Come è possibile ricordare al meglio nel Giorno della Memoria?
di Nannerel Fiano
Come è possibile ricordare al meglio nel Giorno della Memoria? Per rispondere alla – non semplice – domanda si cercherà di fornire, in primo luogo, una definizione di antisemitismo. In secondo luogo, verranno individuati gli strumenti giuridici finalizzati al contrasto all’antisemitismo nell’ordinamento italiano.
Secondo la nuova ricerca pubblicata dall’Osservatorio Antisemitismo1, alla luce del timore di non essere sufficientemente informati, di affermare qualcosa di politicamente scorretto oppure di essere considerati antisemiti per il fatto di esprimere critiche nei confronti dello Stato di Israele, alla domanda “che cosa è l’antisemitismo e da dove nasce?” è ravvisabile una “reticenza a parlare e a ragionare sugli ebrei. E questo per timore di sbagliare, offendere, creare imbarazzo. In alcuni casi è emersa una certa titubanza a rispondere”2.
Come affermato da una delle autrici del rapporto, Betti Guetta, sono le indagini di questo tipo a rafforzare l’idea secondo la quale l’antisemitismo non rappresenta “una realtà monolitica” ma complessa3. Si tratta di stereotipi e pregiudizi che interessano l’ebreo, gli ebrei, l’ebreo immaginario4 o, ancora, Israele. In effetti, anche la definizione operativa di antisemitismo è complessa e pare del tutto idonea ad abbracciare uno spazio semantico e, se si vuole, fisico, molto variegato.
A tal proposito, si consideri che il 26 maggio 2016 la plenaria dell’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA) decise di adottare la seguente definizione operativa e non giuridicamente vincolante di antisemitismo: “L’antisemitismo è una certa percezione degli ebrei che può essere espressa come odio per gli ebrei. Manifestazioni di antisemitismo verbali e fisiche sono dirette verso gli ebrei o i non ebrei e/o alle loro proprietà, verso istituzioni comunitarie ebraiche ed edifici utilizzati per il culto”5.
La definizione in questione, in parte criticata in quanto eccessivamente vaga, consente però di riflettere sulla vastità del fenomeno dell’antisemitismo, di recente aumentato in ragione dell’emergenza sanitaria6. Emblematiche sono state le manifestazioni antisemite che hanno accompagnato l’adozione del Green pass o che hanno interessato la Senatrice Liliana Segre in occasione delle sue esternazioni nei confronti dei No Vax.
A monte dell’analisi del fenomeno dell’antisemitismo risulta, forse, opportuno cercare, per quanto possibile, di definire, da un punto di vista per così dire ontologico, l’essere “ebrea” o “ebreo”.
Nei suoi tratti essenziali, l’ebraismo costituisce una realtà variegata, composta da religione, popolo, cultura e storia. Gli ebrei, è stato efficacemente scritto, “sono l’esito di un processo di ibridazione, rimescolamento, riscrittura dei propri modi di essere e di pensare7 nel contesto esistenziale della diaspora – naturalmente, fino alla nascita dello Stato di Israele nel 1948.
E se è vero che non può esistere un legame diretto tra memoria, Olocausto e antisemitismo, rappresentando tale sovrapposizione un “progressivo indebolimento delle analisi sulle dinamiche storiche dell’evento-Shoah”8, tuttavia può essere utile, al fine di recuperare un rapporto funzionale tra memoria (storicamente consapevole) e antisemitismo nel dibattito pubblico, non solo, una “corretta contestualizzazione storica” dei fatti, ma anche una contestualizzazione “giuridica” di quelli che sono gli strumenti di contrasto rispetto al fenomeno antisemita nell’ordinamento italiano.
In primo luogo, è possibile muovere dal presupposto secondo cui una delle matrici della Costituzione italiana è rappresentata, come affermato da attenta dottrina9, dai campi dove si è consumato lo sterminio del popolo ebraico10. Si consideri che il primo pilastro, sul quale la dottrina costituzionalistica sembra concordare in senso unanime, è certamente rappresentato dalla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione11, di cui la legge “Scelba” del 20 giugno 1952, n. 645, volta alla repressione penale della riorganizzazione del disciolto partito fascista, dell’apologia del fascismo e delle manifestazioni fasciste, rappresenta l’attuazione.
