COP27: un bilancio di Sharm el-Sheikh
di Isabel Signorini
Dal 6 al 18 novembre 2022 si è tenuta a Sharm el-Sheikh, in Egitto, la ventisettesima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, meglio conosciuta come COP27. Si è trattato della riunione dei paesi che hanno ratificato la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, convocata annualmente allo scopo di fare un bilancio della situazione e di promuovere azioni sempre più efficaci per ridurre le emissioni di gas serra, così da frenare il riscaldamento globale e ridurne gli effetti.
Le aspettative suscitate dalla Conferenza non sono state però soddisfatte, lasciando diversi punti interrogativi senza risposta e molti problemi ancora aperti: molti osservatori hanno infatti parlato, a proposito del documento operativo finale adottato, di un passo indietro rispetto alle decisioni prese a Glasgow, nel corso della COP precedente.
Alcune decisioni dai potenziali effetti positivi
Alcune decisioni assunte dalla Conferenza meritano, tuttavia, di essere riconosciute in quanto potrebbero portare miglioramenti alla condizione in cui l’ambiente si trova attualmente a causa della crisi climatica.
La prima decisione riguarda l’attivazione del fondo Loss & Damage (letteralmente “perdite e danni”). Si tratta di un fondo destinato a finanziare le azioni di mitigazione e di gestione delle conseguenze negative e dei rischi ambientali causati dalla crisi climatica, come l’innalzamento del livello del mare, la desertificazione, l’acidificazione del mare, gli incendi boschivi, l’estinzione delle specie, i fallimenti dei raccolti e gli eventi meteorologici estremi, come le inondazioni e le ondate di caldo prolungate. Con il dispiegarsi della crisi climatica, questi fenomeni si verificheranno sempre più frequentemente e le conseguenze andranno ad aggravarsi, pesando soprattutto sulla popolazione dei paesi più poveri e vulnerabili della Terra.
L’idea di un fondo Loss & Damage risale al 1992, a suo tempo concepito come risposta collettiva alle gravi difficoltà dei piccoli stati insulari, che sarebbero stati fortemente colpiti dall’innalzamento dei livelli del mare. Il compito di definire i beneficiari e i criteri per accedere alle risorse, e i finanziatori del fondo stesso, spetterà a una commissione creata ad hoc, che dovrà presentare le proprie conclusioni il prossimo anno.
La seconda decisione rilevante riguarda la riforma del sistema finanziario delle Banche multilaterali: un’iniziativa battezzata “Bridgetown”, dal nome della capitale delle Barbados, poiché la proposta viene dalla prima ministra dello stato caraibico, Mia Mottley. Le grandi banche, infatti, non sono tenute a erogare crediti agevolati per progetti legati al contrasto del cambiamento climatico; inoltre, pongono dei limiti per sostenere i paesi in via di sviluppo, a causa del loro elevato debito pubblico o di procedimenti di default in corso.
Con l’iniziativa “Bridgetown” le banche multilaterali di sviluppo sono state incoraggiate a definire una nuova visione e un nuovo modello operativo per affrontare adeguatamente e rapidamente l’emergenza climatica globale, compreso l’uso di una gamma completa di mezzi specifici, dalle sovvenzioni alle garanzie fino a strumenti diversi dal debito. La Direttrice dell’Fondo Monetario Internazionale, Kristalina Georgieva, ha accolto positivamente questa iniziativa: la speranza è che il seme gettato alla COP27 possa portare a una proposta concreta nella prossima primavera.
Un’altra decisione della COP27 che merita di essere ricordata riguarda il riconoscimento del ruolo fondamentale delle fonti rinnovabili nella transizione ecologica che, per quanto possa apparire strano, non era fin qui stato espressamente menzionato. L’energia solare, eolica e geotermica hanno trovato ampio spazio nel documento finale della conferenza, che sottolinea “l’urgente necessità della riduzione immediata delle emissioni globali di gas che causano l’effetto serra, attraverso la transizione alle energie rinnovabili e a quelle a basse emissioni, auspicando l’eliminazione dei sussidi alle fonti fossili”.
Per la prima volta in un accordo finale della COP, inoltre, si parla ampiamente di agricoltura lanciando un piano quadriennale per ridurre le emissioni di gas serra in ambito agricolo e per aumentare la sicurezza alimentare.
Nessun miglioramento sul fronte della riduzione delle emissioni
Nel corso della COP27, il Commissario Europeo per il clima Frans Timmermans ha annunciato che l’Unione Europea è pronta a studiare una riduzione delle proprie emissioni di gas serra pari al 57% entro il 2030. L’annuncio è stato, tuttavia, fortemente criticato dalle organizzazioni non governative: “Un aumento di due punti percentuali è ben lontano dal 65% di cui avremmo bisogno”.
