giovedì, Aprile 18, 2024
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Diseguaglianze di genere: istruzioni per uscire dalla crisi

Nonostante la Strategia di Lisbona si ponesse l’obiettivo di un incremento significativo nell’occupazione femminile, pari al 60% del totale, entro il 2010, oggi la disparità fra uomini e donne specialmente in Italia è ancora molto alta. Il basso tasso di occupazione delle donne è un “nodo strutturale, che non stringe solo la vita delle donne ma dell’intero paese”. L’epidemia da Covid-19 ha ulteriormente peggiorato questo scanario. Potrebbe il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) costituire un efficace punto di partenza per assicurare parità di trattamento e opportunità tra uomini e donne? Sul tema riproponiamo l’intervento che inGenere ha presentato nel corso della sua audizione informale presso le Commissioni riunite V (Bilancio) e XII (Affari sociali) della Camera dei Deputati, nell’ambito dell’esame del PNRR. Un maggior impegno verso la tutela dei diritti e delle reali condizioni di lavoro e di vita delle donne potrebbe costituire una “leva per una grande innovazione sociale, economica e anche industriale” del paese, oltre che rispondere a fondamentali esigenze di giustizia.

 

di Redazione inGenere

Al debutto del millennio, la strategia di Lisbona poneva per gli stati membri dell’Unione europea l’obiettivo del 60% di occupazione femminile entro il 2010. Quel decennio è passato, è passato anche il successivo, e le donne italiane sono lontanissime dall’obiettivo. Siamo ancora sotto il 48,6%. Eppure, fino al 2020 il processo di aumento dell’occupazione femminile in Italia, sia pur lentissimo e territorialmente squilibrato, era andato avanti per decenni. Nel 2020 non si è solo interrotto: si è invertito.

 

L’impatto sociale di genere del Covid 19

L’impatto del virus sull’occupazione e sulle condizioni economiche e sociali delle donne, ampiamente documentato e evidenziato in tutto il mondo, è particolarmente evidente e grave nella situazione italiana: meno 1,5 punti percentuali in termini di tasso di occupazione, meno 312.000 occupate da dicembre 2019 a dicembre 2020. Allo stesso tempo, la reazione politica, le risorse e gli strumenti messi in campo dall’Unione europea costituiscono una straordinaria occasione per affrontare il nodo irrisolto della bassa occupazione femminile in Italia: un nodo strutturale, che non stringe solo la vita delle donne ma dell’intero Paese, e la cui soluzione non avvantaggerebbe solo le donne ma l’intera società. Il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) italiano ci permette di cogliere questa irripetibile occasione?

Proveremo a rispondere a questa domanda portando le competenze e le elaborazioni di un gruppo di economiste e studiose sociali, raccolto da un decennio nell’esperienza di inGenere.it (sito di analisi, informazione e proposta politica su economia da un punto di vista di genere, edito dalla Fondazione Giacomo Brodolini). In sintesi, la risposta è: si, a patto che a) si veda il lavoro delle donne non come un “problema” di conciliazione tra vita e famiglia, ma una leva di sviluppo economico, produttivo, tecnologico e sociale; b) che si quantifichino obiettivi, strumenti e tempi; c) che la cabina di regia del PNRR includa paritariamente le competenze delle donne.

 

Quello che siamo obbligati a fare

Le linee guida della Commissione europea per i Piani nazionali di ripresa e resilienza (Commissione europea, 2021) impongono ai governi di spiegare e dettagliare come il piano garantirà equità di genere e uguali opportunità.

Article 15 (3) (ia): “an explanation of how the measures in the plan are expected to contribute to gender equality and equal opportunities for all and the mainstreaming of these objectives in line with the principles 2 and 3 of the European Pillar of Social Rights, and principle 5 of the SDGs and the national Gender equality strategy, where relevant;”

Gli obiettivi sono: assicurare parità di trattamento e opportunità tra uomini e donne in tutte le aree, incluse la partecipazione al mercato del lavoro, i termini e le condizioni dell’occupazione e la progressione delle carriere; il diritto a uguale salario a parità di lavoro; la non-discriminazione; pari opportunità per i gruppi sotto-rappresentati. Gli stati devono dettagliare e dimostrare come i loro piani assicurano il raggiungimento di questi obiettivi, in tutte le missioni che sostanziano il piano. Dunque quello che le linee guida europee ci chiedono è la trasversalità dell’approccio, nella individuazione, costruzione e valutazione delle politiche.

