martedì, Luglio 22, 2025
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L’economia del genocidio: l’ultimo rapporto della Relatrice ONU per il Territorio Palestinese Occupato 

 

di Emma Fanciulli e Arianna Soldani 

 

Lo scorso 30 giugno è stato reso pubblico il terzo rapporto della Relatrice Speciale per i diritti umani nel Territorio Palestinese Occupato, Francesca Albanese. Intitolato From economy of occupation to economy of genocide, il rapporto intende mettere in luce “la macchina imprenditoriale che sostiene il progetto coloniale israeliano di sfollamento e sostituzione dei palestinesi nel Territorio Occupato”, mostrando come sia cambiato il ruolo delle aziende dopo il 7 ottobre 2023. 

Si tratta di un contributo importante all’analisi giuridico-politica del genocidio in corso nella Striscia di Gaza, più volte denunciato dalla Relatrice Speciale e da organizzazioni internazionali per i diritti umani, come Amnesty International, e riconosciuto ormai come tale da studiosi di chiara fama come Omer Bartov. Ma si tratta anche di un richiamo alla responsabilità collettiva – degli Stati, dei governi e di tutti gli esseri umani – contro la macchina economico-finanziaria che accumula profitti attraverso l’occupazione illegale della Palestina e la distruzione del popolo palestinese.

 

Chi guadagna dal genocidio non ha interesse a fermarlo 

Come ha avuto modo di chiarire in numerose interviste rilasciate dopo la pubblicazione del rapporto, Francesca Albanese ha ritenuto necessario denunciare la fitta trama degli interessi economico-finanziari che hanno consentito a Israele di commettere impunemente gravi crimini internazionali, anche per spiegare perché in questi mesi il genocidio non sia stato fermato.

Il rapporto esamina il ruolo di “imprese commerciali, aziende multinazionali, organizzazioni for profit e no profit, sia private, che pubbliche che di proprietà statale”, accomunate dal fatto di aver sostenuto per anni l’occupazione illegale del Territorio Palestinese e di aver tratto profitto, nel corso degli ultimi 21 mesi, dal genocidio. Si tratta di aziende produttrici di armi, imprese di costruzione, industrie estrattive, società tecnologiche, piattaforme turistiche, banche, fondi pensione, assicurazioni, università.

Oltre che sui dati provenienti dai monitoraggi compiuti dalle Nazioni Unite nei decenni passati, la Relatrice Speciale ha fondato il suo lavoro su un nuovo database, composto da un migliaio di entità aziendali. Si tratta di un’imponente mole di informazioni, risultante da oltre 200 segnalazioni ricevute in risposta a una sua richiesta pubblica di contributi, rivolta a centri di ricerca, organizzazioni della società civile e altri enti dotati di documentazioni attendibili.  

A partire da questa vasta base documentale è stato possibile individuare oltre sessanta aziende implicate, a vario titolo, in violazioni gravi dei diritti umani e in crimini internazionali nel Territorio Palestinese Occupato, in particolare nella Striscia di Gaza. Oltre 45 entità citate nel rapporto sono state informate dei fatti che hanno portato la Relatrice speciale a formulare i suoi rilievi e le sue accuse: di queste, solo 15 hanno al momento risposto.

 

Società fornitrici di macchinari pesanti 

Il settore dei macchinari pesanti utilizzati per demolizioni e costruzioni costituisce, da molti anni, uno dei pilastri delle politiche israeliane nel Territorio Palestinese Occupato. Il rapporto ricorda come le attrezzature dei principali produttori mondiali del settore siano state utilizzate per “sfrattare i palestinesi dalle loro terre, distruggendo case, edifici pubblici, terreni agricoli, strade e altre infrastrutture vitali”. Dall’ottobre 2023 questi macchinari sono stati strategici per danneggiare e distruggere il 70% delle strutture e l’81% dei terreni coltivabili nella Striscia di Gaza, contribuendo a rendervi la vita impossibile.

Il rapporto della Relatrice Speciale si concentra in particolare sull’utilizzo da parte dell’esercito israeliano di attrezzature Caterpillar per effettuare nella Striscia demolizioni di massa, tra cui case, moschee e infrastrutture vitali, ma anche per operare raid negli ospedali e schiacciare a morte le persone. Nel 2025, la società si è aggiudicata un altro contratto multimilionario con Israele.

Anche la coreana Hyundai, con la sua controllata parziale Doosan, insieme alla svedese Volvo e ad altre importanti società produttrici di macchinari pesanti, sono da tempo collegate alla distruzione di proprietà palestinesi, fornendo attrezzature all’esercito attraverso rivenditori israeliani con licenza esclusiva. Dall’ottobre 2023 il loro utilizzo è aumentato: l’esercito israeliano vi ha fatto ricorso per portare avanti la distruzione urbana nella Striscia, a partire da interi quartieri di Rafah e Jabalia, oscurando successivamente i loro loghi.

