Gli Stati Uniti e l’OMS
Pubblicato sulla rivista online “il bo live”, l’articolo di Pietro Greco analizza la decisione annunciata da Donald Trump di far uscire gli Stati Uniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (0MS), nonostante i notevoli meriti che essa ha avuto dalla sua fondazione nel 1946. Questa decisione non avrà effetto solo sull’OMS stessa, ma porterà conseguenze tangibili sulla salute di molte persone in tutto il mondo, rischiando di ostacolare la libera circolazione delle informazioni all’interno della comunità scientifica mondiale. L’accusa che il presidente degli Stati Uniti muove all’agenzia delle Nazioni Unite è di essere subordinata alla Cina, ma questa decisione non è un fulmine a ciel sereno: è frutto di una profonda sfiducia dell’attuale Presidente negli accordi multilaterali, evidenziata più volte dal ritiro ormai sistematico degli Stati Uniti dai trattati internazionali anche quando si tratta di affrontare i grandi problemi globali. Ne è un esempio il ritiro dagli Accordi di Parigi sul clima.
di Pietro Greco
Donald Trump ha annunciato il ritiro degli Stati Uniti dall’Organizzazione Mondiale di Sanità (OMS). L’accusa che il presidente degli Stati Uniti muove all’agenzia delle Nazioni Unite è di essere subordinata alla Cina e, per questo, di aver ritardato ad avvisare il mondo che una pandemia era in atto, quella di COVID-19.
Solo un’inchiesta indipendente internazionale fare luce su queste accuse. Intanto, però, la decisione di Trump si presta a tre considerazioni: sugli effetti che la sua decisione produce non solo sull’OMS ma sulla salute globale; il ritiro ormai sistematico degli Stati Uniti dai trattati internazionali (per esempio dagli accordi di Parigi sul clima); il ruolo fluttuante che gli Stati Uniti hanno avuto nel governo mondiale della salute.
Cerchiamo di esaminare più in dettaglio questi tre punti.
Gli effetti immediati della decisione di Trump
In questa ricostruzione faremo riferimento soprattutto a un’analisi della rivista scientifica inglese Nature, che a sua volta fa riferimento ad esperti americani.
Secondo i pareri riportati da Nature la decisione di Trump potrebbe avere effetti tangibili sulla salute di molte persone nel mondo, a iniziare proprio da COVID-19, perché rischia di ostacolare la libera circolazione delle informazioni all’interno della comunità scientifica mondiale. Inoltre l’uscita degli USA dall’OMS potrebbe comportare una ripresa di malattie infettive, come la poliomielite e la malaria. La decisione avrà conseguenze anche sul sistema salute americano, perché gli Stati Uniti «potrebbero perdere la loro influenza sulle iniziative di salute globale, incluse quelle relative alla distribuzione di farmaci e vaccini contro il nuovo coronavirus quando diverranno disponibili».
Nature ricorda come gli Stati Uniti, fino al 2019, sono stati i maggiori finanziatori dell’OMS. La rivista scientifica inglese sostiene che lo scorso anno Washington ha conferito all’agenzia dell’ONU 450 milioni di dollari (altre fonti parlano di quasi il doppio), pari al 15% del budget dell’OMS. Il fatto che il sistema di finanziamento dell’agenzia dell’OMS è molto particolare. Solo il 25% avviene a opera degli stati membri, mentre il 75% avviene a opera di privati. A detta di molti, questo costituisce un’anomalia strutturale che va fatta rientrare (in altri termini occorre ribaltare il peso specifico tra finanziamenti degli stati e finanziamenti privati).
Ma restiamo ai fatti: in questo momento i fondi USA rappresentano il 27% del budget dell’OMS per l’eradicazione della polio; il 19% di quello per il contrasto della tubercolosi, dell’AIDS, della malaria, delle malattie contro le quali abbiamo a disposizione un vaccino. Se non si trova un rimedio alla decisione USA, grandi campagne di vaccinazioni del costo di centinaia di milioni di dollari potrebbero semplicemente sfumare, sostiene David Haymann, un epidemiologo della London School of Hygiene and Tropical Medicine. L’affetto sarebbe un aumento delle morti e delle sofferenze soprattutto nei paesi più poveri.
Ma anche gli Stati Uniti potrebbero perdere molto. Gli scienziati americani che partecipano alle iniziative dell’OMS sono moltissimi e questo permette loro di partecipare a studi che comportano visite anche in paesi che hanno difficili relazioni diplomatiche con Washington (inclusa la Cina). Tutto questo potrebbe andare perduto. Mentre gli Stati Uniti si ritroverebbero in una condizione, inedita nel dopoguerra, di isolamento scientifico in campo medico. L’Unione europea sembra infatti intenzionata a restare nell’OMS e anche ad aumentare la sua quota parte di finanziamenti. È ovvio che nell’ambito di questa agenzia Onu la Cina, senza gli USA, è destinata ad aumentare la sua influenza.