Con la legge 13 ottobre 1975, n. 654 (“Ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966”) è stata ratificata e resa esecutiva la ICERD, ovvero la Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale. Uno strumento significativo di lotta all’apologia di fascismo e alla diffusione di idee basate sull’idea della superiorità razziale è rappresentato dalla legge 25 giugno 1993, n. 205 (c.d. legge Mancino, rubricata «Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa»), entrata in vigore anche a fronte dello scarso impatto della normativa di esecuzione della ICERD12.
La norma prevede la reclusione di chi diffonde in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, o di chi incita alla discriminazione o all’odio o commette violenza o atti di provocazione alla violenza, per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, nonché il divieto di ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione, all’odio o alla violenza per gli stessi motivi.
Successivamente, con l’entrata in vigore della legge 16 giugno 2016, n. 115 (“Modifiche all’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, in materia di contrasto e repressione dei crimini di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6,7 e 8 dello Statuto della Corte penale internazionale») modificata poco dopo dalla legge 20 novembre 2017, n. 167 («Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2017”) è stata recepita la decisione quadro 2008/913 GAI.
In tale occasione è stata attribuita rilevanza penale alle affermazioni negazioniste della Shoah. Infatti, per contrastare il negazionismo, l’art. 3-bis della legge n. 654 del 1975, innestato nel corpo dell’art. 3 della legge in questione dall’art. 1 della legge n. 115 del 2016, dopo un processo parlamentare durato quasi tre anni13, prevede che “si applica la pena della reclusione da due a sei anni se la propaganda ovvero l’istigazione e l’incitamento, commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondano in tutto o in parte sulla negazione della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale, ratificato ai sensi della legge 12 luglio 1999, n. 232”.
Nel contesto della dimensione online, l’hate speech di matrice antisemita14 che, ad esempio, è diminuito su twitter, ma si è concentrato nelle date simbolo come il Giorno della Memoria, non conosce, ad oggi, una forma di regolamentazione specifica, così come il linguaggio d’odio in generale.
Il disegno di legge A.S. 634 d’iniziativa dei Senatori Boldrini e altri, “Modifiche al codice penale e altre disposizioni in materia di contrasto dell’istigazione all’odio e alla discriminazione (hate speech)”, depositato in Senato il 1° agosto 2018, e volto alla criminalizzazione del fenomeno in oggetto, il disegno di legge A.S. 1455 d’iniziativa dei Senatori Fedeli e altri, “Misure per il contrasto del fenomeno dell’istigazione all’odio sul web” del 18 novembre 2019 e il disegno di legge A.C. n. 2936, prima firmataria l’On. Boldrini, “Misure per la prevenzione e il contrasto della diffusione di manifestazioni d’odio mediante la rete internet” sono rimasti finora senza seguito alcuno.
Ricostruito brevemente il quadro normativo è importante chiedersi, come invita a fare David Bidussa, perché l’intolleranza si diffonda nei paesi “che hanno fatto della memoria della Shoah un simbolo identitario”. La ragione, secondo la dottrina storica, consiste nella necessità di legare la narrazione dell’Olocausto non solo al perimetro personale-emozionale, ma anche e soprattutto a quello storico collettivo. Occorre, in altre parole, collocare la memoria familiare e personale nella memoria condivisa del continente europeo.
Non solo. L’Olocausto, quale matrice memoriale del continente europeo, potrebbe essere commemorato sotto un angolo prospettico costituzionalmente orientato, vale a dire aderente al combinato disposto di cui agli articoli 2 e 3 della Costituzione.
Per raggiungere un simile stadio di “ricordo” è possibile riportare, ancora una volta, quanto scritto da Bidussa: una forma di valorizzazione e rafforzamento del significato del Giorno della Memoria, che si celebra ogni 27 gennaio, potrebbe coincidere con lo sforzo di pensare alla data in questione nel senso di una data di libertà, non solo di liberazione, così da affermare “la rottura della sudditanza” attraverso un racconto della storia “a parte intera”, narrando l’oppressione subita ed esercitata.
La costruzione di una narrazione simile si rende sempre più necessaria, oggi, anche alla luce della scomparsa dei testimoni diretti. Il dovere di raccontare è irrobustito dal fatto che per molti anni non si è parlato di Olocausto: quello che era successo era troppo grande per essere capito e raccontato, tanto è vero che gli stessi sopravvissuti allo sterminio non avevano testimoniato per molti anni, almeno fino all’inizio del processo ad Eichmann a Gerusalemme nel 1961. Solo da quel momento la narrazione della Shoah si è potuta inserire in un contesto fisico, esistente e validato dai fatti.