La proposta dell’Unione Europea si colloca in un quadro decisamente negativo per quanto riguarda gli obiettivi di riduzione delle emissioni, garantendo ancora un futuro ai combustibili fossili, mentre il contrasto della crisi climatica richiederebbe una svolta più radicale verso la decarbonizzazione. Le decisioni sulla riduzione dell’uso del carbone, la fonte fossile in assoluto più dannosa per il clima, sono state decisamente modeste. Ci si è limitati a chiedere di “accelerare gli sforzi per una riduzione progressiva dell’uso [del carbone] senza sistemi di recupero della CO2”.
Il documento finale mantiene l’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale entro 1,5° C rispetto ai livelli pre-industriali, il maggior risultato della COP26 di Glasgow dello scorso anno. La COP27 riconosce che, per mantenere tale obiettivo, è necessario ridurre le emissioni del 43% entro il 2030. Con gli impegni di decarbonizzazione attuali, tuttavia, il taglio di emissioni sarebbe soltanto dello 0,3%. Per questo gli stati che non hanno ancora aggiornato i loro obiettivi di decarbonizzazione sono stati invitati a farlo entro il 2023. Per arrivare a zero emissioni nette nel 2050 è stato stimato che sarà necessario investire fino al 2030 4.000 miliardi di dollari l’anno in rinnovabili, e altri 4-6.000 miliardi di dollari in economia a base emissioni.
Non a caso il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha commentato: “Dobbiamo ridurre drasticamente le emissioni e farlo ora. Ed è una questione alla quale la COP27 non ha dato risposte”. “Il mondo non ci ringrazierà quando, domani, da noi sentirà arrivare solo scuse – ha aggiunto il Commissario Timmermans. Ciò che abbiamo fatto è un passo avanti troppo limitato per gli abitanti della Terra. Non abbiamo visto sforzi supplementari da parte dei principali responsabili delle emissioni di gas ad effetto serra”.
Le forti criticità del contesto egiziano
Fin da prima dell’inizio della conferenza la scelta dell’Egitto come paese ospite ha sollevato numerose critiche a livello internazionale. Molti, infatti, hanno ritenuto quanto meno problematico svolgere un incontro di tale livello in un paese che vive da quasi dieci anni sotto un duro regime autoritario, in cui il dissenso e la libera espressione delle opinioni espone alla repressione governativa e al carcere duro. Si stima siano quasi 60.000 gli attivisti incarcerati ingiustamente da quando il generale Al-Sisi ha preso il potere, nel 2013, con un colpo di stato militare.
Tra gli attivisti tuttora detenuti si trova Alaa Abdel Fattah, uno dei più noti prigionieri politici del regime egiziano, che da tempo conduce uno sciopero della fame nella sua cella del carcere del Cairo, tentando di fare pressione sui suoi carcerieri ma anche sul governo britannico, di cui è cittadino dall’aprile di quest’anno. Ripetutamente imprigionato, con accuse strumentali, per il proprio attivismo contro il governo e per la democrazia, il giornalista è stato iscritto nel novembre 2020 nell’elenco nazionale dei terroristi da parte della Corte Penale del Cairo, decisione confermata dalla Corte di Cassazione.
La sua detenzione serve al governo egiziano come avvertimento contro tutti coloro che si impegnano per costruire un futuro democratico nel paese. Alaa Abdel Fattah scrive settimanalmente varie lettere: per la sua famiglia rappresentano la prova della sua sopravvivenza, per i suoi sostenitori sono invece un motivo per continuare a sperare e lottare. Per la COP27 ha scritto una lettera dedicata alla crisi climatica, ma nessuno sa che fine abbia fatto, perché non è mai stata recapitata alla madre. Lui stesso ha spiegato, in altre lettere, che “parlava del riscaldamento globale a causa delle notizie provenienti dal Pakistan”: era rimasto molto colpito dalle recenti alluvioni nel paese, che avevano causato morti e milioni di sfollati, e riteneva giustamente che simili eventi meteorologici estremi erano solo un presagio dei futuri disastri climatici. Molto probabilmente la lettera è stata censurata perché riguardava “l’alta politica” e conteneva un’ennesima denuncia del regime.
Quale società civile?
Al contrario delle passate edizioni della COP, quella che si è svolta in Egitto non ha avuto veri partner locali della società civile. Ci saranno alcune organizzazioni e singoli egiziani che sono stati selezionati e approvati dal governo, che hanno asserito di rappresentare la “società civile” e che hanno parlato esclusivamente di argomenti “accettabili”, come la raccolta di rifiuti e il riciclo, le energie rinnovabile e la sicurezza alimentare.
