Ascoltiamo i sopravvissuti israeliani: non vogliono vendetta!
Nei giorni seguenti alle stragi commesse il 7 ottobre da Hamas ai danni di civili israeliani, molte voci nel paese sotto shock hanno espresso un forte desiderio di vendetta, arrivando a chiedere la distruzione di Gaza e non solo la neutralizzazione della minaccia terroristica. Il riservista israeliano Guy Hochman, noto intrattenitore e influencer online, ha dato voce in modo crudo a questi sentimenti, diffusi in modo trasversale nell’opinione pubblica israeliana: dall’estrema destra che sostiene il governo, fino ad alcuni esponenti della sinistra. In questo contesto, riteniamo importante dare spazio a quelle voci della società civile israeliana che rifiutano la logica della vendetta e che criticano l’uso sproporzionato della forza da parte del proprio governo, posizionandosi dalla parte delle vittime del conflitto: di tutte le vittime, senza distinzioni. Ripubblichiamo qui in traduzione l’articolo di Orly Noy, presidente del comitato esecutivo di B’Tselem, il Centro d’informazione israeliano per i diritti umani nei Territori occupati. Pubblicato su +972 Magazine, l’articolo dà la parola a numerosi familiari delle vittime del 7 ottobre, che chiedono al governo di non strumentalizzare il loro lutto per provocare altri lutti alle famiglie palestinesi di Gaza, ma di impegnarsi invece in un negoziato per il rilascio degli ostaggi. Da queste testimonianze sofferte emere come la vendetta e l’ulteriore spargimento di sangue non possano essere la risposta al 7 ottobre, né offrano una vera soluzione al conflitto israelo-palestinese: l’unica soluzione può venire dall’impegno per la libertà, la parità di diritti e la pace per tutte e tutti.
di Orly Noy
“Tutti parlano di unità. Ragazzi, l’unità è terribilmente bella, ma sul campo c’è la vendetta, c’è la crudeltà… Avremo tutta la vita per piangere, e piangeremo. Ma ora c’è solo un obiettivo: vendicarsi ed essere crudeli”.
Queste sono state le parole del soldato di riserva israeliano Guy Hochman – solitamente intrattenitore e influencer online – in un’intervista rilasciata a Channel 12 nei primi giorni dell’attacco israeliano alla Striscia di Gaza in seguito ai massacri del 7 ottobre da parte dei militanti di Hamas. In queste poche parole, Hochman ha dato voce a un sentimento che sembra aver preso piede in Israele, diffuso dall’estrema destra fino a molti di coloro che si auto-identificano come persone di sinistra: questo sentimento rischia di essere una giustificazione della catastrofe che Israele sta attualmente causando a più di 2 milioni di palestinesi a Gaza.
Alcuni spiegano la loro posizione di sostegno al governo israeliano in termini di “sconfitta di Hamas”. Altri, come Hochman, antepongono la vendetta a tutto il resto. È quindi ancora più rilevante che, di fronte allo stato d’animo prevalente, sempre più israeliani sopravvissuti ai massacri, o i cui cari sono stati uccisi o rapiti a Gaza, escano allo scoperto ed esprimano un’inequivocabile opposizione all’uccisione di palestinesi innocenti, dicendo no alla vendetta.
In un discorso funebre per suo fratello Hayim, un attivista anti-occupazione assassinato nel Kibbutz Holit, Noi Katsman ha chiesto al suo paese di “non usare le nostre morti e il nostro dolore per causare la morte e il dolore di altre persone o di altre famiglie. Chiedo di fermare il circolo del dolore e di capire che l’unica via [per il futuro] è la libertà e l’uguaglianza dei diritti. Pace, fratellanza e sicurezza per tutti gli esseri umani”.
Anche Ziv Stahl, direttrice esecutiva dell’organizzazione per i diritti umani Yesh Din e sopravvissuta al fuoco infernale di Kfar Aza, si è espressa con forza contro l’attacco di Israele a Gaza in un articolo pubblicato sul quotidiano israeliano Haaretz. “Non ho bisogno di vendetta, niente mi restituirà coloro che se ne sono andati”, ha scritto. “I bombardamenti indiscriminati a Gaza e l’uccisione di civili non coinvolti in questi orribili crimini non sono una soluzione”.
Yotam Kipnis, il cui padre è stato ucciso nell’attacco di Hamas, ha detto nel suo discorso funebre: “Non scrivete il nome di mio padre su una granata. Lui non l’avrebbe voluto. Non dite: ‘Dio vendicherà il suo sangue’. Dite: ‘Che la sua memoria sia una benedizione'”.