Gli Stati Uniti, dunque, hanno molto da perdere e ben poco da guadagnare. Va anche detto, però, che la sanità mondiale senza l’apporto degli Stati Uniti sarebbe monca. E proprio in un momento in cui ci sarebbe bisogno della massima collaborazione con la maggiore trasparenza possibile tra tutti i paesi del mondo. Solo nell’ambito dell’OMS (o di qualcosa che funga da “governo mondiale della sanità”) è possibile contrastare con efficacia la pandemia causata dal nuovo coronavirus e tutte le altre, presenti e future. Basti pensare a una campagna vaccinale mondiale, egalitaria e articolata: solo l’OMS ha le competenze per realizzarla.
Questo non significa, ovviamente, non analizzare e anche denunciare i limiti di questa agenzia. Ma l’approccio non può che essere quello di rafforzarla, anche con profonde riforme, non certo quello di affondarla.
Il ritiro degli Stati Uniti dagli accordi multilaterali
Non è questa la sede per analizzare l’intera politica estera di Donald Trump. Tuttavia la sua decisione di uscire dall’OMS non è un fulmine a ciel sereno. È frutto di una sua profonda sfiducia negli accordi multilaterali. Anche quando si tratta di affrontare i grandi problemi globali. Uno su tutti: il problema del cambiamento del clima. Trump ha sovvertito la decisione del suo predecessore, Barack H. Obama, di porre gli Stati Uniti insieme alla Cina alla testa di uno sforzo mondiale per ridurre le emissioni antropiche di gas climalteranti. Quella decisione portò, nel 2015, agli accordi di Parigi, che vanno nella giusta direzione, sia pure con una velocità e un’intensità insufficienti a contenere l’aumento della temperatura media del pianeta entro gli 1,5°C o, al massimo, entro i 2,0°C. Nella capitale francese cinque anni fa era già chiaro che quegli accordi avevano dei limiti e che in vista del primo “tagliando”, nel 2020, gli accordi andavano meglio definiti. Avremmo dovuto farlo quest’anno, tra la fine di dicembre e l’inizio di dicembre, a Glasgow in Scozia. La riunione, la COP 26, è però stata rimandata di un anno. La ragione esplicita è stata la pandemia da coronavirus che sconsiglia “assembramenti” anche tra ecodiplomatici.
Ma, forse, non è stata del tutto estranea a questa decisione la volontà di aspettare l’esito delle elezioni americane. Perché magari un nuovo presidente insediato a Washington potrebbe ritornare sui passi intrapresi da Donald Trump. Il presidente in carica ha infatti deciso di uscire anche da questi accordi multilateriali, dando una picconata non da poco allo sforzo per prevenire il più possibile il climate change. Anche in questo caso molto si può fare anche senza gli USA ela gran parte dei paesi si è dichiarata disposta a seguire il cammino intrapreso a Parigi. Ma senza gli USA tutto è più difficile.
Aggiungiamo a questo le grandi difficoltà che stanno vivendo gli accordi, anche bilaterali, sul controllo degli armamenti (in particolare delle armi nucleari) e non possiamo fare altro che constatare che su tutte le grandi minacce che incombono sull’umanità come intero (le pandemie, i cambiamenti del clima, una guerra nucleare) l’approccio di Donald Trump non è certo quello degli accordi multilaterali, tantomeno sotto l’egida delle Nazioni Unite.
Una difficoltà storica
Non è la prima volta che gli Stati Uniti oscillano tra un approccio aperto á la Obama e uno chiuso á la Trump. Anche nel campo della salute e della collaborazione internazionale in tema di sanità. Bernardino Fantini, lo storico della medicina ben noto ai lettori de Il Bo Live, ha ricostruito in molti saggi scientifici la storia di queste collaborazioni internazionali, la cui esigenza appare evidente e inderogabile già a metà del XIX secolo.
A questo proposito, consigliamo di leggere in particolare uno dei lavori di Fantini: Les organisations sanitaires internationales face à l’émergence de maladies infectieuses nouvelles. Limitiamoci qui a un beve riassunto degli eventi essenziali.