 

Il PNRR risponde a questa richiesta? 

Sì, ponendo la parità di genere, assieme a giovani e Sud, tra le “valutazioni di parità trasversali” (pagina 43). Possiamo dunque dire che un passo in avanti è stato fatto, rispetto a versioni precedenti nelle quali il tema della parità di genere era segregato all’interno di una “missione” specifica, seguendo una vecchia abitudine per cui le politiche “femminili” solo un capitolo tra le varie emergenze sociali da affrontare. Questo vuol dire che tutte le missioni del PNRR devono essere valutate e orientate per il loro effetto sull’occupazione femminile: 1) Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura; 2) Rivoluzione verde e transizione ecologica; 3) Infrastrutture per una mobilità sostenibile; 4) Istruzione e ricerca; 5) Inclusione e coesione; 6) Salute. Nel PNRR, solo le missioni 4 e 5 contengono per ora specifici progetti finalizzati alla parità di genere (la promozione dell’accesso delle donne alle materie STEM, il potenziamento dei servizi per l’infanzia e del tempo pieno, il sostegno all’imprenditoria femminile, il rafforzamento delle infrastrutture sociali a favore degli anziani e delle persone con disabilità).

Mentre è cruciale includere l’obiettivo della parità di genere nelle missioni “digitale” e  “green deal”, settori che partono con un forte squilibrio di genere, il cui sviluppo è necessario e prioritario, ma che – di per sé, non governato –  potrebbe portare a un aumento, anziché una diminuzione, delle diseguaglianze tra uomini e donne. Aggiungiamo inoltre che, anche per le politiche già enunciate e con forte impatto sull’occupazione femminile (dalla cura degli anziani alla sanità territoriale), nel passaggio alla definizione e scrittura dei progetti c’è bisogno di una quantificazione che ancora non si è fatta, o si è fatta poco; per la quale è a disposizione, nel mondo della ricerca e dell’attivismo civile, un patrimonio di studi, riflessioni e strumenti.

 

Quello che vogliamo fare

Va quantificato l’obiettivo: tasso di occupazione femminile al 60 per cento. Obiettivo da raggiungere per tappe negli anni di implementazione del piano e a regime nel 2030. Gli investimenti in ciascuna missione vanno impostati e valutati nel loro contributo al raggiungimento di questo obiettivo. Una consolidata letteratura e linea di ricerca ha dimostrato l’efficacia degli investimenti in infrastrutture sociali, nel loro agire sia sul lato dell’offerta che della domanda di lavoro. E soprattutto, che la “cura” non è solo assistenza ma può diventare la leva per una grande innovazione sociale, economica e anche industriale. La trasversalità dell’approccio di genere diventa qui una ricetta economica che rompe la distinzione tradizionale tra le politiche sociali (redistribuzione, assistenza) e quelle economico-produttive.

 

Un esempio: cura degli anziani e politica industriale

L’emergenza Covid 19 ha evidenziato la necessità di una profonda riforma del sistema di assistenza e cura per gli anziani, già evidente di fronte alle sfide dell’invecchiamento della popolazione. Tuttavia, queste linee sono sparse nelle varie missioni e legate a una pluralità di obiettivi spesso non omogenei. È necessario connettere, secondo il principio della trasversalità, gli interventi nelle diverse missioni. La riforma della cura degli anziani va collegata a strumenti e soluzioni innovative, che utilizzino la tecnologia per agevolare il lavoro di assistenza e cura, mettere in rete le persone e le strutture, portare nelle case e nelle residenze gli strumenti necessari. L’innovazione tecnologica nella cura potrebbe diventare così un fattore di politica industriale. In altri termini, l’uso delle tecnologie innovative nel settore della cura può fare da volano per una domanda pubblica e privata di tecnologie per l’assistenza, e così diventare un traino all’innovazione e uno strumento di politica industriale a supporto della produzione domestica, come già succede in altri paesi d’Europa. Con un impatto positivo sull’occupazione femminile – in quantità e qualità – e su tutta l’economia.

