Gaza: quando la fame viene usata come arma
di Gianluca Brunori e Valentina Mangano
La fame come arma
Il 1º giugno 2025, durante il tradizionale incontro con il corpo diplomatico accreditato in Italia in occasione della Festa della Repubblica, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha espresso una ferma condanna delle condizioni umanitarie nella Striscia di Gaza. Ha definito “disumano” che un’intera popolazione, dai bambini agli anziani, venga ridotta alla fame, sottolineando la necessità di un immediato cessate il fuoco e l’accesso agli aiuti umanitari per la popolazione civile.
Oltre che da condannare sul piano morale, tanto più per un paese che si vanta della sua adesione ai valori democratici occidentali, l’uso della fame come arma di guerra è considerato un crimine dal diritto internazionale. L’articolo 8 dello Statuto di Roma, che nel 1998 ha istituito la Corte Penale Internazionale (CPI) come tribunale permanente in materia di crimini di guerra, contro l’umanità, genocidio e aggressione, include la pratica di affamare intenzionalmente, come metodo di guerra, i civili privandoli dei beni indispensabili alla loro sopravvivenza, compreso l’ostacolare intenzionalmente le forniture di soccorso come previsto dalle Convenzioni di Ginevra.
Anche per questo, il 21 novembre 2024, la CPI ha emesso un mandato di arresto nei confronti di Netanyahu, accusandolo di crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi durante il conflitto a Gaza tra l’8 ottobre 2023 e il 20 maggio 2024.
La militarizzazione degli aiuti alimentari
È sempre più evidente che la guerra a Gaza all’indomani del 7 ottobre 2023 è stata caratterizzata da una deliberata strategia di Israele di usare la fame come arma. Già dall’inizio della guerra Israele ha impedito l’ingresso a Gaza degli aiuti umanitari, cedendo solo in minima parte e temporaneamente alle pressioni per ripristinare i flussi.
Dopo la fragile tregua del gennaio 2025, durata fino a marzo, e la ripresa delle ostilità da parte di Israele, l’esercito israeliano ha ripetutamente colpito i punti di distribuzione alimentare e gli operatori delle organizzazioni umanitarie. Secondo molti, questo fa parte di una deliberata strategia per marginalizzare le organizzazioni che fanno capo agli organismi internazionali.
Il 19 maggio, per la prima volta in due mesi e mezzo, Netanyahu ha permesso a una manciata di camion che trasportavano aiuti di entrare a Gaza. Il capo del governo ha affermato di essere stato spinto ad allentare il blocco totale da alleati che non potevano tollerare “immagini di carestia di massa”. “Non dobbiamo arrivare a un punto di fame, sia come questione di fatto che come questione diplomatica”.
Da qui nasce, forse, l’idea di militarizzare gli aiuti. Dopo una campagna di delegittimazione dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati Palestinesi (UNRWA), principale organizzazione umanitaria operante a Gaza, nei primi mesi del 2025 è nata una nuova organizzazione, la Gaza Humanitarian Foundation, con sede in Svizzera e presumibilmente finanziata da Stati Uniti e Israele, con il compito di distribuire aiuti alimentari alla popolazione di Gaza.
Questa organizzazione è stata fortemente criticata perché non opera secondo gli standard umanitari internazionali, anche prima degli episodi violenti che hanno visto cadere uccise decine di persone in fila per gli aiuti.
Gli standard internazionali umanitari per gli aiuti alimentari, infatti, mirano a garantire che l’assistenza fornita in contesti di emergenza sia adeguata dal punto di vista nutrizionale, sicura, equa e rispettosa della dignità e delle specificità culturali delle popolazioni coinvolte.
Il riferimento più autorevole in materia, a livello globale, è lo Sphere Handbook affiancato dalle linee guida di organizzazioni come il World Food Programme (WFP), la FAO, il Codex Alimentarius e i cluster di sicurezza alimentare e nutrizione coordinati dalle Nazioni Unite.
Per quanto riguarda la distribuzione, gli standard prevedono che essa avvenga in modo sicuro, trasparente ed equo. Tutte le persone coinvolte devono avere accesso all’assistenza senza discriminazioni, e il sistema di distribuzione deve essere progettato per prevenire abusi, violenze o esclusioni, in particolare nei confronti di donne e minori.
L’organizzazione logistica deve minimizzare i rischi fisici, tenendo conto di fattori come la distanza, il trasporto e l’eventuale presenza di gruppi armati. L’assistenza deve rispettare i principi fondamentali dell’azione umanitaria – umanità, imparzialità, neutralità, indipendenza – e puntare non solo alla sopravvivenza immediata, ma anche alla costruzione di resilienza e autonomia alimentare nel medio-lungo periodo.
Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) “il nuovo schema di distribuzione è più del semplice controllo degli aiuti. Si tratta di una scarsità ingegnerizzata: quattro centri di distribuzione situati nel centro e nel sud di Gaza, protetti da appaltatori privati della sicurezza degli Stati Uniti, dove i palestinesi che possono raggiungerli riceveranno razioni“. Sempre secondo OCHA, “progettare consapevolmente un piano che non rispetta gli obblighi minimi previsti dal diritto internazionale, è essenzialmente un’ammissione di colpa“.
Le conseguenze della fame
L’Integrated Food Security Phase Classification (IPC), un sistema usato dai principali organismi internazionali per sviluppare analisi comparabili, trasparenti e basate sull’evidenza in tema di sicurezza alimentare, distingue cinque livelli: il primo è quello dell’insicurezza minima, il quinto segnala la carestia (famine).
È importante comprendere come questa pratica di guerra abbia in sé i germi del genocidio. In inglese la fame viene denominata in due modi. Hunger è una carenza di cibo cronica o temporanea, anche molto acuta, che riguarda gli individui. Famine, che in italiano viene tradotta in maniera imperfetta come ‘carestia’, è una catastrofe ben più ampia.
La carestia provoca un aumento estremo della malnutrizione acuta grave, con conseguenze significative soprattutto nei bambini, come deperimento, rachitismo e un indebolimento del sistema immunitario. Nei più piccoli la fame può compromettere irreversibilmente lo sviluppo fisico e cognitivo. Inoltre, la malnutrizione aumenta la suscettibilità a malattie infettive come diarrea, polmonite e morbillo, favorendo, insieme ai danni alle infrastrutture idriche e fognarie e alle condizioni di sovraffollamento, il diffondersi di epidemie. La mortalità aumenta quindi drasticamente, in particolare tra i gruppi più vulnerabili: bambini sotto i cinque anni, anziani e persone con disabilità.
Anche la salute mentale è colpita: vivere una carestia può generare stress post-traumatico, ansia, depressione e perdita di speranza. Dal punto di vista sociale, la carestia costringe intere comunità a spostarsi in cerca di cibo o di assistenza, causando migrazioni forzate e sovraffollamento in aree marginali o nei campi profughi. In condizioni di carestia le famiglie spesso si separano, prendendo decisioni drastiche per la sopravvivenza, come l’ affidamento di bambini o anziani a terzi. La competizione per le risorse scarse può alimentare violenze, furti, contrabbando, conflitti locali e abusi di vario tipo. In altre parole, è l’intero tessuto sociale che rischia di essere disgregato.
Secondo la più recente analisi dell’IPC, il 96% della popolazione di Gaza affronta livelli elevati di insicurezza alimentare acuta, con oltre 240.000 persone in condizioni di carestia (fase 5). Una proiezione al settembre 2025 mostra come, in assenza di eventi significativi di segno opposto, la popolazione in fase 5 potrebbe raggiungere il mezzo milione (Figura 1).
Figura 1. Proiezione dell’insicurezza alimentare nella Striscia di Gaza a settembre 2025 (fonte: IPC).
La deliberata privazione di beni essenziali, il blocco degli aiuti, la distruzione dei canali di distribuzione e la sostituzione delle agenzie umanitarie riconosciute con attori politicizzati non solo violano gli standard umanitari internazionali, ma minano profondamente la dignità e i diritti fondamentali di un’intera popolazione civile.
In un contesto dove il 96% della popolazione vive in condizioni di insicurezza alimentare acuta e centinaia di migliaia sono esposti al rischio concreto di carestia, non si tratta più di una crisi umanitaria ma di un crimine intenzionale su larga scala.
La fame non è solo una conseguenza del conflitto, ma il frutto di scelte strategiche che mirano a piegare le comunità attraverso la privazione. Le sue conseguenze, fisiche, psicologiche e sociali, si estendono ben oltre il campo di battaglia, compromettendo le basi stesse della sopravvivenza e della coesione sociale.
Di fronte a questa realtà, è urgente riaffermare il valore universale del diritto al cibo e la necessità di proteggere le popolazioni civili nei conflitti, secondo quanto previsto dal diritto internazionale umanitario.
In ultima analisi, ribadire la condanna per l’uso della fame come arma non è solo un dovere morale e giuridico, ma un passo indispensabile verso un ordine internazionale più giusto. Gaza oggi ci chiede non solo solidarietà, ma un impegno fattivo per denunciare e per fermare questo crimine. Nessuno potrà dire un domani di non essersene accorto.
Gianluca Brunori è professore ordinario di Politica Alimentare presso l’Università di Pisa. Dal 2024 è Direttore del Centro Interdisciplinare Scienze per la Pace dell’ateneo e Presidente della Società Italiana di Economia Agraria.
Valentina Mangano è professoressa associata di Malattie Parassitarie presso l’Università di Pisa. Dal 2024 è vice-Direttrice del Centro Interdisciplinare Scienze per la Pace dell’Ateneo e membro del Consiglio Direttivo della Società Italiana di Parassitologia.