La censura militare dei media in Israele registra un aumento senza precedenti
Nel corso del 2024 la censura militare in Israele ha vietato la pubblicazione di 1.635 articoli e ne ha parzialmente cancellati altri 6.265: si tratta di un dato rilevante per comprendere il sostegno o l’indifferenza di gran parte dell’opinione pubblica israeliana verso il genocidio in corso a Gaza. Traduciamo qui un’inchiesta pubblicata da +972 Magazine che, insieme al Movimento per la Libertà d’Informazione in Israele, ha ottenuto questi dati attraverso una richiesta di accesso agli atti. In totale 20.770 articoli sono stati sottoposti a revisione nel corso dell’anno scorso: un incremento del 100% rispetto al 2023 e quattro volte superiore ai dati del 2022. Il tasso di intervento del censore militare è salito dal 31% nel 2023 al 38% nel 2024. Tale aumento è strettamente legato alle operazioni in corso nella Striscia di Gaza, ma anche a quelle che hanno riguardato via via Libano, Siria, Yemen e Iran. In “tempo di guerra”, la legge israeliana richiede che tutti gli articoli che sollevino “questioni di sicurezza” vengano sottoposti alla censura preventiva, rendendo i media dipendenti dal vaglio dell’esercito per la pubblicazione di una vasta gamma di contenuti. Tuttavia, i giornalisti non sono autorizzati a dichiarare esplicitamente che un articolo sia stato censurato o modificato, né a rivelare l’esistenza stessa di un intervento censorio. È evidente che la censura militare venga utilizzata per prevenire la diffusione di narrazioni alternative o critiche verso l’operato dell’esercito, contribuendo a consolidare un clima di consenso attorno alla versione ufficiale degli eventi. Alla situazione interna a Israele si somma quella ancora più drammatica della Striscia di Gaza, dove l’esercito israeliano ha ucciso direttamente o indirettamente più di 200 giornalisti da ottobre 2023 a ora. Ne emerge un quadro difficilmente compatibile con quello di una democrazia.
di Haggai Matar
Nel 2024 la censura militare in Israele ha raggiunto i livelli più estremi da quando +972 Magazine ha iniziato a raccogliere dati nel 2011. Nel corso dell’anno, il censore ha vietato completamente la pubblicazione di 1.635 articoli e ne ha censurati parzialmente altri 6.265. In media, l’anno scorso la censura è intervenuta su circa 21 notizie al giorno: più del doppio del precedente picco di circa 10 interventi giornalieri registrato durante l’ultima guerra a Gaza nel 2014 (Operazione Protective Edge), e oltre tre volte la media di 6,2 al giorno in tempi non di guerra.
Questi dati sono stati forniti dalla censura militare in risposta a una richiesta congiunta di +972 Magazine e del Movimento per la libertà di informazione in Israele, in vista della Giornata mondiale della libertà di stampa.
Sebbene la censura militare non riveli le ragioni alla base di ogni intervento, la ragione principale di questa impennata record della censura va ritrovata nella guerra di distruzione in corso a Gaza, così come nei conflitti via via ingaggiati da Israele in Libano, Siria, Yemen e Iran.
L’escalation si riflette non solo nel volume di attività della censura, ma anche nell’aumento del tasso di rifiuto dei materiali presentati e nella maggior frequenza dei divieti definitivi rispetto alle riduzioni parziali.
Secondo la legge israeliana, ogni articolo che tratta la categoria ampiamente definita come di “questioni di sicurezza” deve essere sottoposto alla revisione della censura militare, e le redazioni sono responsabili di decidere quale pezzo presentare in base al proprio giudizio.
Quando la censura interviene, ai media è vietato indicare che la censura ha avuto luogo, il che significa che la maggior parte della sua attività rimane nascosta al pubblico. Nessun’altra “democrazia occidentale” ha un’istituzione simile.