 

Asili nido: obiettivi regionali, offerta a tempo pieno e flessibile

Un altro esempio di politiche “per le donne” che non servono solo alle donne è quello degli asili nido. Il PNNR ne prevede il potenziamento, e correttamente inserisce questa misura nella missione dell’istruzione: i nidi servono soprattutto ai bambini, al loro sviluppo cognitivo, e alla riduzione nella differenza di opportunità di partenza. L’Italia, salvo che in alcune regioni, è distante dagli antichi obiettivi della strategia di Lisbona,  e dalle nazioni-faro dell’Unione europea (la Danimarca è al 71.7%, la Svezia al 52,7%) (Commissione Europea 2019). L’obiettivo posto nel PNRR va valutato alla luce di rigorosi parametri quantitativi; e dovrebbe essere posto non nella media nazionale, ma per ciascuna regione. Ma soprattutto la nuova offerta di asili dovrà essere a tempo pieno e con orari flessibili. Una errata o mancata quantificazione dei costi e dei benefici, anche in relazione ai bisogni dei giovani genitori lavoratori, potrebbe portare il rischio di creare nuovi asili ma senza domanda; oppure di far cadere un carico eccessivo sui Comuni.

Molti altri esempi si potrebbero fare  (dal disegno della “mobilità sostenibile” in relazione ai tempi delle donne e degli uomini nelle città; alle misure per incrementare la presenza delle donne nei settori del digitale e del green, per esempio partendo da una clausola di preferenza nei bandi pubblici, a parità di altre caratteristiche, per le imprese con maggiore occupazione femminile) e molte proposte e materiali di ricerca sono a disposizione, nella comunità scientifica e nell’attivismo associativo delle donne.

 

La necessità di una governance paritaria

Il tema della governance del PNRR, molto discusso all’inizio del percorso, è stato per ora accantonato. Una vasta campagna di opinione chiede una presenza paritaria delle donne nella cabina di regia del PNRR. Sarebbe paradossale se un piano improntato, secondo le linee guida citate all’inizio, al perseguimento dell’obiettivo della parità di genere, fosse affidato dalla sua ideazione alla sua realizzazione a una struttura non paritaria. Purtroppo questa non farebbe che ricalcare il drammatico squilibrio nella leadership che, soprattutto nella scena politica e istituzionale, caratterizza il nostro Paese. Una presenza paritaria delle donne è dunque una condizione minima; alla quale ne va affiancata un’altra, necessaria, che è quella del portare nella sede decisionale il bagaglio di competenze in tematiche di genere che in tutti i campi nella comunità scientifica e nella società civile si sono costruite e che non hanno finora trovato sufficiente accesso alle sedi decisionali.

 

Riferimenti bibliografici

Bettio, Francesca e Gentili, Elena, Quota quaranta per arrivare a sessanta, inGenere, 2020

Commissione Europea, Key data on early childhood education and care in Europe, 2019

Commissione Europea, COMMISSION STAFF WORKING DOCUMENT GUIDANCE TO MEMBER STATES RECOVERY AND RESILIENCE PLANS, 2021

Istat 2020a, Il mercato del lavoro, III trimestre 2020

Istat 2020b, Occupati e disoccupati, dicembre 2020, dati provvisori

ITUC, Investing in the care economy, 2016

Kenny, Barbara, Non esiste una ripresa taglia unica, inGenere, 2021

Rosselli, Annalisa e Simonazzi, Annamaria, La ricetta contro la crisi si chiama “infrastrutture sociali”, inGenere, 2016

 

Fonte: InGenere2 febbraio 2021.