ricerca condotta in Tunisia

Questi presupposti teorici e pratici sono la base della ricerca che ho condotto in Tunisia per analizzare il legame tra il movimento femminista e la comunità Lgbtiq+. Studiare questo paese ha avuto risvolti interessanti sia per la storia sia per il background culturale che lo legano all’area nordafricana e alla cultura araba. In Tunisia l’omosessualità è criminalizzata con l’articolo 230 del codice penale, ereditato dal periodo coloniale francese, che prevede fino a tre anni per atti di “sodomia”.

Alla luce della nuova costituzione del 2014, che tra le altre cose garantisce il diritto alla privacy, risulta chiaro come l’articolo 230 del codice penale sia di fatto incostituzionale poiché criminalizza un atto privato tra adulti consenzienti. Non si tratta, però, dell’unico articolo utilizzato contro la comunità Lgbtiq+. Le persone trans, infatti, vengono spesso accusate di oltraggio al pudore e alla morale pubblica sulla base degli articoli 226 e 226 bis. La pratica del test anale, infine, considerata una forma di tortura dalle Nazioni Unite, viene ancora utilizzata nel paese per “provare” l’omosessualità.

Questo assetto legale che si oppone al riconoscimento dei diritti umani della comunità Lgbtiq+ è in chiara controtendenza in un paese che è stata la culla della primavera araba e che ha visto tanti progressi nell’ambito dei diritti delle donne. Subito dopo l’indipendenza, ottenuta nel 1956, l’allora presidente Bourghiba bandiva la poligamia, stabiliva il consenso per il matrimonio e dava alle donne il diritto di votare e di divorziare liberamente.

Nel 1993, la Tunisia è diventata il primo paese nel mondo arabo a garantire la trasmissione della cittadinanza da parte della madre, dando così la possibilità alle donne tunisine di passare la propria nazionalità ai figli nati da matrimoni con uomini non tunisini.

Più recentemente, nel 2017 il parlamento tunisino ha approvato una legge fondamentale contro la violenza sulle donne, aumentando le pene e implementando nuove misure per contrastare l’impunità. La stessa legge mette fine alla regolamentazione che permetteva allo stupratore di sposare la propria vittima per non essere punito. Lo stesso anno, la legge che impediva alle donne di sposare uomini non musulmani senza che si convertissero è stata abrogata. Questi avanzamenti legali hanno quindi contribuito a modificare il ruolo delle donne nella società tunisina, restituendo loro potere decisionale e garantendo una sempre più maggiore autonomia e libertà.

 

Come il femminismo può cambiare la mentalità

Dalle interviste condotte sul campo è evidente come gli avanzamenti legali dei diritti delle donne abbiano cambiato la mentalità tunisina. Infatti, secondo Nadhem Oueslati, attivista dell’associazione Lgbt Damj, “oggi vi è una forma di sensibilità nei confronti dei diritti Lgbt. […] Credo che questa sensibilità sia parte di un processo di combinazioni storiche rappresentate dal rispetto dei diritti delle donne in Tunisia […] questo ha contribuito alla mitigazione del patriarcato in Tunisia […] L’emancipazione delle donne in molti settori e la loro liberazione ha permesso di creare una certa sensibilità circa la causa Lgbt. Perché certamente l’omofobia deriva dalla religione e dalla società, ma essa deriva principalmente dal patriarcato”.

Coerentemente a quanto già detto, secondo un’attivista di Mouja, “molta omofobia nasce dal fatto che gli uomini vedono le donne come un essere inferiore, dunque [è impensabile che] un uomo lasci e sacrifichi la propria posizione in quanto uomo per mettersi con un altro uomo”. L’accettazione della comunità Lgbt passa, quindi, anche attraverso la decostruzione dei ruoli di genere.

 

Diritti indivisibili

Un altro aspetto fondamentale che unisce la lotta Lgbt con quella femminista è la consapevolezza dell’indivisibilità dei diritti. Secondo Hamid Bejaoui, membro dell’associazione Mawjoudin, infatti “se ci sono nuove leggi per le donne o per altri gruppi minoritari, queste rinforzano la società e possono beneficiare tutte le altre comunità e minoranze”. Tra gli attivisti tunisini vi è la consapevolezza che il rispetto delle donne e della comunità Lgbt vadano di pari passo poiché, parafrasando le parole dell’attivista di Mouja, non è possibile avere una società che rispetti la comunità Lgbt e che non rispetti le donne. Le due lotte vanno in parallelo.

Il contributo del movimento femminista, in sostanza, è quindi necessario e strategico, non solo per il cambiamento culturale e mentale. La ricerca ha infatti mostrato come l’impegno positivo delle associazioni femministe sia di incoraggiamento alle attività Lgbtiq+, sostenendole e concedendo loro spazi e risorse.

Dalle interviste emerge una maggiore accettazione sociale delle associazioni femministe rispetto a quelle Lgbtiq+ che, di conseguenza, hanno anche un margine di azione più ampio. È dunque evidente come in un contesto come quello tunisino, dove l’omosessualità è criminalizzata, l’apporto del movimento femminista e l’avanzamento dei diritti delle donne stiano avendo un ruolo benefico fondamentale per il riconoscimento dei diritti e per l’accettazione della comunità queer.

La proposta di introdurre corsi di educazione sessuale nelle scuole, che da quest’anno dovrebbe essere effettiva, rappresenta un unicum nel mondo arabo e dimostra, ancora una volta, come il paese stia procedendo verso un’apertura sempre maggiore. La depenalizzazione dell’omosessualità può sembrare un obiettivo ancora lontano, ma la collaborazione strategica tra il movimento femminista e il movimento queer in Tunisia sta contribuendo ad un cambiamento positivo verso l’accettazione delle persone Lgbtiq+.

 

Fonte: InGenere, 3 Novembre 2020.