“Il pubblico merita di sapere cosa è stato nascosto”
Nel 2024 le organizzazioni giornalistiche israeliane hanno sottoposto alla revisione del censore militare 20.770 notizie: quasi il doppio del totale dell’anno precedente e quattro volte il numero del 2022. La censura è intervenuta nel 38% di questi casi, ben sette punti percentuali in più rispetto al picco precedente registrato nel 2023. I rifiuti generalizzati di interi articoli di notizie hanno rappresentato il 20% di tutti gli interventi, in aumento rispetto al 18% del 2023. Negli anni precedenti, la media era di appena l’11%.
L’agenzia di stampa israeliana i24 ha riferito domenica che il capo della censura militare, il generale di brigata Kobi Mandelblit, ha chiesto al Procuratore generale di indagare sui giornalisti israeliani che avrebbero aggirato la legge sulla censura condividendo informazioni riservate con i media stranieri. Il Procuratore generale ha tuttavia respinto la richiesta.
Mentre in passato il censore militare forniva dati sulla censura nei libri – in genere quelli scritti da ex membri dell’establishment di sicurezza israeliano – ora non fornisce queste informazioni. Inoltre, nell’ultimo decennio, ha rivisto e intervenuto nelle pubblicazioni online dell’Archivio di Stato. In alcuni casi, ha persino bloccato la pubblicazione di documenti che erano già stati ritenuti innocui dagli esperti di sicurezza dell’archivio e che erano precedentemente accessibili al pubblico. Questo atto di “ri-occultamento” è stato oggetto di ampie critiche. L’anno scorso, l’Archivio di Stato ha sottoposto alla revisione del censore 2.436 documenti.
Sebbene il censore abbia dichiarato che “la stragrande maggioranza” degli articoli è stata approvata per la pubblicazione senza modifiche, si rifiuta costantemente di rivelare quanti documenti d’archivio ha “ri-celato” al pubblico.
Or Sadan, avvocato del Movimento per la libertà d’informazione e direttore della Clinica per la libertà d’informazione presso il College of Management Academic Studies, ha dichiarato a +972 Mag che, pur non essendo sorpreso dall’impennata della censura dello scorso anno, spera che “la pubblicazione di questi dati aiuti a ridurre al minimo l’uso di strumenti di censura che, sebbene talvolta necessari, sono anche pericolosi quando si tratta dell’accesso del pubblico alle informazioni”.
Il censore militare non è obbligato per legge a rispondere alle richieste di libertà d’informazione e ha fornito volontariamente le cifre sopra riportate. Tuttavia, si è rifiutato di fornire i dati aggiuntivi che abbiamo richiesto, tra cui: una ripartizione dei dati per mese, per media e per motivo dell’intervento; dettagli sui casi in cui ha ordinato proattivamente ai media di rimuovere contenuti che non erano stati sottoposti a revisione; e qualsiasi registrazione di procedimenti amministrativi o penali contro le violazioni della censura. Per quanto ne sappiamo, finora non è stata intrapresa alcuna azione esecutiva di questo tipo.
“Anche se certe informazioni non possono essere pubblicate durante un’emergenza, il pubblico ha il diritto di sapere cosa gli è stato nascosto”, ha spiegato Or Sadan. “Censura significa nascondere informazioni che un giornalista ritiene che il pubblico abbia il diritto di conoscere. In tempo di guerra, molte persone hanno già la sensazione di non essere informate di tutto, e quindi è opportuno rivedere retrospettivamente le decisioni di censura”.
Una guerra alla libertà di stampa
Al di là del picco senza precedenti di censura militare, la Giornata mondiale della libertà di stampa di quest’anno rappresenta una pietra miliare per il giornalismo israeliano. Nel 2024, Israele si è classificato con un misero 101 posto su 180 (con un calo di 4 posizioni rispetto alla classifica dell’anno precedente) nell’Indice della libertà di stampa di Reporter Senza Frontiere. In tale classifica, il paese è ora ulteriormente sceso a quota 112. Questa valutazione riflette solo lo stato del giornalismo all’interno di Israele, senza tenere conto dell’uccisione di massa dei giornalisti a Gaza.