 

Le grandi società tecnologiche 

Il rapporto chiama più volte in causa le grandi società tecnologiche, come Google, Amazon, Microsoft e IBM, ma anche la meno nota Palantir. Nel corso degli ultimi anni, queste società hanno venduto al governo e all’esercito israeliani numerosi servizi informatici: data center, cloud computing, algoritmi di machine learning. Utilizzati nella sorveglianza di massa dei palestinesi nel Territorio Occupato, dopo il 7 ottobre molti di questi servizi sono stati impiegati nelle operazioni militari nella Striscia di Gaza, contribuendo a sviluppare sistemi di intelligenza artificiale finalizzati all’individuazione di “bersagli” umani e infrastrutturali

 

Il complesso militare-industriale 

Prevedibilmente il rapporto riserva grande spazio al settore delle armi, spiegando come il complesso militare-industriale sia diventato la spina dorsale dell’economia israeliana e mostrando come molte delle tecnologie militari esportate dal paese vengano “testate sul campo di battaglia” contro la popolazione palestinese.

Tra il 2020 e il 2024 Israele ha occupato stabilmente l’ottava posizione mondiale come esportatore di armi. Le due più importanti aziende belliche del paese, la privata Elbit Systems e la statale Israel Aerospace Industries (IAI), sono tra i primi 50 produttori di armi a livello globale. Per entrambe le aziende, afferma il rapporto, “il genocidio in corso è stata un’impresa redditizia”. L’aumento del 65% della spesa militare di Israele dal 2023 al 2024 – pari a 46,5 miliardi di dollari, una delle più alte spese militari pro capite al mondo – ha generato un forte aumento dei loro profitti annuali.

La gran parte dei droni, le “macchine di morte onnipresenti nei cieli di Gaza”, è stata sviluppata e fornita proprio da Elbit e IAI. Negli ultimi due decenni, in collaborazione con istituzioni universitarie di prestigio come il Massachusetts Institute of Technology (MIT), le due società hanno integrato i velivoli senza pilota con sistemi d’arma sempre più automatizzati, perfezionando al contempo la loro capacità di volare in formazione a sciame (swarm drones).

Il settore militare israeliano contribuisce in modo decisivo a rinforzare le alleanze internazionali del paese. A titolo d’esempio, l’Italia è in procinto di acquisire da varie società israeliane, tra cui Elta Systems Ltd parte del gruppo IAI, sistemi per aerei spia e satelliti nell’ambito di accordi bilaterali tra i governi dei due Stati. L’acquisizione di sistemi avanzati di sorveglianza e intelligence, sia pur destinati a potenziare le capacità difensive italiane, rappresenta un sostegno economico a Israele: in un contesto in cui è altamente probabile la commissione di crimini contro l’umanità e atti genocidari, questi accordi sollevano profondi interrogativi e configurano il rischio di complicità in crimini internazionali.

Il rapporto ricorda, inoltre, come Israele sia beneficiario del più grande programma di approvvigionamento della Difesa degli Stati Uniti mai realizzato: quello per i caccia F-35. Il programma è guidato dalla statunitense Lockheed Martin, insieme ad almeno altre 1600 aziende, tra cui l’italiana Leonardo S.p.A.  

Il ruolo della principale società di armi italiana nelle operazioni militari in corso nella Striscia di Gaza è stato oggetto di numerose inchieste da parte di Altreconomia. Leonardo avrebbe proseguito la fornitura di assistenza tecnica e di pezzi di ricambio per i velivoli addestratori avanzati M-346, utilizzati dall’aeronautica israeliana per la formazione dei piloti. Sebbene gli M-346 non siano velivoli da combattimento, il loro mantenimento in efficienza è cruciale per la capacità operativa dell’aviazione militare di Israele. La prosecuzione di tali forniture tecniche, anche se relative a piattaforme di addestramento, contraddice le dichiarazioni pubbliche di un’interruzione totale dei rapporti, alimentando il dibattito sulla trasparenza e sulla legalità delle politiche governative in materia di esportazioni militari in scenari di conflitto.

 

Banche, assicurazioni, fondi finanziari 

Il rapporto dedica infine un’intera sezione a quelli che chiama i “facilitatori” dell’occupazione e del genocidio. Si tratta di società finanziarie, enti accademici e di ricerca, servizi di consulenza, media ecc. coinvolti da tempo nel “sostenere l’occupazione coloniale attraverso conoscenze, narrazioni, competenze e investimenti” e che, dopo il 7 ottobre, hanno continuato a “trarre profitto e normalizzare un’economia che opera in modalità genocida”. Il testo si concentra su due categorie di facilitatori in particolare: il settore finanziario e quello accademico. Per esigenze di spazio, ci concentreremo qui solo sul primo.

I titoli del Tesoro israeliano hanno svolto, secondo il rapporto, un ruolo fondamentale nel finanziare le operazioni militari nella Striscia di Gaza. Dal 2022 al 2024, il bilancio militare israeliano è cresciuto dal 4,2% all’8,3% del PIL, portando al contempo a un deficit di bilancio del 6,8% del PIL. Israele ha finanziato la propria spesa militare in forte espansione aumentando l’emissione di titoli di Stato, per 8 milioni di dollari nel marzo 2024 e per 5 miliardi di dollari nel febbraio 2025.  