Dopo una serie di conferenze internazionali che si sono tenute, per l’appunto, nella seconda parte dell’Ottocento, ecco che gli Stati Uniti si fanno promotori nel 1902 dell’International Sanitary Bureau che diventerà poi Pan-American Sanitary Bureau, che è il primo tentativo di governo internazionale della sanità, sia pure a livelli del continente americano. Ci sono, ancora, gli stati Uniti nel gruppo di 13 paesi (Belgio, Brasile, Egitto, Francia, Gran Bretagna, Italia, Olanda, Portogallo, Romania, Russia, Spagna e Svizzera) che nel 1907 a Roma decidono di dar vita all’Office International d’Hygiene Publique (OIHP). È una struttura piccola, scarsamente finanziata che ha sede a Parigi e che ha funzioni limitate: non può interferire in alcun modo con le politiche sanitarie degli stati membri, ma può solo favorire lo scambio di informazioni su problemi sanitari comuni soprattutto in fatto di colera, peste e febbre gialla. E tuttavia è questa la prima struttura sovranazionale cui partecipano paesi europei. Gli Stati Uniti, il cui presidente è Theodore Roosevelt) sono tra i principali fautori di questo primo grande accordo intercontinentale.
Dopo la Prima guerra mondiale e la nascita, anche su spinta del presidente Woodrow Wilson, della Lega delle Nazioni, il 10 dicembre 1920 viene approvata l’istituzione della Health Organization of the League of the Nations, che inizierà a operare solo nel 1923 con l’obiettivo principale di contrastare le epidemie, anche sulla scorta della tragica esperienza della “spagnola” che ha imperversato per il mondo tra il 1918 e il 1920 uccidendo decine di milioni di persone. I centri di sorveglianza epidemiologica sono due: Ginevra in Europa e Singapore in Asia.
Ebbene, alla Health Organization of the League of the Nations gli Stati Uniti decidono un po’ clamorosamente di non partecipare. Il pendolo della diffidenza verso gli accordi multilaterali si è spostato verso l’altro estremo. Motivo per cui fino alla Seconda guerra mondiale esistono due organizzazione internazionali che si ripromettono di affrontare i problemi sanitari comuni: quello della Lega delle Nazioni e il vecchio Office International d’Hygiene Publique: l’OIHP. C’è da dire che queste due organizzazioni collaborano tra loro.
Poi viene la guerra, il secondo conflitto mondiale, che si chiude nel 1945 con la nascita delle Nazioni Unite, per volontà anche e soprattutto degli Stati Uniti e del presidente Franklin D. Roosevelt. Le Nazioni Unite, che non a caso hanno la loro sede a new York, terranno a battesimo il primo settembre 1948 all’Organizzazione Mondiale di Sanità: l’OMS.
I meriti dell’OMS sono notevoli. Ne ricordiamo alcuni: la lotta alle malattie infettive anche grazie a campagne di vaccinazioni di massa nei paesi più poveri che avranno enorme successo. Non solo l’eradicazione completa del vaiolo, la malattia più mortifera della storia (si calcola che abbia ucciso non meno di un miliardo di persone), dichiarata nel 1980 proprio dall’OMS, ma anche la definizione di salute (che non è solo l’assenza di malattie, ma uno stato di benessere completo, fisico e psichico, della persona) e il riconoscimento che lei, la salute, è un diritto universale degli umani.
Questi successi l’OMS li ha ottenuti anche (e, forse, soprattutto) grazie agli Stati Uniti, dove il pendolo si è spostato ancora una volta verso il multilateralismo.
Negli ultimi lustri, però, molto è cambiato. Si è affermata in molte parti del mondo (a iniziare proprio dagli USA) l’idea che i sistemi sanitari debbano essere soggetti, come tutti i servizi, alle leggi di mercato. Ma soprattutto si è affermata, negli Stati Uniti in primo luogo, l’idea che il governo mondiale, ancorché limitato a pochi ambiti (la salute, l’ambiente, il controllo degli armamenti) sia un’utopia fondata su un baraccone inutile e costoso: le nazioni Unite. Il pendolo del multilateralismo ha iniziato a oscillare di frequente tra i suoi due estremi.
Ecco, dunque, che gli USA già prima della presente Amministrazione sono stati tra i fautori della notevole trasformazione dell’OMS, con il disimpegno progressivo degli stati e l’ingresso auspicato dei privati. Questo ha creato molti più problemi di quanti ne abbia risolti.
Due idee restano, però, ferme in questo processo a tratti caotico. Il primo è che di un “governo mondiale della salute” il pianeta non può fare a meno. Il secondo è che, certo, gli USA non possono fare a meno del mondo. Ma è anche vero che il mondo non può fare a meno degli USA. Dunque non c’è altra strada razionale che rinegoziare il rilancio dell’OMS su basi completamente nuove e nella prospettiva di comprendere tutti i paesi. L’Unione Europea potrebbe (dovrebbe) assumersi questo compito.
Fonte: Il bo live Università di Padova, 30 maggio 2020.