Diritti e genere, tra regressioni e resistenza
a cura di Giovanna Spanò
Innegabile appare la tendenza a una generale degradazione dei diritti – nonché del costituzionalismo dei diritti – quale fenomeno trasversale che ha interessato e tuttora condiziona diversi sistemi euro-occidentali, pur non limitandosi a questi ultimi.
Nazionalismi, populismi e derive identitarie escludenti rappresentano, d’altro canto, argomenti scandagliati e approfonditi dalle più diversificate dottrine: dall’indagine giuspubblicistica a quella comparatistica, dalle discipline sociologiche alla filosofia politica e critica. Nondimeno, le interazioni tra questi trends e le questioni di genere, oltreché, naturalmente, il loro impatto sui diritti delle donne, richiedono, forse, uno sforzo analitico ulteriore, che impone di osservare e riflettere sul come questi fenomeni – sociali e politici – possano cedere il passo e preparare terreno fertile verso modelli regressivi in tema di diritti. Soprattutto, muovendo dalla consapevolezza per cui tutele e garanzie, presidiate e salvaguardate per lunghi periodi – quali dati quasi del tutto acquisiti, appunto – possano essere (ri)discussi, rinegoziati e, nei casi più gravi, perfino (rin)negati.
Diversi esempi si registrano proprio all’interno del cosiddetto modello euro-occidentale e si potrebbe citare, tra gli altri, il caso polacco. Il governo ha fatto esplicitamente ricorso a “concetti ideologici” per mettere in discussione la Convenzione di Istanbul, scelta politica che intaccherà irrimediabilmente le sorti e le vite delle donne polacche. Come paradigma ricorrente in derive associate a processi di degradazione costituzionale, l’indipendenza del potere giudiziario è uno tra i primi presidi della democrazia a vacillare, sulla spinta di interessi eterodiretti o per via della totale diluizione del ruolo di garanzia del sistema e nel suo complesso. Segnatamente, anche a causa della progressiva politicizzazione del potere giudiziario a tutti i livelli, a scapito di una formale imparzialità, ancor più severa, qualora si discuta di corti apicali o corti costituzionali. In consonanza con un’agenda politica fortemente sbilanciata a favore della maggioranza e senza contrappesi al suo strapotere, la medesima Corte costituzionale polacca ha, ad esempio, ulteriormente inasprito la normativa nazionale sull’aborto ritenendo costituzionalmente illegittima la disposizione che lo consentiva in caso di malformazione del feto, di fatto ridiscutendo i diritti riproduttivi delle donne polacche, nonché una titolarità libera (e sicura) sul proprio corpo.
Al contempo, sia in Ungheria che in Polonia, sono state emanate leggi discriminatorie dei diritti LGBTQI+ – con la consapevolezza che, qui come altrove, simili interventi sottendono, spesso, certi modelli di mascolinità – con la conseguente minaccia da parte delle istituzioni europee di una procedura d’infrazione per il mancato rispetto della rule of law. Non a caso, questi dati allarmanti hanno ingenerato una riflessione di più ampio respiro – anche su sollecitazione, tra gli altri, del Parlamento europeo – sì da affrontare la questione da una prospettiva che includesse una netta correlazione tra gli scenari richiamati e la profonda crisi dello stato di diritto.
Com’è noto, però, se i populismi, i nazionalismi, i suprematismi sono tendenze transazionali e globali, l’Europa non ne appare l’unico epicentro. Indubbiamente, aspre polemiche sono state sollevate anche in merito alla recente sentenza della Corte Suprema americana sul diritto all’aborto, che, con l’overruling di Roe v. Wade, ha “ritrattato” i diritti di milioni di donne e segnato un passo indietro – ancora, una regressione – rispetto a garanzie considerate non (più) negoziabili. E, allo stesso tempo, non può sottacersi come questo sia l’effetto di una precisa agenda politica, che, in questo frangente più che in altri, traduce e compendia le opinioni, le idee, le visioni (etiche, politiche e morali) di una certa maggioranza.
Degrado costituzionale e regressione dei diritti di genere appaiono, dunque, fortemente interrelati, e l’analisi che si proponga di studiarne dinamiche e paradigmi non può prescindere da un’osservazione speculare sull’attuale tenuta della democrazia e dello stato di diritto. Come quadro più ampio, entro cui questi fenomeni operano, circolano, si mimetizzano, o si “annunciano”, minacciandone le fondamenta.
Peraltro, genere, populismo, politica, politiche e Rule of Politics, discriminazioni e stato di diritto, oltre a rappresentare fenomeni intrinsecamente legati, sono idonei a sviluppare molteplici direttrici, percorsi, scambi, a seconda dei sistemi e dei modelli in cui (inter)agiscono. Sembra dunque essenziale e urgente contribuire al dibattito sui processi di democratizzazione e la loro antitesi, sulla crisi dello stato di diritto e le sfide al costituzionalismo globale, per indagarne cause, effetti, e, ove possibile, rimedi.
A tal fine, il progetto EUWONDER del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Pisa, coordinato dalla professoressa Elettra Stradella, insieme con la Rete di Università Circle-U, si propone di approfondire le tematiche citate in un Workshop Internazionale “Gender and Populism in Europe and Beyond” (Pisa, 12-13 ottobre 2023) dedicato alle questioni sinteticamente richiamate. Per i dettagli, si segnala la pubblicazione di una Call for abstracts sul sito del progetto EUWONDER, con scadenza per l’invio delle proposte fissata per il 31 marzo 2023.
Giovanna Spanò è assegnista di ricerca in Diritto Pubblico Comparato presso l’Università di Pisa. Insegna Diritto Musulmano e dei Paesi islamici presso il Corso di Scienze per la Pace, Trasformazione dei Conflitti e Cooperazione allo Sviluppo dell’Università di Pisa. I principali interessi di ricerca riguardano i sistemi basati sulla Sharīʿa da una prospettiva costituzionale macro-comparativa, il pluralismo e il particolarismo giuridico, l’Islam politico, i diritti delle minoranze.