Alcune delle più grandi banche del mondo, tra cui BNP Paribas e Barclays, hanno acquistato questi questi titoli di Stato rassicurando i mercati e consentendo a Israele di contenere gli interessi nonostante il declassamento nel rating. I più grandi fondi di gestione patrimoniale del mondo sono stati tra i 400 investitori, provenienti da 36 paesi, che hanno acquistato titoli di Stato israeliani: Blackrock per 68 milioni di dollari, Vanguard per 546 milioni di dollari e la controllata di Allianz, PIMCO, per 960 milioni di dollari.

Alcune delle compagnie assicurative globali, tra cui Allianz e AXA, hanno investito secondo il rapporto ingenti somme in azioni e obbligazioni implicate nell’occupazione e nel genocidio, in parte come riserve di capitale per le richieste di risarcimento degli assicurati, ma principalmente per generare rendimenti diretti. Allianz detiene almeno 7,3 miliardi di dollari e AXA, nonostante alcune decisioni di disinvestimento, investe ancora almeno 4,09 miliardi di dollari in varie società citate nel rapporto. Le loro polizze assicurative coprono anche i rischi che altre società devono assumersi quando operano in Israele e nel Territorio Palestinese Occupato, consentendo così la loro “riduzione del rischio”, anche se ciò implica e copre violazioni dei diritti umani.

Anche i fondi sovrani e i fondi pensione risultano tra i finanziatori significativi dell’economia dell’occupazione e del genocidio. Il più grande fondo sovrano del mondo, il Fondo Pensione Globale del Governo Norvegese (GPFG), pur sostenendo di seguire le “linee guida etiche più complete al mondo”, dopo ottobre 2023 ha aumentato del 32% i suoi investimenti nelle società israeliane, raggiungendo 1,9 miliardi di dollari. Alla fine del 2024, il GPFG aveva investito 121,5 miliardi di dollari – il 6,9% del suo valore totale – in varie società citate nel rapporto.

Questi dati si integrano con quelli raccolti dal gruppo di ricerca olandese Profundo e pubblicati da BankTrack sull’acquisto di obbligazioni emesse dal governo israeliano da parte di grandi banche d’investimento come Goldman Sachs (la maggiore, con oltre 7 miliardi di dollari sottoscritti), Bank of America, Deutsche Bank, BNP Paribas, Citi, Barclays e JPMorgan Chase. L’Italia compare in questa lista con Bper Banca, che risulta abbia investito in obbligazioni israeliane 99 milioni di dollari. 

Un ulteriore dato può dare la misura dell’attuale economia del genocidio: l’aumento della spesa militare e dei flussi finanziari verso Israele dopo il 7 ottobre hanno, secondo il rapporto, favorito un aumento record del 179% del valore delle società quotate alla borsa di Tel Aviv, aumento che ha prodotto per gli azionisti un guadagno complessivo di 157,9 miliardi di dollari.

 

Che fare per fermare il genocidio e far rispettare il diritto internazionale

Il rapporto si conclude con un forte richiamo all’obbligo degli Stati di prevenire, impedire e non essere complici di un genocidio, così come prescritto dalla Convenzione delle Nazioni Unite per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (1948).

In questo quadro, la Relatrice Speciale ritiene che la partecipazione diretta o indiretta delle imprese alla commissione di gravi crimini internazionali possa costituire una forma di complicità, di cui i dirigenti aziendali potrebbero (e dovrebbero) essere chiamati a rispondere, specialmente a fronte di una prosecuzione o di una intensificazione dei rapporti con il governo e con l’esercito israeliano dopo il 7 ottobre 2023. D’altra parte l’impegno delle aziende a condurre una due diligence rafforzata nei contesti di conflitto, in conformità ai Principi Guida delle Nazioni Unite su impresa e diritti umani, implica l’obbligo di cessare immediatamente le proprie attività laddove i rischi di violazioni siano noti, evidenti e prolungati nel tempo.

La mancata adozione di misure rapide ed efficaci per far cessare il genocidio, avverte il rapporto, non rischia soltanto di aumentare il livello di distruzione già insostenibile che colpisce la popolazione della Striscia, ma rischia di consolidare l’idea pericolosa che il diritto internazionale possa essere violato impunemente e che lo sterminio di un gruppo umano possa diventare fonte di profitti. Se le aziende richiamate alle loro responsabilità non intendono modificare i propri comportamenti, interrompendo i rapporti in essere con Israele, spetterà ai cittadini e alle cittadine in qualità di consumatori e risparmiatori critici fare pressioni su di loro smettendo di acquistarne i prodotti e i servizi.

 

Emma Fanciulli è laureata in Economia Aziendale all’Università di Pisa e svolge la collaborazione part-time presso il Centro Interdisciplinare Scienze per la Pace.

Arianna Soldani è laureata in Economia Aziendale all’Università di Pisa e svolge la collaborazione part-time presso il Centro Interdisciplinare Scienze per la Pace.