Michal Halev, madre di Laor Abramov ucciso da Hamas il 7 ottobre, ha gridato in un video postato su Facebook: “Sto implorando il mondo: fermate tutte le guerre, smettete di uccidere le persone, smettete di uccidere i bambini. La guerra non è la risposta. La guerra non è il modo in cui si risolvono le cose. Questo paese, Israele, sta vivendo un orrore… E so che le madri di Gaza stanno vivendo un orrore… In mio nome, non voglio nessuna vendetta”.
Maoz Inon, i cui genitori sono stati uccisi il 7 ottobre, ha scritto su Al Jazeera: “I miei genitori erano persone di pace… La vendetta non riporterà in vita i miei genitori. Non riporterà in vita nemmeno gli altri israeliani e palestinesi uccisi. Anzi, farà l’opposto… Dobbiamo spezzare la spirale della violenza”.
Quando un giornalista ha chiesto a Yonatan Ziegen, figlio di Vivian Silver, cosa penserebbe sua madre – che si pensa sia stata rapita – di ciò che Israele sta facendo ora a Gaza, ha risposto: “Sarebbe mortificata. Perché non si possono bilanciare i bambini morti da una parte con altri bambini morti dall’altra. Abbiamo bisogno di pace. È per questo che ha lavorato tutta la vita… Il dolore è dolore”.
In un video diventato virale, una diciannovenne sopravvissuta al massacro del Kibbutz Be’eri ha tenuto un monologo struggente sull’abbandono dei residenti del Sud di Israele da parte del governo. Nel messaggio ha chiesto di “restituire gli ostaggi”: “Restituire gli ostaggi. La pace. Decenza ed equità… Forse alcuni di voi troveranno difficile ascoltare queste parole. Per me è difficile parlare. Ma con quello che ho passato a Be’eri, me lo dovete”.
Lo dobbiamo a loro. Li ascolto e leggo le loro parole, e chino il capo davanti al loro coraggio. E penso alla strana insistenza in questo momento da parte di molti, compresi coloro che si dicono sostenitori della sinistra, nel misurare il nostro grado di solidarietà, dolore o rabbia in base alla nostra volontà di sostenere il fuoco che il nostro esercito sta facendo piovere su Gaza.
Cosa direte a questo padre in lutto? A quel sopravvissuto al massacro? Anche a loro manca la solidarietà? Da dove viene l’ardire di determinare cosa stia succedendo dentro ognuno dei nostri cuori e delle nostre menti spezzate?
Vedo le accuse contro coloro che implorano la fine di questa inutile carneficina, di questo terribile e minaccioso crimine di guerra a Gaza, e penso alla frase pronunciata da Ben Kfir, un membro del Bereaved Families Forum, [organizzazione congiunta israelo-palestinese di oltre 600 famiglie che hanno perso un familiare stretto a causa del conflitto, ndr] che mi è rimasta impressa nella mente anni fa quando parlava dell’inutilità della vendetta: “Ho perso mia figlia, non la ragione”.
Quest’uomo, che ha perso la persona a lui più cara di tutte, e molti altri che ora si sono uniti al cerchio del lutto, capiscono ciò che molti oggi si rifiutano ancora di capire: che la strada che ci viene offerta, di più sangue e più “deterrenza”, è esattamente la strada che ci è stata offerta tante volte in passato e che ci ha portato agli orrori che vediamo oggi.
Oltre all’immoralità di giustificare le atrocità che Israele sta commettendo a Gaza, l’aspettativa che questa volta il massacro di massa porterà a un risultato diverso rispetto a tutte le campagne militari precedenti – che non hanno ottenuto altro che approfondire la disperazione, la sofferenza e l’odio da parte palestinese – è un terribile autoinganno, il cui prezzo sarà pagato ancora una volta dai residenti del sud di Israele.
Non si dica che il governo lo fa per loro. Il governo ha abbandonato il sud commettendo un crimine enorme e non può riscattare il suo crimine con il sangue degli innocenti di Gaza. Invece di indulgere in questa brama di vendetta, ascoltiamo le famiglie delle vittime.
Orly Noy è redattrice di Local Call, un sito di notizie in lingua ebraica impegnato nella democrazia, nella pace, nell’uguaglianza, nella giustizia sociale, nella trasparenza, nella libertà di informazione e nella resistenza all’occupazione. È presidente del Comitato esecutivo di B’Tselem e attivista del partito politico Balad, impegnato a “trasformare lo Stato di Israele in una democrazia per tutti i suoi cittadini, indipendentemente dall’identità nazionale o etnica”. I suoi scritti mettono a tema le molteplici linee che definiscono la sua identità di Mizrahi, ossia discendente di comunità ebraiche del Medio Oriente e del Nord Africa, di donna e di attivista per i diritti umani.
Fonte: +972Magazine, 25 ottobre 2023.