Il processo per arrivare a una memoria raccontata è stato lungo: per molti anni ha prevalso il silenzio, tanto è vero che Piero Calamandrei aveva fatto riferimento ai sopravvissuti quali “torturati”, portatori di un silenzio più duro d’ogni macigno.
Infine, se le costituenti e i costituenti fissarono alcuni tra i principi più importanti che formano oggi la nostra cultura giuridica, se hanno disegnato l’architettura e il contenuto della Carta costituzionale marchiandola con un invisibile ma sentitissimo “mai più”, allora, a maggior ragione, occorre, per dovere civico, non solo coltivare la memoria, ma ricordare la storia e il contesto politico e sociale nel quale si è inserita la Shoah.
Nannerel Fiano è ricercatrice in Diritto costituzionale all’Università degli Studi di Milano.
Note
1 Si veda B. Guetta, A. Smulevich, L’ultima indagine dell’Osservatorio Antisemitismo della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea – CDEC di Milano, in “Pagine ebraiche”, gennaio 2022.
2 B. Guetta, A. Smulevich, L’ultima indagine dell’Osservatorio Antisemitismo, cit.
3 B. Guetta, A. Smulevich, L’ultima indagine dell’Osservatorio Antisemitismo, cit.
4 Su luoghi comuni, pregiudizi e stereotipi nei confronti degli ebrei, si veda L’ebreo inventato, a cura di S. Meghnagi, R. Di Castro, Giuntina, Firenze, 2021.
5 Il 27 gennaio 2020 il Consiglio dei Ministri ha accolto il documento dell’IHRA sull’antisemitismo.
6 Allo scoppio della pandemia da Covid-19 ha fatto seguito un sentimento di forte impotenza dinanzi a forze globali e misteriose. Su questo aspetto, si veda la Relazione periodica a cura dell’Osservatorio antisemitismo della Fondazione CDEC, a cura dell’Osservatorio antisemitismo del CDEC, 24 giugno 2021, p. 6.
7 Si veda ancora S. Meghnagi, “Siete diversi, avete le vostre tradizioni, i vostri costumi”. Gli ebrei: “popolo” e “religione”, in L’ebreo inventato, cit. p. 25.
8 G. Luzzatto Voghera, “Antisemitismo e memoria della Shoah nel dibattito pubblico”, in M. D’Amico, M. Brambilla, V. Crestani, N. Fiano (a cura di), Il linguaggio dell’odio fra memoria e attualità, FrancoAngeli, Milano, 2021, p. 45.
9 Così G. E. Vigevani, “Radici della Costituzione e repressione della negazione della Shoah”, in Rivista Aic, n. 4/2014, p. 4. Sul rapporto tra Costituzione e influenza delle leggi razziali si veda G. E. Vigevani, “L’influenza delle leggi razziali nell’elaborazione della Costituzione repubblicana”, in Nomos, 2009, fasc. 1/3, pp. 91-100.
10 P. Calamandrei, Questa nostra Costituzione, Bompiani, Milano, 1995, XXI, ripreso da G. E. Vigevani, Radici della Costituzione e repressione della negazione della Shoah, cit., p. 4, nota n. 8. Sul complesso tema della continuità tra regime fascista e avvento della Costituzione repubblicana si veda M. D’Amico, La continuità tra regime fascista e avvento della Costituzione repubblicana, in M. D’Amico, A. De Francesco, C. Siccardi (a cura di), L’Italia ai tempi del ventennio fascista. A ottant’anni dalle leggi antiebraiche: tra storia e diritto, FrancoAngeli, Milano, 2019, pp. 219ss.
11 Per un commento, si veda B. Pezzini, Il divieto di ricostruzione del partito fascista nella XII disposizione finale, in M. D’Amico, A. De Francesco, C. Siccardi (a cura di), L’Italia ai tempi del ventennio fascista, cit., pp. 205ss.
12 I. Spigno, Discorsi d’odio. Modelli costituzionali a confronto, Giuffré, Milano, 2018, p. 192.
13 Così I. Spigno, Discorsi d’odio. Modelli costituzionali a confronto, cit., p. 201.
14 Sui limiti costituzionali e sovranazionali del linguaggio d’odio, si veda M. D’Amico, “Odio online: limiti costituzionali e sovranazionali”, in M. D’Amico, C. Siccardi (a cura di), La Costituzione non odia. Conoscere, prevenire e contrastare l’hate speech online, Giappichelli, Torino, 2021.