Tra le persone che hanno mostrato la loro perplessità per la scelta del luogo dove svolgere la COP27 figura anche Greta Thunberg, che ha dichiarato mesi prima che non avrebbe partecipato agli eventi paralleli tradizionalmente organizzati dalla società civile. Diverse le ragioni della sua scelta: innanzitutto perché “in Egitto lo spazio per la società civile sarà estremamente limitato”; in secondo luogo, perché “la COP viene sempre più usata come un’opportunità per i leader mondiali e le persone al potere per ottenere attenzione e attivare vari tipi di greenwashing”, ossia un ambientalismo di facciata che, dietro le buone intenzioni, mira a far proseguire il business as usual. Il giudizio politico di Greta Thunberg sull’evento in sé è molto critico: queste conferenze, a suo avviso, non hanno veramente l’obiettivo di “cambiare l’intero sistema”, ma si limitano a incoraggiare un progresso graduale di adattamento al cambiamento climatico.
Su analoghe posizioni critiche si trovano le organizzazioni di movimento più consapevoli e determinate, come Extinction Rebellion. Così si sono espressi gli attivisti italiani del movimento sulla COP27, a cui hanno deciso di non partecipare: “Lo diciamo da tempo: non deve cambiare il clima, bisogna che cambi questo sistema tossico, dal punto di vista economico, culturale, sociale, ecologico, spirituale. Dobbiamo costruire una cultura rigenerativa, basata sulla nonviolenza, sulla cooperazione, sulla democrazia diretta”.
Numerose associazioni ambientaliste hanno criticato gli organizzatori della COP per aver incluso tra gli sponsor la Coca-Cola, multinazionale statunitense nota per le sue politiche estrattiviste e anti-sindacali, ma soprattutto per il fatto che quest’anno la delegazione più consistente è stata quella formata da più di 630 lobbisti delle compagnie dei combustibili fossili. Moltissimi paesi del Sud globale sono sotto-rappresentati e numerosi attivisti non hanno avuto accesso al paese, a causa delle difficoltà con i visti e la mancanza di fondi.
Nonostante questi limiti, tra le associazioni italiane Legambiente ha cercato di vedere nella COP27 un’opportunità per portare avanti la propria agenda. “Siamo di fronte a sempre più preoccupanti disastri climatici, causati da eventi estremi” ha dichiarato Stefano Ciafani, Presidente nazionale dell’associazione. Tali eventi “hanno colpito ogni angolo del pianeta, compreso il nostro paese. A pagarne le maggiori conseguenze saranno soprattutto i paesi più poveri e vulnerabili”. Ed ha aggiunto: “Non c’è più tempo da perdere. Servono impegni concreti da parte delle maggiori economie del pianeta, a partire dall’Europa con il pieno sostegno dell’Italia, in grado di costruire un largo consenso su un pacchetto di decisioni che si traduca in un Accordo di Sharm el-Sheik ambizioso e giusto, in grado di fronteggiare con efficacia l’emergenza climatica”.
Per Legambiente tre sono i pilastri di un accordo sul clima “ambizioso e giusto”. In primo luogo, occorre stabilire un programma vincolante per adeguare gli attuali impegni di riduzione delle emissioni all’obiettivo di 1.5°C. In secondo luogo, è necessario garantire un adeguato sostegno finanziario per assistere i paesi più poveri e vulnerabili alle prese con le conseguenze del cambiamento climatico. In terzo luogo, occorre sviluppare una vera e propria “finanza climatica”, capace di finanziare a livello globale la transizione ecologica, conciliandola con la giustizia sociale e con la lotta alle diseguaglianze e alle povertà.
Attese deluse e prospettive di condivisione delle responsabilità
Queste le attese e le rivendicazioni delle associazioni e dei movimenti prima della conferenza. Il bilancio finale di Sharm El Sheik resta, però, deludente rispetto alle urgenze che la crisi climatica pone all’umanità, e rispetto alle responsabilità che incombono alle grandi potenze economiche, che sono anche le principali fonti di gas climalteranti.
Il documento finale della COP27 “non è abbastanza per costituire un passo in avanti significativo per la popolazione del pianeta. Non porta sufficienti sforzi aggiuntivi da parte dei maggiori paesi responsabili delle emissioni e dell’inquinamento per raggiungere gli obiettivi previsti“, ha dichiarato il Commissario Europeo Frans Timmermans.
L’Unione Europea ha posto anche il tema dell’inclusione della Cina nei paesi industrializzati, status che farebbe passare il paese da Stato ricevente a Stato finanziatore dei fondi globali per il contrasto della crisi climatica. “Se vogliono essere considerati una superpotenza mondiale, devono condividere oneri ed onori”. E questo, nell’ambito climatico dell’Accordo di Parigi, significa pagare per aiutare i paesi più poveri e vulnerabili. Affinché ciò avvenga servirà la pressione dei paesi asiatici e africani che ricevono già un forte appoggio da parte di Pechino in termini di infrastrutture e di trasferimento di conoscenze, specie se vogliono vedere potenziata la finanza climatica e gli aiuti tramite il fondo Loss & Damage che la COP27 ha finalmente deciso di istituire.
Isabel Signorini studia Scienze per la pace, cooperazione internazionale e trasformazione dei conflitti presso l’Università di Pisa. Attualmente svolge un tirocinio al Centro Interdisciplinare “Scienze per la Pace”.