Secondo il Committee to Protect Journalists, almeno 168 giornalisti e operatori dei media palestinesi sono stati uccisi a Gaza dall’esercito israeliano durante la guerra, più che in qualsiasi altro conflitto violento registrato negli ultimi decenni. Secondo altre organizzazioni, il numero arriverebbe a 232. Nelle indagini condotte in collaborazione con Forbidden Stories, +972 ha rivelato che numerosi giornalisti gazawi sono stati uccisi dall’esercito solo per aver operato con i droni, o sono stati attaccati da droni dell’esercito quando erano chiaramente identificati come giornalisti.
Israele considera i giornalisti che danno informazioni su quanto avviene a Gaza come “affiliati ad Hamas” e, in quanto tali, li classifica come obiettivi militari legittimi: in più di un’occasione ha affermato che i giornalisti uccisi erano collegati ad Hamas, di solito senza presentare alcuna prova.
Ma i giornalisti di Gaza non devono solo affrontare la costante minaccia di morte dei bombardamenti israeliani, mentre spesso soffrono anche la fame, la sete e lo sfollamento. Devono anche affrontare la repressione da parte di Hamas stesso, che mette sotto pressione i giornalisti che criticano l’organizzazione o coprono le proteste contro di essa.
Israele ha aggravato questa situazione disastrosa bloccando l’ingresso di tutti i giornalisti stranieri nella Striscia di Gaza per oltre un anno e mezzo: una decisione validata dalla Corte Suprema israeliana, ma che molti giornalisti di tutto il mondo hanno condannato come un duro colpo alla libertà di stampa e come uno sforzo deliberato per nascondere ciò che sta accadendo a Gaza.
Allo stesso tempo, Israele ha sistematicamente arrestato e imprigionato giornalisti palestinesi sia di Gaza che della Cisgiordania, spesso senza accuse, come forma di punizione per aver fatto informazione critica. Questa repressione si è accelerata durante la guerra, come dimostra il divieto di operare in Israele per media come Al-Mayadeen e Al-Jazeera.
In parallelo il governo ha colpito la stessa libera stampa israeliana: ha deciso di chiudere l’emittente pubblica Kan, ha strangolato finanziariamente il quotidiano liberale Haaretz e ha compiuto sforzi deliberati per indebolire gli organi di informazione consolidati da tempo, finanziando con fondi pubblici nuovi organi di informazione filogovernativi come Canale 14.
Inoltre, il governo ha imposto severe restrizioni alla pubblicazione delle identità dei soldati sospettati di crimini di guerra e il continuo incitamento contro i giornalisti da parte di legislatori e personaggi pubblici affiliati al governo Netanyahu ha portato a diversi attacchi violenti contro i reporter.
Eppure, il colpo più devastante per il giornalismo israeliano non è arrivato dalla censura del governo, ma dal tradimento da parte delle redazioni della loro missione principale: informare il pubblico sulla verità di ciò che accade intorno a loro. I giornalisti israeliani, anche quelli che una volta avevano espresso rimorso per non aver coperto ciò che stava accadendo a Gaza nelle guerre precedenti, hanno deliberatamente oscurato gli ospedali bombardati, i bambini affamati e le fosse comuni che il mondo vede quotidianamente.
Invece di testimoniare la verità della guerra o di amplificare le voci dei giornalisti di Gaza (per non parlare della solidarietà con i colleghi presi di mira dall’esercito del loro Stato), la maggior parte dei giornalisti israeliani si è arruolata nello sforzo di propaganda bellica – fino al punto di unirsi alle truppe di combattimento e di partecipare attivamente alla demolizione degli edifici – e ha liberamente diffuso appelli diretti al genocidio, all’uso della fame come arma e ad altri crimini internazionali.
Questa non è coercizione, è complicità. Non è stato il censore a cancellare gli orrori di Gaza dagli schermi israeliani, ma i giornalisti e gli editori.
Fonte: +972Mag, 2 maggio 2025 [traduzione di Emma Fanciulli e Arianna Soldani].